Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12584 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12584 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3306/2023 R.G. proposto da : NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrenti-
Contro
COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
-resistenti- e sul ricorso riunito proposto da:
COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e COGNOME
NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME
-controricorrente-
avverso ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 35640/2022 depositata il 05/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Questa Corte con ordinanza n. 35640 del 2022 ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti di NOME ed NOME COGNOME avverso sentenza della Corte d’appello di Bari del 2018 che aveva confermato la decisione di primo grado di rigetto della domanda azionata dal COGNOME e dalla COGNOME, volta a sentire accertare la responsabilit à ex art. 2495 c.c. dei convenuti, liquidatori della RAGIONE_SOCIALE società poi fallita, condannandoli in conseguenza al pagamento in loro favore dell’importo corrispondente al credito di € 51.858,29 (definitivamente accertato in sede fallimentare e fondato principalmente sulla sentenza di questa Corte n. 52 del 29/1/09, pronunciata a conclusione di un giudizio iniziato nel 1985 e conclusosi in primo grado nel 1996), non soddisfatto n é in fase di liquidazione, n é , successivamente, in sede di procedura concorsuale, o di quello maggiore accertato in giudizio, con interessi e rivalutazione e con vittoria di spese.
In motivazione, si dava atto che il Tribunale aveva respinto la domanda principale (e quella subordinata, fondata sulla mancata proposizione dell’istanza di autofallimento quando era stata accertata l’ incapienza dell’attivo), rilevando che, dal bilancio finale, la liquidazione della societ RAGIONE_SOCIALE risultava essere avvenuta
senza realizzazione di alcun attivo e senza attribuzione alcuna ai soci, per cui non vi sarebbe stata alcuna concreta possibilit à di soddisfacimento dei creditori, iscritti o non al bilancio di liquidazione, cosicché il mancato pagamento dei crediti era da imputarsi esclusivamente all’insufficienza dell’attivo patrimoniale e non alla condotta dei liquidatori; anche la domanda subordinata veniva respinta in quanto non risultava che, nel corso dell’ attività di liquidazione volontaria, fosse stato pagato alcun creditore e la procedura fallimentare era stata comunque chiusa per mancanza di attivo e, perci ò , difettava la prova che un’istanza di autofallimento, presentata in un tempo precedente dai liquidatori, avrebbe potuto consentire la soddisfazione del credito degli attori.
Questa Corte ha ritenuto inammissibili sia il primo motivo del ricorso per cassazione (con il quale si deduceva un vizio di violazione di norma di diritto, per essere la colpa dei liquidatori, ex art.2495, comma 2, c.c., rinvenibile nel fatto che gli stessi non avessero iscritto tempestivamente tra le poste passive della societ à i crediti ancora sub iudice e accantonato, prudenzialmente, fondi per il loro soddisfacimento), in quanto non pertinente al decisum ed alla ratio decidendi della sentenza impugnata (avendo la Corte d’appello affermato che difettava il nesso di causalità tra la condotta dei liquidatori e il danno lamentato, non provato, in quanto non era stato allegata « l’esistenza di attività che avrebbero potuto essere recuperate o utilizzate con una dichiarazione di fallimento anteriore al 2010 »), sia il secondo motivo (in punto di violazione degli artt.2697 e 2699 c.c. relativamente alla prova dell’esistenza del credito e del suo mancato inserimento nel bilancio di liquidazione e anche alla affermazione « che nessun creditore era stato soddisfatto », emergendo invece che « nel passivo della liquidazione al 31.12.2005 i debiti, iscritti nel bilancio dell’esercizio precedente, erano stati azzerati »), in quanto tale doglianza risultava diretta ad una nuova, inammissibile in sede di legittimità,
valutazione della prova, attività riservata al giudice di merito, laddove risultava che la Corte d’appello, nella sentenza impugnata: a) « non ha considerato la c.t.p. (acquisita peraltro legittimamente al processo nel corso del procedimento cautelare incidentale) alla stregua di una fonte di prova documentale » ma avesse « piuttosto fondato la sua decisione sulla valutazione diretta dei bilanci in atti, avvalendosi semmai delle spiegazioni fornite dall’elaborato tecnico prodotto dai liquidatori per porre in collegamento la successione temporale delle poste contabili, dandone ampia illustrazione »; b) ha osservato come « nel giudizio di primo grado i liquidatori avessero chiarito – senza che sul punto vi fosse stata alcuna consistente allegazione contraria da parte degli appellanti – che la voce di attivo patrimoniale ‘rimanenze’ era stata contabilmente azzerata perch é relativa ad un contratto di appalto con una societ à cooperativa poi posta in liquidazione a sua volta» e «la posta, quindi, era in realt à corrispondente a crediti non esigibili ».
Questa Corte quindi, dichiarato inammissibile il ricorso, ha condannato i ricorrenti « al pagamento delle spese giudiziali del presente giudizio di legittimit à, in € 4500 per onorari e € 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge ».
Con ricorso congiunto notificato l’8/2/2023, NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedono la correzione di errore materiale della stessa ordinanza, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME che depositano memoria difensiva.
Avverso la suddetta pronuncia, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per revocazione, notificato il 23/2/2023, affidato a unico motivo, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOMEche resistono con separati controricorsi).
Il PG ha depositato memoria.
I ricorrenti principali e i due controricorrenti e ricorrenti per correzione errore materiale, NOMECOGNOME hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.I ricorrenti principali lamentano, con unico motivo, l’errore di fatto ex artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4), c.p.c., consistente nell’errata percezione, nell’ordinanza impugnata per revocazione, che la Corte d’Appello abbia « fondato la sua decisione sulla valutazione diretta dei bilanci in atti », anziché sulla base della consulenza tecnica di parte.
I ricorrenti deducono di avere, nel precedente giudizio di legittimità, – con il secondo motivo di ricorso – lamentato che la Corte d’Appello di Bari aveva fondato la propria decisione sulla base di fatti ritenuti « provati » non sulla base del materiale probatorio versato in atti ( in primis , il bilancio finale di liquidazione al 31 dicembre 2005, recante anche i dati di bilancio dell’esercizio precedente), ma sulla base di una consulenza tecnica di parte, priva di autonomo valore probatorio, e deducono che questa Corte, pur avendo correttamente riconosciuto che « la consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio (ex multis Cass., n. 1614/2022)», anziché cassare la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione per una nuova valutazione in fatto basata solo ed esclusivamente sul materiale probatorio in senso stretto (ovvero il contenuto oggettivo del bilancio finale di liquidazione al 31 dicembre 2005, senza modifiche, aggiunte e/o alterazioni derivanti fatti ulteriori e diversi riportati nella consulenza tecnica di parte, ma sforniti di qualsiasi riscontro probatorio), ha invece rigettato il motivo, sulla base della (erronea) percezione che «’nella sentenza impugnata la Corte territoriale non ha considerato la c.t.p. alla stregua di fonte di prova documentale», ma «ha piuttosto fondato la sua decisione sulla valutazione diretta dei bilanci in atti ».
I ricorrenti NOME invece, nel ricorso congiunto per correzione di errore materiale, rilevano che, nel dispositivo della sentenza, è
stato commesso un errore materiale in quanto questa Corte ha liquidato un unico compenso, omettendo di indicare che la somma liquidata si riferiva in favore di « ciascuna parte controricorrente », avendo i NOME resistito in cassazione con distinte difese. Si evidenzia poi che la sentenza impugnata della Corte barese era la « n. 170/2019 » del 18/12/2018 ma pubblicata il 24/1/2019, nel procedimento RG 587/2017, e non la sentenza « n. 587/2017 del 18.12.2018 », come indicato nell’intestazione.
I RAGIONE_SOCIALE, in memoria, chiedono dichiararsi inammissibile il ricorso in quanto, in dispositivo, è stato correttamente riportata la condanna alle spese, in sintonia con la motivazione, cosicché non si verte nell’unica ipotesi di correzione ammissibile di omessa statuizione sulle spese.
Il PG ha chiesto dichiararsi inammissibile la revocazione e accogliersi il ricorso per correzione di errore materiale.
Il ricorso per revocazione è inammissibile sotto plurimi profili.
4.1. Il ricorso per revocazione ex art. 391-bis c.p.c. è consentito solo se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di Cassazione è affetta da errore materiale ovvero da errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4), ossia se la decisione è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa.
Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.
L’errore revocatorio, previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.: -non può quindi riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche,
-deve consistere in un errore di percezione, del fatto, in una svista di carattere materiale,
-deve avere rilevanza decisiva,
non deve cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata,
-deve rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi. Inoltre, la revocazione di pronuncia di cassazione deve riguardare gli atti interni, cio è quelli che la Corte esamina direttamente, con propria autonoma indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e avere quindi carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza della S.C., perch é , se invece l’errore è stato causa determinante della decisione di merito, in relazione ad atti o documenti che ai fini della stessa sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati, il vizio che inficia la sentenza d à adito agli specifici mezzi di impugnazione esperibili contro le sentenze di merito (Sez. 1, n. 8295 del 20/04/2005 ;Cass. Sez. Un, n. 26022 del 2008).
Da ultimo, tali principi sono stati ribaditi dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 20013/2024: « In tema di revocazione delle pronunce della Corte di cassazione, l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare
solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte »).
4.2. Ora, nella fattispecie in esame, come osserva il PG, la questione della capienza o meno dell’attivo della RAGIONE_SOCIALE all’atto della sua liquidazione e nel periodo immediatamente precedente, era uno dei temi controversi se non « l a» questione controversa.
L’errore revocatorio quale « errore che, cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato nell’atto istruttorio » è quindi solo quello che « non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare ».
Il cd « errore di fatto » non contempla l’errore di giudizio o di valutazione sul fatto principale di causa.
Il ricorrente non può più, una volta esaurito il corso dei giudizi di merito, ridiscutere in sede di legittimità le modalità attraverso le quali il giudice di merito ha valutato, dopo averlo selezionato, il materiale probatorio ai fini della ricostruzione dei fatti di causa pervenendo alla decisione impugnata. È infatti inammissibile il ricorso al rimedio previsto dall’art. 391 bis c.p.c. nell’ ipotesi in cui il dedotto errore riguardi l’apprezzamento della prova.
La Corte d’Appello di Bari riferisce difatti che «dalla nota integrativa al bilancio prodotta dagli stessi attori si legge che il bilancio finale non presenta nessun residuo attivo» sicché il convincimento del giudice di appello appare essersi basato, se non esclusivamente, certamente in parte anche sulla « valutazione diretta dei bilanci in atti », incontestatamente prodotti anche da parte ricorrente, circostanza questa che rileva sul dirimente profilo della sussistenza dei presupposti per la richiesta revocazione.
Il ricorso congiunto dei NOME per correzione di errore materiale deve essere, invece, accolto, quanto all’indicazione degli estremi della sentenza di merito impugnata, nell’intestazione della
ordinanza, e anche quanto alla mancata liquidazione delle spese, erroneamente liquidata in solido a favore dei due controricorrenti, anziché in favore di ciascuno dei medesimi, che si erano avvalsi in quel giudizio di legittimità di diversi difensori.
L’errore materiale emendabile è l’errore esclusivamente testuale (quasi esclusivamente: v. Cass., Sez. Un., 7 luglio 2010, n. 16037, per il caso di omessa distrazione delle spese), riscontrabile ictu oculi , e che, come tale, è suscettibile di essere corretto con una procedura di natura sostanzialmente amministrativa, quale quella di cui al citato articolo 287, proprio perch é , trattandosi di errore testuale auto-evidente, la sua correzione non necessita di intervenire sulla ratio decidendi che sostiene la decisione affetta da errore, ricostruendo quale essa ratio decidendi sia.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che l’attività di specificazione o di interpretazione di una sentenza di Cassazione (nella specie richiesta in riferimento alla liquidazione delle spese nei confronti di pi ù parti costituite) non pu ò essere oggetto n é del procedimento di correzione di errore materiale, n é di quello per revocazione, a norma dell’art. 391bis cod. proc. civ., con conseguente inammissibilit à del relativo ricorso (Cass. 23 dicembre 2009, n. 27218).
L’orientamento delle Sezioni Unite è stato poi ribadito dalle pi ù recenti ordinanze 30 luglio 2014, n. 17418, e 6 marzo 2017, n. 5595, entrambe aventi ad oggetto problemi di liquidazione delle spese in favore di pi ù parti. Il principio è stato ribadito di recente da Cass. 24417/2020.
In particolare, in Cass. 29029/2018 si è chiarito che « nell’ipotesi in cui sia mancata la liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza (emessa anche ex articolo 429 c.p.c.), benché in motivazione si riscontri la statuizione che le pone a carico del soccombente, l’interessato deve esperire il procedimento di correzione ai sensi dell’art. 287 c.p.c. per ottenerne la
quantificazione ». E in Cass. 28323/2020 si è precisato che « In materia di spese di lite, la mancata liquidazione nel provvedimento degli accessori di legge, così come l’omessa indicazione delle parti beneficiarie della liquidazione, costituiscono errori materiali suscettibili di correzione con l’apposito procedimento di cui agli artt. 287 e ss. c.p.c .».
