Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3541 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3541 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25471/2023 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliatiin MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME come da procura speciale in atti.
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp. p.t., elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.
-controricorrente-
avverso l’ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 11334/2023 depositata il 02/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Letta la requisitoria scritta depositata dal Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
-Il 31.01.2011 NOME e NOME COGNOME in qualità di promittenti venditori, ebbero a stipulare con RAGIONE_SOCIALE in qualità di promissaria acquirente, contratto preliminare di vendita del 100% delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE
Detto contratto venne risolto il 29.10.2012 e, contestualmente, NOME e NOME COGNOME stipularono un contratto preliminare con NOME COGNOME, legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, promissario acquirente della totalità delle quote sociali della società RAGIONE_SOCIALE, che, a sua volta, ex art. 1401 c.c., nominò parte contraente la società RAGIONE_SOCIALE
Il 15.04.2013 le parti stipularono il contratto definitivo di cessione del 49% del capitale sociale della società nonché una scrittura privata nella quale dettero dato atto di mantenere fermi gli accordi di cui al preliminare del 29.10.2012.
Le parti fissarono il prezzo della cessione nella somma complessiva di euro 2.150.000 da corrispondersi in due tranches: euro 1.000.000 entro il 31.03.2014 ed euro 1.150.000,00 entro il 31.03.2015.
Prima del pagamento della prima tranche la RAGIONE_SOCIALE inviò ai contraenti una raccomandata con la quale rappresentò l’inefficacia della risoluzione del contratto preliminare stipulato con i germani COGNOME, diffidando la società Campodolcino dal pagamento delle somme dovute.
Poiché la società si adeguò alla diffida, i ricorrenti ottennero decreto ingiuntivo per la somma dovuta. La società RAGIONE_SOCIALE spiegò opposizione. Il Tribunale di Milano accolse parzialmente
l’opposizione e decurtò la somma richiesta dell’importo dovuto dalla società RAGIONE_SOCIALE all’Erario per pendenze debitorie, sulla base della pattuizione che prevedeva che eventuali sopravvenienze attive o passive risalenti ad esercizi precedenti la vendita erano a carico dei venditori.
L’appello proposto dai germani COGNOME venne rigettato con sentenza n.3449/2019 della Corte di Appello di Milano e ugualmente venne respinto con ordinanza n. 11334/2023 il ricorso dagli stessi proposto dinanzi alla Corte di Cassazione.
L’ordinanza di legittimità n. 11334/2023 è stata ricorsa per revocazione dai germani COGNOME con un mezzo illustrato con memoria. La società RAGIONE_SOCIALE ha replicato con controricorso.
La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
È stata disposta la trattazione camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. -Con l’unico motivo di ricorso è denunciato l’errore di fatto ex art.391 bis e 395, primo comma, n.4, c.p.c. «Per avere il Collegio omesso di scrutinare, nell’ordinanza qui impugnata per mera svista e mancata percezione, la clausola 7 dell’atto notarile, confusa con la diversa clausola 7 del contratto preliminare, tanto da affermare che ‘La clausola n. 7, sulla quale i ricorrenti fondano la loro tesi, è del tutto irrilevante, perché riguardante pratiche amministrative non inerenti alla materia del contendere, essendo, invece, decisiva la clausola n. 9’…. Per avere riguardato, quindi, tale errore percettivo, una circostanza (clausola 7 dell’atto notarile, anziché la diversa clausola 7 del contratto preliminare), dotata della necessaria decisività e che non ha costituito oggetto di controversia tra le parti; nel senso che non è mai stato oggetto di controversia il fatto che la lite potesse riguardare la diversa clausola contrattuale (art. 7 del contratto preliminare), rispetto alla clausola 7 dell’atto
notarile, ma soltanto la concreta interpretazione ed applicazione di quest’ultima clausola.» (fol. 2 -3 del ricorso).
3. -Il motivo è inammissibile.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di chiarire che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa.
Le medesime Sezioni Unite hanno più di recente precisato, sempre in tema di revocazione delle pronunce di questa Corte, che l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (Cass. Sez. U. n. 20013/2024).
4. -La doglianza in esame, piuttosto che evidenziare un errore di fatto percettivo con le caratteristiche appena menzionate, investe il sindacato svolto da questa Corte e prospetta un errore di giudizio, senza peraltro confrontarsi con il contenuto della decisione impugnata e sollecitando, nella sostanza, l’adozione di una diversa decisione sui motivi del ricorso per cassazione originariamente proposto.
La doglianza va disattesa.
L’ordinanza impugnata così ha deciso: «1.Violazione e falsa applicazione degli artt. 633 ss. c.p.c. e 1362, 1363,1366, 1367 e 1369 c.c. con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La Corte avrebbe violato i canoni ermeneutici degli artt. 1362 e 1366 ss. c.c. non raggiungendo ‘l’unica interpretazione possibile’ in violazione dei principi interpretativi di questa Corte. 1.1 La censura è inammissibile, perché non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto, nonché il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, (Cass.,n.15798/2005;Cass., n.25728/2013; Cass., n. 12279/2016 Cass., n. 29093/2018 Cass., n. 9461/2021). A tale fine, l’estrapolazione del singolo brano della motivazione del provvedimento che si intenda censurare deve associarsi a una puntuale evidenziazione del vizio, dissolvendosi altrimenti la deduzione critica in un’astratta enunciazione di principio (ex multis Cass., n.30885/2022). Nella specie, la censura mira ad ottenere una interpretazione del contratto conforme alle aspettative dei ricorrenti. Il motivo non coglie neppure la ratio decidendi, secondo cui la clausola n. 7, sulla quale i ricorrenti fondano la loro tesi, è del tutto irrilevante, perché riguardante pratiche amministrative non inerenti alla materia del contendere, essendo, invece, decisiva la clausola n. 9. La Corte, nel merito, evidenzia che i ricorrenti avevano proceduto alla richiesta di ingiunzione per l’intero ammontare senza provvedere all’adempimento delle pendenze debitorie e superando o non attuando la divisione in tranches sulla quale oggi fondano la non corretta interpretazione del contratto.» .
Orbene, la statuizione impugnata esprime una ratio concernente il motivo di censura relativo alla erronea
interpretazione del contratto di compravendita notarile, nel cui ambito sicuramente rientra anche la previsione contrattuale di cui discutono i ricorrenti e cioè la seguente previsione «Al momento del secondo versamento al saldo prezzo la società RAGIONE_SOCIALE non dovrà avere posizioni debitorie di qualsivoglia genere e tipo, comprese pendenze di carattere fiscale antecedenti alla data di oggi» (previsione priva di numerazione alla quale è stata applicata una ideale numerazione progressiva dell’atto notarile proprio dagli odierni ricorrenti, per loro stessa ammissione,- fol.2 del ric.): infatti, questa previsione, priva di numerazione, è stata espressamente presa in esame dalla Corte di appello (fol. 7, ultimi tre righi, della sentenza di appello), devoluta alla Corte di legittimità con il primo ricorso e esattamente esaminata con la statuizione impugnata, che vi si sofferma nell’ultimo periodo del par.1.1. prima trascritto.
La circostanza che, ad abundantiam , la Corte abbia preso in considerazione anche la clausola 7 del contratto preliminare non induce affatto la fondatezza della prospettazione dell’errore percettivo compiuta dei ricorrenti, in quanto palesa al più un esame eventualmente non necessario dal quale, tuttavia, non è possibile inferire l’incompletezza della vicenda esaminata quanto alla regolamentazione contrattuale della compravendita riveniente dall’atto notarile, oggetto della censura di violazione delle regole di ermeneutica contrattuale.
5.- In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
-Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in euro 5.000,00=, oltre euro 200,00= per esborsi, spese
generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima