Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20512 Anno 2025
di
cassazione
–
Inammissibilità
del
ricorso
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 27.5.2025 AC
COGNOME
R.G.N. 21747/24
16488/2022
NOME
Consigliere – Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al N. 21747/2024 R.G., proposto da:
ANNIFO IMMOBILIARE DI COGNOME RAGIONE_SOCIALE ‘ in persona del suo ex legale rappresentante pro-tempore, sig.ra COGNOME COGNOME (così in ricorso), nonché COGNOME in proprio, rappresentate e difese dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale NOME COGNOME quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
avverso l ‘ordinanza della Corte di cassazione n. 25804/2024 pubblicata il 26.9.2024;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 27.5.2025 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Si trascrive da Cass. n. 25804/2024: ‘ 1. La RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE proponeva (no) opposizione avverso il decreto ingiuntivo n° 16300/2016 (R.G. 45635/2016), notificato il 20.7.2016, emesso dal Tribunale di Roma il 6.7.2016 in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria dell’Acea RAGIONE_SOCIALE.p.RAGIONE_SOCIALE, nell’importo di € 58.534,69, oltre accessor i e spese, per fornitura di energia elettrica. L’ RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e COGNOME COGNOME a fondamento de ll’opposizione eccepiva (no) : a) l’inammissibilità del procedimento monitorio per illiquidità e incertezza della pretesa creditoria e mancata produzione delle fatture indicate negli allegati estratti contabili; b) la mancata dimostrazione del credito azionato per non essere state riportate nelle fatture le letture del contatore dalle quali ricavare i consumi reali, nonché l’eccezione quinquennale ex art. 2948 C.C. nel caso la stessa risultasse maturata, attesa la genericità del ricorso ingiuntivo che impediva di svolgere una difesa compiuta e precisa. Il Tribunale di Roma, con sentenza ex art. 281 sexies C.P.C. n° 22849/2019, in accoglimento dell’opposizione interposta dalle ingiunte, dichiarava infondato il preteso credito, revocava il decreto ingiuntivo e c ondannava l’RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese di lite per € 13.851,50 e al risarcimento dei danni per lite temeraria nell’importo di € 10.000,00 liquidato in via equitativa 2. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 1480 del 3 marzo 2022, accogli eva il ricorso dell’ACEA e riformava la sentenza del Tribunale. Riteneva che il giudice
di primo grado avesse erroneamente interpretato il principio dell’onere della prova e il principio di non contestazione incorrendo in errore nel ritenere ammissibile il deposito documentale effettuato dall’azienda. Infatti, pur in mancanza di una formale opposizione da parte di ACEA, il giudice avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il deposito, poiché i termini ex art. 183 c.p.c., aventi natura perentoria, erano scaduti ed era, quindi, precluso il deposito di documentazione. Inoltre, riteneva che l’RAGIONE_SOCIALE non avesse superato la presunzione di veridicità della contabilizzazione effettuata da Acea. 3. Propon (gono) ricorso per cassazione La RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, sulla base di due motivi illustrati da memoria. 4. La società RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso ‘.
Con la citata ord. Cass. n. 25804/2024, questa Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso della società e del socio accomandatario, sia per difetto di specificità dei motivi proposti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., sia perché tendenti a rimettere in discussione la fattispecie concreta, rimessa alla esclusiva valutazione del giudice del merito, sia per commistione degli argomenti che investivano il preteso omesso esame di più fatti e i vizi di illogicità e contraddittorietà della motivazione, tanto più che le censure riguardavano la ponderazione degli elementi istruttori operata dal giudice del merito.
Avverso detta ordinanza, la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE propongono ricorso per revocazione ex art. 391bis c.p.c., sulla scorta di due motivi, cui resiste con controricorso la Acea s.p.a.,
N. 21747/24 R.G.
quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo, si denuncia la ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113, 115, 116 e C.P.C.; 118 disp. att. C.P.C.; artt. 2730, 2733, 2734, 2739 e 2697 C.C.; art. 26, 2° e 4° comma, D.P.R. 633/1972; artt. 111 Cost., per avere la Corte di Cassazione, con una motivazione apparente e astratta, dichiarato inammissibile il primo e il secondo motivo di ricorso sull’assunto che non fossero state dedotte argomentazioni sulla lamentata violazione e/o falsa applicazione delle norme indicate in epigrafe, non esaminando e non percependo per tale infondata ragione l’esistenza della risolutiva dichiarazione confessoria resa dell’Acea s.p.a. con note trasmesse il 9.1.2019, a seguito del deferimento a essa del giuramento decisorio, con la quale confermava il totale azzeramento del credito da parte dell’Acea Energia s.p.a. con l’emissione delle note di variazione per mancanza del presupposto impositivo ex art. 26, 2° comma, DPR 633/1972, oltre a non avere esaminato e percepito la ulteriore decisiva circostanza che fosse totalmente mancante la prova del vantato credito poiché mai prodotti dalla sua mandante le letture del contatore e il conguaglio sulla base dei consumi effettivi, né percepito l’assenza totale di richieste istruttorie da parte dell’Acea s.p. a. (art. 360, 1° comma, n° 3, 4, e 5, C.P.C.) ‘.
1.2 -Con il secondo motivo, si denuncia la ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 C.P.C.; 118 disp. att. C.P.C.; artt. 2730, 2733, 2734, 2739 e 2697 C.C.; art. 26, 2° e 4° comma, D.P.R. 633/1972; artt. 111 Cost. per avere la Corte di Cassazione, con una motivazione apparente e astratta,
dichiarato inammissibile il primo e il secondo motivo di ricorso sull’assunto che non fossero state dedotte argomentazioni sulla lamentata violazione e/o falsa applicazione delle norme indicate in epigrafe, non esaminando e non percependo per tale infondat a ragione l’inesistenza di richieste istruttorie da parte dell’Acea s.p.a., della prova dei consumi e del vantato credito, quando era evidente che il giudice d’appello aveva fatto chiaramente mal governo dei principi dell’onere della prova, di quello di non contestazione e di quello della c.d. presunzione di veridicità della contabilizzazione sull’assunto che le opponenti si fossero difese genericamente e tardivamente per non avere contestato specificatamente l’anonimo e incomprensibile documento di un terz o, chiamato strumentalmente quanto infondatamente dall’Acea s.p.a. certificazione dei prelievi, quando, altresì, era evidente che lo stesso non dimostrasse nulla e non fosse soggetto al regime di non contestazione ex art. 115 C.P.C. (art. 360, 1° comma, n° 3, 4, e 5, C.P.C.) .
2.1 -In via del tutto preliminare, va rilevato che il ricorso che occupa è stato singolarmente proposto dalla società in accomandita semplice, ‘ in persona del suo ex legale rappresentante pro-tempore, sig.ra COGNOME COGNOME (così in ricorso, enfasi aggiunta), nonché dalla socia accomandataria NOME COGNOME in proprio.
Ora, a parte la pretesa di attribuire un potere di rappresentanza sostanziale ad una persona fisica che si qualifica come ‘ ex legale rappresentante pro tempore ‘ di una società di persone – ciò che costituisce già di per sé un ossimoro – vi è che sia la società, che la socia accomandataria, risultano essere state dichiarate fallite con sentenza del Tribunale di Roma n. 208 del 15.3.2018 e che la presente
causa, nel giudizio di primo grado, venne dichiarata interrotta e quindi venne riassunta su iniziativa dei soggetti falliti (v., rispettivamente, all. 19 e 20 del fascicolo delle ricorrenti); i quali, da quanto risulta dagli atti legittimamente esaminabili da questa Corte, sono sempre stati parte attiva della controversia che occupa, senza alcun coinvolgimento del curatore fallimentare; né risulta che il fallimento sia stato revocato. Anzi, in memoria la controricorrente ha precisato che, con ordinanza di questa Corte n. 12525/2024, è stato rigettato il ricorso proposto dalla stessa società e dalla socia accomandataria avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, che aveva respinto il reclamo dalle stesse proposto avverso la sentenza dichiarativa del fallimento.
Ciò posto , è ben noto che ‘ Il fallito è privo della capacità di stare in giudizio nelle controversie concernenti i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, ad eccezione delle ipotesi in cui egli agisca per la tutela di diritti strettamente personali o l’amministrazione fallimentare sia rimasta inerte con riferimento ai suddetti rapporti patrimoniali, manifestando indifferenza nei confronti del processo. Pertanto, quando il curatore è in giudizio e il suo potere di impugnazione è stato oggetto di specifico esame e di determinazione in sede fallimentare, il fallito non può conservare per il medesimo rapporto la legittimazione processuale ad impugnare ed il suo difetto di legittimazione è rilevabile, anche d’ufficio, dal giudice del gravame, poiché il curatore sta in causa sia per la massa dei creditori sia per il fallito e il suo comportamento processuale vincola l’una e l’altro. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione del fallito, giacché la curatela non aveva manifestato disinteresse per la vicenda processuale, ma era stata parte della controversia ed
aveva, piuttosto, espresso una valutazione negativa in ordine alla convenienza della prosecuzione della stessa) ‘ (così, ex multis , Cass. n. 31313/2018). Correlativamente, si è più di recente affermato che ‘ Nelle controversie relative a rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, al fallito compete una legittimazione processuale suppletiva nella sola ipotesi di totale disinteresse del curatore; in tal caso, la decisione sfavorevole al fallito è inopponibile alla massa in ragione della regola del concorso formale e sostanziale di cui al combinato disposto degli artt. 51 e 52 l.fall. (potendo essere azionata nei confronti del fallito dopo che sia tornato in bonis), mentre la statuizione che determini un risultato patrimoniale utile può essere azionata esecutivamente dal curatore quale valido titolo giudiziale che il fallimento acquisisce in virtù degli artt. 42 e 44 l.fall. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, nell’accogliere la domanda risarcitoria intentata personalmente dal fallito nei confronti del perito incaricato dal curatore della stima dei cespiti acquisiti all’attivo fallimentare, aveva attribuito la relativa somma in favore del fallito medesimo, anziché della massa fallimentare) ‘ (Cass. n. 33546/2023; ma v. anche Cass. n. 32634/2023). Da quanto precede, dunque -premessa la natura strettamente patrimoniale del rapporto in parola, ed in assenza di qualsiasi informazione sul grado di coinvolgimento degli organi fallimentari e sulle iniziative dagli stessi adottate con riguardo alla presente controversia -, può seriamente dubitarsi della legittimazione processuale delle odierne ricorrenti circa l’iniziativa che occupa, posto che l’opposizione a decreto ingiuntivo venne da esse propost a allorquando erano ancora in bonis e che il credito in parola, pertanto, non può non rientrare nella massa passiva della procedura concorsuale, con ogni conseguenza (anche
N. 21747/24 R.G.
circa l ‘effettiva utilità, per l’odierna controricorrente , del titolo condannatorio formatosi nel presente giudizio, stante la sua inefficacia relativa nei confronti della procedura stessa: v. Cass. n. 13810/2022; Cass. n. 23474/2020).
2.2 -Senonché, può osservarsi che la suddetta questione non venne rilevata con l’ordinanza revocanda nell’ambito del precedente giudizio di legittimità, nonostante il ricorso, iscritto al N. 8581/2022 R.G., fosse stato proposto esattamente dagli stessi soggetti odierni ricorrenti e con la medesima spendita di qualità (v. ricorso originario, doc. 44 ric.ti). Proprio a causa di tanto, quindi, ritiene la Corte che la legitimatio ad processum delle odierne ricorrenti -quali parti formali destinatarie dell’ordinanza n. 25804/2024 -non possa essere revocata in dubbio, quantomeno con riguardo alla fase rescindente di questo giudizio di revocazione, potendo il problema al più porsi nella eventuale fase rescissoria; che però, per quanto si dirà tra breve, non si avrà modo di affrontare nel caso in esame.
3.1 Il ricorso è infatti inammissibile.
Come è noto, ai fini della revocazione della sentenza per errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., occorre che si integrino i seguenti presupposti:
a) l’errore (c.d. di percezione) non deve consistere in un errore di giudizio ma in un errore di fatto (svista percettiva immediatamente evincibile) che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato dagli atti di causa; esso postula l’esistenza di un contrasto risultante con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive -tra due rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla
N. 21747/24 R.G.
sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali (Cass, Sez. Un., n. 31032/2019; Cass. n. 442/2018; Cass. n. 22171/2010);
b) l’errore deve essere essenziale e decisivo, nel senso che, in mancanza di esso, la decisione sarebbe stata di segno opposto a quella in concreto adottata (Cass. n. 16439/2021; Cass. n. 6038/2016; Cass. n. 24334/2014);
c) in particolare, l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza di cassazione, ex artt. 391bis e 395, n. 4 c.p.c., deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, che la Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere auton omo, nel senso di incidere esclusivamente sulla sentenza di legittimità; diversamente, ove l’errore sia stato causa determinante della sentenza di merito, in relazione ad atti o documenti che sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati in quella sede, il vizio della sentenza deve essere fatto valere con gli ordinari mezzi di impugnazione (si veda, per tutte, la recente Cass., Sez. Un., n. 20013/2024);
d) il fatto incontrastabilmente escluso di cui erroneamente viene supposta l’esistenza (o quello positivamente accertato di cui erroneamente viene supposta l’inesistenza) non deve aver costituito oggetto di discussione nel processo e non deve quindi riguardare un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata; ove su un fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa, la pronuncia del giudice non si configura, infatti, come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa delle risultanze processuali, sottraendosi
N. 21747/24 R.G.
come tale al rimedio revocatorio (Cass. n. 2236/2022; Cass. n. 26890/2019; Cass. n. 9527/2019; Cass. n. 27622/2018; Cass. n. 14929/2018).
3.2 -Ebbene, ritiene la Corte che quelli complessivamente denunciati siano errori di giudizio e non già errori di fatto revocatori.
Sul piano meramente astratto, l’impostazione seguita dai ricorrenti sul merito della vicenda parrebbe ineccepibile. Infatti: a) il decreto ingiuntivo opposto è fondato su fatture; b) le fatture sono state annullate per iniziativa dell’emittente ; c) l’A cea non ha offerto alcun altro elemento dimostrativo del credito; d) ergo , l’opposizione a d.i. non può che essere fondata.
Ora, a parte il fatto che la C orte d’appello, nel rigettare l’opposizione a seguito dell’accoglimento del gravame di Acea, ha valorizzato la pacifica e incontestata fruizione della fornitura di energia elettrica, per lungo tempo, da parte della società, in buona sostanza col ricorso per revocazione ci si duole del fatto che questa Corte , con l’ordinanza revocanda, avrebbe dovuto accogliere il ricorso per cassazione perché Acea aveva confessato l’inesistenza del credito : ciò non sarebbe stato erroneamente percepito da questa Corte di legittimità, che non avrebbe tratto le dovute conseguenze dal ritenuto (dalle ricorrenti) ‘vuoto probatorio’ sul credito.
3.3 -Tuttavia, l’ordinanza revocanda mostra di aver ben chiara la vicenda fattuale sottostante, avendo censurato il ricorso -ritenuto inammissibile -in forza di tipiche valutazioni, cioè, di giudizi, che ovviamente non possono essere investiti dal l’impugnazione per revocazione, essendosi presi in considerazione tutti gli argomenti spesi dalle odierne ricorrenti (v. in particolare, a p. 6 dell’ordinanza ), per disattenderle.
N. 21747/24 R.G.
Insomma, ritiene la Corte che -in siffatto modus operandi -non possano scorgersi errori di percezione o sviste di sorta, che infatti i ricorrenti non riescono neppure a spiegare o indicare, se non con una dedotta (e presunta) generale superficialità nell’approccio all’esame del ricorso stesso, da parte del Collegio precedente. Costituisce prova decisiva di ciò, a ben vedere, il fatto che nelle stesse rubriche di entrambi i motivi le ricorrenti lamentino il vizio di apparenza della motivazione dell’ordinanza revocanda, il che notoriamente costituisce, di regola, un errore di giudizio, non certo di percezione.
4.1 In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna le ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese processuali, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data