Queste Sezioni Unite hanno poi ribadito (Cass. SU n. 19137/2023) che « Il mancato regolamento delle spese processuali, nel dispositivo e anche nella motivazione, è emendabile soltanto con l’impugnazione ordinaria, non già con la speciale procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 ss. c.p.c.»
In motivazione, nell’ordinanza del 2022 di questa Corte, oggetto dell’istanza di correzione, si disponeva in motivazione che le spese del giudizio di legittimità « liquidate come in dispositivo » dovessero essere poste a carico dei ricorrenti, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso. In dispositivo, si disponeva poi soltanto la liquidazione delle spese e la condanna a carico dei convenuti, nulla precisandosi in ordine alla distinta posizione dei due controricorrenti.
Seppure come ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte, con riguardo alla sentenza che abbia liquidato le spese del processo in favore di pi ù parti vittoriose, « in termini globali e cumulativi », deve escludersi che queste ultime possano proporre istanza di correzione, a norma degli art. 287 ss. c.p.c., per conseguire un riconoscimento separato di dette spese, sotto il profilo del carattere autonomo e distinto delle rispettive posizioni processuali, implicando ci ò la denuncia di un errore di giudizio e non di un mero errore materiale (Cass. Sez. U. 18 aprile 1986, n. 198): ma ci ò vale, appunto, per il caso, diverso da quello in esame, in cui la pronuncia abbia inteso espressamente conglobare i compensi di pi ù parti in un unico importo (Cass. 28323/2020).
Nella fattispecie in esame invece la Corte ha soltanto omesso di indicare che la liquidazione delle spese era disposta in favore di ognuno dei controricorrenti vittoriosi, secondo il principio di soccombenza, come statuito in motivazione.
Per tutto quanto sopra esposto, occorre:
dichiarare l’ inammissibilità del ricorso per revocazione;
accogliere il ricorso per correzione errore materiale, nel senso che, laddove, nell’intestazione, è scritto che la sentenza impugnata della Corte d’appello di Bari è la «n . 170/2019 » del 18/12/2018, debba leggersi e intendersi che la sentenza impugnata è la « n. 587/2017 del 18.12.2018, nel procedimento RG 587/2017 R.G.» e , laddove è scritto condanna i ricorrenti « al pagamento delle spese giudiziali del presente giudizio di legittimit à, in € 4500 per onorari e € 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge », debba leggersi e intendersi condanna i ricorrenti « al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese giudiziali del presente giudizio di legittimit à, in € 4500 per onorari e € 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge ».
Le spese del presente giudizio di legittimità, quanto al ricorso per revocazione, seguono la soccombenza e vanno liquidate in favore di ciascuna parte controricorrente.
Nulla va statuito in punto spese del procedimento di correzione di errore materiale, secondo quanto da ultimo affermato dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 29432/2024: « Nel procedimento di correzione degli errori materiali ex artt. 287, 288 e 391-bis c.p.c., avente natura sostanzialmente amministrativa e non diretto a incidere, in situazione di contrasto tra le parti, sull’assetto di interessi già regolato dal provvedimento corrigendo, non può procedersi alla liquidazione delle spese, perché in nessun caso è configurabile una situazione di soccombenza ai sensi dell’art. 91 c.p.c., neppure
nell’ipotesi in cui la parte non richiedente, partecipando al contraddittorio, si opponga all’istanza di rettifica »).
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso per revocazione;
condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, in favore di ciascuna parte controricorrente, liquidate in complessivi € 3.200,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.;
ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, nel procedimento per revocazione, da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13;
nel procedimento riunito per correzione errore materiale dell’ordinanza n. 35640/2022 di questa Corte di Cassazione, dispone che, laddove, nell’intestazione dell’ordinanza, è scritto che la sentenza impugnata della Corte d’appello di Bari è la «n . 170/2019 » del 18/12/2018, debba leggersi e intendersi che la sentenza impugnata è la « n. 587/2017 del 18.12.2018, nel procedimento RG 587/2017 R.G.» e, laddove è scritto, in dispositivo, condanna i ricorrenti « al pagamento delle spese giudiziali del presente giudizio di legittimit à, in € 4500 per onorari e € 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge », debba leggersi e intendersi condanna i ricorrenti « al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese giudiziali del presente giudizio di
legittimit à, in € 4500 per onorari e € 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge ».
Così deciso, a Roma, nella camera di consiglio del 2 aprile 2025.