Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25987 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25987 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17940/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rapp. p.t., elettivamente domiciliato in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.
-ricorrente-
contro
BANCO DI SARDEGNA SPA, in persona del legale rapp. p.t., elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), come da procura speciale in atti.
-controricorrente-
Avverso l’ ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 10035/2023 depositata il 14/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
1. -Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 17676/2016, respinse l’opposizione, proposta dalla debitrice principale RAGIONE_SOCIALE e dalla garante RAGIONE_SOCIALE contro il RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, avverso il decreto ingiuntivo, recante condanna al pagamento della somma di euro 1.634.131,17=, oltre interessi e spese, a titolo di saldo negativo di conti correnti dai quali l’istituto era receduto.
Con sentenza del 20 giugno 2019, la Corte d’appello di Roma respinse l’appello principale delle società e dichiarò assorbito l’appello incidentale della banca.
Avverso questa sentenza propose ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, sulla base di sette motivi. La banca intimata resistette con controricorso.
Questa Corte, con ordinanza n.10035/2023, ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente alle spese di lite.
Con il presente ricorso, RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso con un mezzo, chiedendo la revocazione dell’ordinanza di questa Corte n. cron. 10035/23, resa nel giudizio NRG 4027/20, pubblicata il 14 aprile 2023, non notificata, e l’adozione di tutti i conseguenti provvedimenti. RAGIONE_SOCIALE ha replicato con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
È stata disposta la trattazione camerale, ai sensi dell’art. 380 -bis.1 c.p.c.
CONSIDERATO CHE:
2. -Con l’unico motivo la ricorrente deduce che la pronuncia oggetto di revocazione è fondata sulla supposizione di un fatto,
ossia l’assenza di notizie della cessione prima dell’iscrizione dell’atto di cessione nel registro delle imprese eseguita il 14.09.2011, la cui verità era, invece, positivamente stabilita.
La censura riguarda la statuizione assunta in relazione al settimo motivo del ricorso svolto nel giudizio di legittimità che precede il presente.
A parere della ricorrente, l’ordinanza di legittimità impugnata è l’effetto di un errore di fatto ai sensi dell’art. 395, numero 4), c.p.c. in cui è incorso il giudicante, per avere supposto l’inesistenza di elementi di fatto che comprovassero la circostanza che il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE avesse ricevuto notizia della cessione di azienda, e con essa dei rapporti di contocorrente oggetto del contendere, prima dell’iscrizione presso il registro delle imprese dell’atto di cessione di azienda, in quanto era in atti la comunicazione di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE datata 12.07.2011, con cui lo stesso RAGIONE_SOCIALE dava atto dell’intervenuta cessione di azienda.
La ricorrente osserva che tale documento era stato peraltro esaminato dai giudici del merito di entrambi i gradi di giudizio, i quali avevano pertanto accertato, a suo parere, che il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE fosse a conoscenza del trasferimento, quantomeno dal 12.07.2011.
Preliminarmente, va osservato che il documento in questione (identificabile con il doc. 10) è datato 1° luglio 2011 e non 12 luglio 2011 (come indicato in ricorso, ma emendato dalla stessa ricorrente in memoria).
3. -Il motivo è inammissibile.
3.1. -Com’è noto, l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza o dell’ordinanza, ivi comprese quelle della Corte di cassazione, postula l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali, e deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia
indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività, senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive, c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (cfr. Cass. n. 16439/2021; Cass. n. 3190/2006). In riferimento alle sentenze di cassazione, esso deve inoltre riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, cioè quelli che la Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere esclusivamente sulla sentenza di cassazione (cfr. Cass. n. 26643/2018; Cass. n. 4456/2015; Cass. n. 3820/2014).
Continuando a ripercorrere i principi in materia di revocazione, va ricordato, inoltre, che non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della Cassazione della quale si censuri la valutazione del motivo di ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perché in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso (Cass. n. 3760/2018).
3.2. -Tanto premesso, giova rilevare che nell’ordinanza impugnata è svolta un’ampia trattazione in ordine all’efficacia costitutiva prevista per l’iscrizione delle modificazioni dello statuto societario ex art.2436 c.c., efficacia che viene distinta da quella solo dichiarativa prevista per l’iscrizione della cessione di azienda di cui all’art.2556, secondo comma, c.c., agli effetti di cui all’art.2193 c.c., ed è approfonditamente affrontato il tema del recesso del terzo contraente dai contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda, in
caso di cessione della stessa, recesso che può essere esercitato entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, secondo quanto previsto dall’art.2558, secondo comma, c.c.; viene, inoltre analizzato il significato del termine ‘notizia’, anche al fine dell’individuazione del termine a quo per l’esercizio del recesso.
Su questa complessa, ma parziale, motivazione la ricorrente si sofferma lungamente, senza tuttavia cogliere la complessiva ratio decidendi su cui è fondato, nell’ordinanza impugnata, il rigetto del settimo motivo del ricorso per cassazione originariamente proposto e del ricorso nel suo complesso, tanto e vero che RAGIONE_SOCIALE risulta essere interamente soccombente.
