Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1816 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1816 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7971/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME, giusta procura in atti, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME in ROMA in INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
COGNOME (C.F. P_IVA), in persona dell’Amministratore p.t. RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA) in persona dell’A.U. rag. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la ordinanza n. 3186/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, SECONDA SEZIONE CIVILE, depositata il 02.02.2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
Con ordinanza di questa Corte n. 3186/2023, pubblicata il 2/2/2023, venne rigettato il ricorso proposto da NOME COGNOME, in persona del suo tutore AVV_NOTAIO, nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, sito in Savignano sul RubiconeINDIRIZZO, avverso la sentenza del Tribunale di Forlì n. 1147/2021, pubblicata il 18/11/2021.
RAGIONE_SOCIALE, come sopra rappresentata, propone ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391bis cod. proc. civ., chiedendo revocarsi l’ordinanza di cui sopra. In prossimità dell’udienza, ha depositato memoria.
Il RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Con l’ordinanza fatta qui oggetto della domanda di revocazione questa Corte disattese entrambi i motivi prospettati dalla parte ricorrente, la quale era insorta avverso la sentenza d’appello che ne aveva rigettato l’impugnazione, proposta avverso la sentenza di primo grado, che aveva rigettato l’opposizione, ex art. 1137 cod. civ., a riguardo della deliberazione assembleare del 12/2/2020, che, fra l’altro, aveva deciso di non provvedere alla manutenzione dell’area a verde di cui alla particella 2643, poiché di proprietà di terzi.
3.1. In estrema sintesi va ricordato che il primo motivo, denunciante violazione o falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ., ‘1118 bis n. 3’, 1123, 1130, 1135 n. 4 cod. civ. e il secondo motivo, denunciante l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, vennero disattesi, per una pluralità di ragioni:
-l’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., non consentiva evocare il vizio d’omesso esame di un fatto controverso e decisivo;
-non rientrava nei poteri assembleari determinare, a maggioranza, l’àmbito dei beni comuni e le proprietà esclusive;
-il giudizio d’impugnazione della delibera, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., in assenza di specifica domanda e dell’estensione del contraddittorio a tutti i condòmini (litisconsorti necessari), giammai avrebbe potuto sfociare in una statuizione avente attitudine al giudicato avuto riguardo all’estensione dei diritti reali dei singoli;
proprio per quanto immediatamente sopra la delibera oggetto di contesa aveva deciso di non provvedere alla manutenzione del giardino di cui detto, in quanto reputato di proprietà esclusiva di terzi;
-l’estraneità alla proprietà condominiale della particella in parola era stata ritenuta dal Giudice dell’appello circostanza non contestata;
inoltre, il Tribunale aveva negato la proprietà condominiale dell’area sulla base delle risultanze del vaglio probatorio, riservato incensurabilmente al giudice del merito, che ne aveva escluso <> dell’anzidetto bene;
-infine l’individuazione delle parti comuni sottostà alle risultanze del titolo costitutivo del condominio e non già al regolamento, salvo trattarsi di regolamento negoziale, come tale facente parte integrante del primo atto trascritto;
-in definitiva, il ricorso si risolveva in un’alternativa prospettazione dei fatti posti a fondamento della decisione, in assenza, in ogni caso, della necessaria specificazione.
La parte ricorrente in revocazione con il primo motivo, assume sussistere un errore di fatto, rimediabile con lo strumento azionato (art. 395, n. 4, cod. proc. civ.).
Gli errori revocatori consistono, a dire della ricorrente: a) nell’avere l’ordinanza di legittimità <> , stante che il verbale dell’assemblea riportava il riparto per le spese di manutenzione del giardino; b) <> , che, sempre secondo l’assunto, costituivano un supercondominio e, pertanto, l’area di cui si discute, applicando i principi giurisprudenziali, avrebbe dovuto considerarsi avente natura condominiale, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ.; c) nell’avere escluso che l’area corrispondesse <>; d) infine, la Corte di cassazione non aveva indicato quale fosse la prospettazione alternativa sottopostale, essendosi, per contro, fatto sempre riferimento alla particella 2643, citata nel verbale d’assemblea.
Il secondo motivo lamenta l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., per non essere stato rilevato che <>.
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.
6.1. L’errore di fatto revocatorio ricorre, come risulta dalla piana descrizione normativa, ‘quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita’; cioè deve annidarsi in una oggettiva dispercezione da parte del Giudice di legittimità della ricostruzione
fattuale siccome operata dalla sentenza d’ appello o rappresentata dai documenti esaminabili (allorquando la Cassazione è eccezionalmente giudice del fatto); e certamente tale non può considerarsi un apprezzamento o una conseguenza giuridica, come nel caso di specie, non potendo il Giudice della legittimità essere chiamato a decidere nuovamente la causa in una sorta di anomalo nuovo giudizio, a seguito d’una impropria opposizione.
6.2. Nel caso di specie, la ricorrente si duole palesemente di un preteso errore giuridico, che sarebbe dipeso da una errata ricostruzione fattuale (primo motivo).
Questa Corte reiteratamente ha avuto modo di chiarire che il combinato disposto dell’art. 391 bis e dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione.
È inammissibile il ricorso al rimedio previsto dall’art. 391 bis cod. proc. civ. nell’ipotesi in cui il dedotto errore riguardi norme giuridiche, atteso che la falsa percezione di queste, anche se indotta da errata percezione di interpretazioni fornite da precedenti indirizzi giurisprudenziali, integra gli estremi dell’ “error iuris”, sia nel caso di obliterazione delle norme medesime (riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione), sia nel caso di distorsione della loro effettiva portata (riconducibile all’ipotesi della violazione) -Sez. 6, n. 29922, 29/12/2011, Rv. 620988; conf., ex multis, Cass. 4584/2020 -.
Fa da corollario il principio incontroverso secondo il quale l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ., consiste in una svista su dati di fatto, produttiva dell’affermazione o negazione di
elementi decisivi per risolvere la questione, sicché è inammissibile il ricorso per revocazione che suggerisca l’adozione di una soluzione giuridica diversa da quella adottata (Sez. 6, n. 3494, 12/02/2013, Rv. 625003).
Né, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicché non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione, considerato anche che, quanto all’effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché l’ordinata amministrazione della giustizia (Sez. U, n. 8984, 11/04/2018, Rv. 648127; cfr., anche, Sez. U., n. 30994, 27/12/2017; Sez. 6, n. 14937, 15/6/2017).
6.3. In disparte, è appena il caso di soggiungere che il preteso errore di diritto prospettato dal ricorrente è destituito di giuridico fondamento alla luce del consolidato orientamento di legittimità fatto proprio dall’ordinanza, la quale ha ricordato che la ricostruzione fattuale viene operata incensurabilmente dal giudice del merito e non è assoggettata a revisione in sede di legittimità.
Posto ciò, è chiaro che attraverso la denunzia di violazione di legge la ricorrente sollecitò, non determinando essa, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul
presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente – un improprio riesame di merito (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459).
6.4. Ancor più manifesta è l’inammissibilità del secondo motivo. Con esso, per vero, si addebita alla ordinanza di legittimità errore di diritto per non avere accolto il prospettato vizio della sentenza d’appello di omesso esame di un fatto controverso e decisivo, ben lungi, quindi dall’errore di fatto nei termini sopra ripresi.
6.5. Peraltro, anche in questo caso, la decisione di cui si chiede la revocazione ha statuito puntualmente, avendo, come si è sopra ricordato, richiamato la preclusione di cui all’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ.
È appena il caso di specificare che l’inammissibilità del ricorso dimostra, per ‘tabulas’, la radicale infondatezza della richiesta di condanna del controricorrente per responsabilità aggravata.
All’epilogo consegue la condanna del ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente, che si liquidano, tenuto conto dell’entità della causa, della sua qualità e delle svolte attività, siccome in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali in favore del controricorrente, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 28 novembre 2023