Invero, la Corte di legittimità, dopo avere esposto il differente effetto che consegue ex lege all’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di modifica del capitale sociale e dello statuto – effetto costitutivo ai sensi dell’art.2436 c.c. -e del negozio di trasferimento dell’azienda -effetto dichiarativo ai sensi dell’art.2193 c.c. -, ha, tuttavia, precisato che vi può essere spazio per una diversa disciplina degli effetti convenzionalmente concordata.
Nel caso di specie, come è precisato nell’ordinanza per la quale si agisce in revocazione, è stata accertata una differente disciplina convenzionale dell’effetto costitutivo della cessione d’azienda, tanto è vero che è affermato « 3.3.8. -Ciò posto, non è precluso alle parti contraenti conferente e conferitaria -di pattuire un diverso dies a quo degli effetti traslativi del trasferimento d’azienda, pur nell’ambito del conferimento di essa da sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale.
Della rilevanza di tale accordo, ai fini societari e con riguardo all’effettività dell’aumento del capitale (cfr. art. 2444 c.c.), ora non si discute, essendo questione estranea al thema decidendum.
Nell’ambito dell’oggetto della odierna controversia, invero, non sono in questione né i profili civilistici dell’aumento mediante
conferimento non ancora efficace al momento della sottoscrizione, né i profili fiscali di una eventuale evasione d’imposta; ma unicamente l’esistenza, o no, di un recesso tempestivo del contraente ceduto in occasione del conferimento d’azienda, recesso da esercitare entro tre mesi dalla sua notizia.
Onde, in definitiva, questa notizia potrebbe solo occasionalmente coincidere con l’esistenza giuridica del fatto notiziato (l’effetto traslativo), avendo rilievo in sé e ben potendo seguire, come spesso avviene, dopo un certo tempo dalla cessione stessa.
Ciò che, dunque, nella specie rileva è la situazione concreta, in cui -secondo l’insindacabile accertamento operato in fatto dalla corte territoriale -i contraenti pattuirono la decorrenza del trasferimento della proprietà dell’azienda al momento dell’iscrizione di esso nel registro delle imprese ex art. 2556 c.c., avvenuta nel settembre 2011.
Si tratta di un accertamento, sia quanto alla vicenda storica dell’iscrizione, sia quanto agli effetti voluti dalle parti contraenti, non ripetibile in sede di legittimità.
Proprio a tale accertamento di fatto la corte territoriale ha ancorato la ritenuta irrilevanza della pretesa precedente iscrizione nel registro delle imprese dell’operazione sul capitale sociale, nonché il suo prudente apprezzamento circa la mancata prova che al terzo contraente ceduto (la banca) la notizia del trasferimento aziendale pervenne prima del mese di settembre 2011, con conseguente ritenuto recesso tempestivo dal contratto bancario.
3.3.9. -In conclusione, il motivo non può trovare accoglimento, perchè non sono integrati i vizi denunziati, sulla base della ricostruzione fattuale della vicenda operata dai giudici del merito; mentre l’insistere circa l’esistenza, in concreto, di una serie di missive, da cui la banca avrebbe ricavato la conoscenza dell’evento
ben prima del mese di settembre 2011, si infrange contro i limiti del giudizio di legittimità.».
3.3. -Risulta evidente che la Corte di merito, come rimarcato da questa Corte nell’ordinanza impugnata, ha ritenuto dirimente la peculiare circostanza – accertata in fatto e non contestata da alcuno -che le stesse parti del negozio di cessione di azienda in questione convennero, nell’esercizio dell’autonomia negoziale, di far decorrere dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese gli effetti traslativi del trasferimento della proprietà e non solo gli effetti dichiarativi. Per tale ragione, la Corte di merito ha fatto decorrere il termine a quo per il tempestivo esercizio del recesso, dall’iscrizione nel registro delle imprese del negozio di cessione, tenuto conto che – nel caso di specie – per la indiscussa volontà delle parti l’accordo negoziale non aveva prodotto alcun effetto prima e la Corte di legittimità ha confermato la statuizione impugnata sulla base della ricostruzione fattuale della vicenda operata dai giudici del merito.
3.4. -Pertanto, la doglianza proposta che lamenta l’erronea percezione della nota del 1° luglio 2011, è inammissibile perché non evidenzia alcun errore di percezione decisivo e rilevante, in quanto risulta presa in esame, sia pure per escluderne la decisività, tutta la documentazione anteriore al settembre 2011.
Come si evince dall’ordinanza n.10035/2023, questa Corte ha respinto l’impugnazione, sulla scorta dell’accertamento fattuale operato dalla Corte di merito, che aveva fatto decorrere il termine per l’esercizio del recesso dall’iscrizione nel registro delle imprese -momento in cui le parti avevano convenuto che si verificasse l’effetto traslativo e che coincideva, anche, con la conoscibilità legale del trasferimento – e non aveva tratto da documenti e note anteriori elementi probatori (di cui era onerata la cedente) tali da cui desumere, secondo il prudente apprezzamento, che la banca avesse avuto un’anteriore indicazione degli elementi essenziali atti
ad identificare il contratto posto in essere tra conduttore e terzo insieme alle altre notizie relative alla persona del cessionario in modo da poter manifestare il recesso cognita causa (Cass. n.5817/2001).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 10.000,00=, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima