Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15284 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15284 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2024
R.G.N. 21351/23
C.C. 22/5/2024
ORDINANZA
Revocazione -Errore di fatto -Mancata proposizione domanda risoluzione per scadenza termine essenziale sul ricorso per revocazione (iscritto al N.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE (P_IVA: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso per revocazione, dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO COGNOME, con elezione di domicilio digitale presso gli indirizzi PEC dei difensori;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in Roma, INDIRIZZO, ha eletto domicilio;
-controricorrente –
avverso l’ordinanza della Corte di cassazione n. 10682/2023, pubblicata il 20 aprile 2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 maggio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse della ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 12 luglio 2012, COGNOME NOME conveniva, davanti al Tribunale di Tivoli, l’RAGIONE_SOCIALE, al fine di sentire pronunciare il trasferimento coattivo della proprietà dell’appartamento di cui al preliminare di vendita concluso tra le parti il 27 novembre 2009, con la riduzione del prezzo pattuito in ragione dei vizi dedotti e con il risarcimento dei danni patiti (per l’impossibilità di locare nelle more l’immobile e di alienarlo a terzi).
Si costituiva in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, la quale resisteva alle domande avversarie e, in via riconvenzionale, chiedeva la risoluzione del contratto preliminare di vendita per scadenza del termine essenziale pattuito.
Nel corso del giudizio era assunta la prova per interpello ammessa ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
All’udienza di precisazione delle conclusioni dell’11 gennaio 2016, l’attrice mutava la propria originaria domanda di adempimento in forma specifica in domanda di risoluzione per inadempimento della promittente alienante, con la correlata richiesta di condanna al risarcimento dei danni.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1033/2016, depositata il 24 maggio 2016, rigettava la domanda principale di risoluzione per inadempimento della promittente venditrice e pronunciava la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della promissaria acquirente, con la condanna di quest’ultima al rilascio del bene, ordinando la cancellazione della trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica (successivamente mutata in domanda di risoluzione) e condannando l’attrice al pagamento della somma equitativamente determinata di euro 5.000,00, a titolo di responsabilità processuale aggravata.
2. -Con atto di citazione notificato il 24 giugno 2016, proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado COGNOME NOME, la quale lamentava: 1) il vizio di ultra-petizione in cui era incorsa la sentenza impugnata, in quanto l’RAGIONE_SOCIALE non aveva mai formulato domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento, bensì di risoluzione per scadenza del termine essenziale; 2) l’erroneità della pronunciata risoluzione per inadempimento della promissaria acquirente, benché il contratto si fosse già risolto di diritto per inutile decorso del termine essenziale, a causa dell’intervenuto sequestro penale del cantiere; 3) l’erronea condanna per lite temeraria, alla stregua della negazione del pur ammissibile mutamento della domanda di esecuzione in forma specifica in domanda di risoluzione.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione l’RAGIONE_SOCIALE, la quale concludeva per il rigetto del gravame, in ragione dell’assoluta genericità dell’inadempimento posto dall’attrice a fondamento della domanda
di risoluzione e della novità della domanda di risoluzione per scadenza del termine essenziale, spiegata dall’appellante solo nel giudizio d’impugnazione.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 5813/2017, pubblicata il 14 settembre 2017, in parziale accoglimento dell’appello e in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava la nullità del capo che aveva pronunciato la risoluzione del preliminare per inadempimento della promissaria acquirente e confermava nel resto le statuizioni di primo grado.
In specie, la pronuncia d’appello evidenziava che l’RAGIONE_SOCIALE non aveva proposto alcuna domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento della promissaria acquirente, bensì la sola domanda di risoluzione per scadenza del termine essenziale stabilito nel contratto (domanda non reiterata in appello), sicché la risoluzione per inadempimento della COGNOME era stata pronunciata ultra petita .
Confermava, quindi, il rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento della promittente alienante, poiché, alla stregua dell’eccezione riconvenzionale di inadempimento spiegata dalla convenuta, era emerso che il preliminare non era stato eseguito per omessa comunicazione delle specifiche tecniche a cura della promissaria acquirente. Sicché, per effetto della comparazione dei contrapposti inadempimenti, risultava che il mancato completamento dell’opera per il residuo ammontare di euro 30.130,00 era imputabile alla stessa promissaria acquirente.
Rilevava, in ultimo, l’inammissibilità della domanda dell’appellante di risoluzione del preliminare per scadenza del
termine essenziale, poiché l’attrice non aveva mai fatto valere nel giudizio di prime cure la risoluzione per tale causale, avendo invece spiegato l’antitetica domanda di risoluzione per inadempimento.
-Con ricorso notificato il 13 marzo 2018, COGNOME NOME chiedeva la cassazione della sentenza d’appello, articolando quattro motivi.
Resisteva con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE
Questa Corte, con l’ordinanza di cui in epigrafe, dichiarava l’inammissibilità del primo motivo, accoglieva il secondo ed il terzo nei sensi di cui in motivazione e dichiarava assorbito il quarto, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’appello di Roma limitatamente alle censure accolte.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di legittimità rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che la Corte d’appello dopo aver affermato che la COGNOME aveva modificato la sua domanda da adempimento in forma specifica in risoluzione per decorso del termine essenziale e che il Tribunale aveva ritenuto legittimo tale mutamento -era pervenuta all’affermazione dell’esatto contrario, in quanto aveva escluso che la ricorrente avesse mai invocato la risoluzione del contratto per scadenza del termine essenziale, essendo così incorsa in un evidente, ed irriducibile, contrasto logico della motivazione, per avere dapprima affermato, e poi negato, la medesima circostanza; b ) che dalla disamina degli atti di causa, consentita in presenza della deduzione di un error in procedendo , era emerso che la COGNOME aveva richiesto dichiararsi la risoluzione del
contratto preliminare a fronte del superamento, per fatto imputabile alla parte promittente venditrice, del termine ab origine previsto per la stipulazione del rogito definitivo di compravendita del 31 dicembre 2011; c ) che dalla verifica degli atti processuali era dimostrato che la COGNOME, dopo aver originariamente concluso, in atto di citazione introduttivo del giudizio di prime cure, per l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, aveva poi modificato tale domanda, con la memoria prevista dall’art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c., in domanda di risoluzione; d ) che, dunque, la Corte territoriale non aveva considerato che la deduzione, da parte di uno dei contraenti, della presenza di un termine essenziale nel contratto tra essi intercorso, impediva di procedere all’esame delle rispettive condotte, dovendosi prima verificare se, effettivamente, la pattuizione contemplasse, o meno, il detto termine essenziale; e ) che, una volta verificato che la COGNOME aveva legittimamente modificato la propria iniziale domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di compravendita del 27 novembre 2009 in domanda di risoluzione per decorso del termine essenziale, la Corte distrettuale avrebbe dovuto anzitutto verificare se, nell’ambito della complessiva economia del rapporto negoziale delineato e progettato dalle parti, il termine previsto dal contratto preliminare avesse, o meno, natura essenziale e, ove la natura essenziale del predetto termine fosse stata riscontrata, la Corte di merito avrebbe dovuto valutare se il termine fosse stato posto a vantaggio di una sola delle parti ovvero di entrambe e, nel secondo caso, verificare l’imputabilità del suo superamento alla promittente venditrice ovvero alla promissaria acquirente; e
soltanto una volta esclusa la natura essenziale del termine, il giudice di merito avrebbe potuto procedere alla valutazione comparativa dei rispettivi comportamenti delle parti, al fine di verificare la configurabilità, a carico dell’una o dell’altra di esse, di un inadempimento di non scarsa importanza, idoneo a giustificare la pronuncia di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c., e la sua imputabilità, anche in ragione del superamento, in termini non tollerabili, di un termine non essenziale.
4. -Avverso l’ordinanza di legittimità ha proposto ricorso per revocazione, affidato ad un unico motivo, l’RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito, con controricorso, l’intimata COGNOME NOME .
5. -La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con l’unico motivo di revocazione la ricorrente denuncia, ai sensi degli artt. 391bis e 395, n. 4, c.p.c., l’errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte di legittimità, per avere ritenuto che l’attrice nel giudizio di primo grado avesse, con la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c. (vigente ratione temporis ), mutato la domanda di esecuzione in forma specifica in domanda di risoluzione per scadenza del termine essenziale ex art. 1457 c.c. (avendo invece fatto valere, nella sola udienza di precisazione delle conclusioni dell’11 gennaio 2016, la domanda di risoluzione per inadempimento della promittente venditrice), fatto processuale la cui verità sarebbe stata incontestabilmente esclusa dagli atti e documenti di causa.
1.1. -Il motivo è ammissibile e fondato nei termini che seguono.
1.2. -In premessa deve essere disattesa l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla controricorrente di inammissibilità dell’istanza di revocazione spiegata, in ragione della pendenza del giudizio di rinvio in cui l’errore revocatorio avrebbe potuto essere fatto valere.
E ciò perché il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio, ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su un vizio processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7758 del 17/03/2023; Sez. 6-5, Ordinanza n. 8259 del 22/03/2019; Sez. 6, Ordinanza n. 12046 del 17/05/2018).
Deve, pertanto, ritenersi superato il precedente orientamento secondo cui sarebbe stato inammissibile il ricorso per cassazione per revocazione, proposto, ai sensi degli artt. 395, n. 4, e 391bis c.p.c., avverso la sentenza con la quale la decisione di merito fosse stata cassata con rinvio, potendo ogni eventuale errore revocatorio essere fatto valere nel giudizio di riassunzione (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 20393 del 12/10/2015; Sez. L, Sentenza n. 16184 del 25/07/2011).
Nella fattispecie il fatto processuale secondo cui l’attrice nel giudizio di primo grado avrebbe mutato la domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in domanda di risoluzione per scadenza del termine essenziale ex art. 1457 c.c. ha assunto una portata determinante ai fini della pronuncia di accoglimento e l’errore percettivo assunto come decisivo ha assunto un rilievo assorbente nell’enunciazione del principio di diritto.
È stato, infatti, statuito che -a fronte della proposizione di siffatta domanda, come verificata dagli atti di causa -avrebbe dovuto in primis essere valutata la sua fondatezza e solo all’esito della sua infondatezza avrebbero potuto essere comparati gli inadempimenti dedotti dalle parti.
1.3. -Tanto premesso, l’errore consistito nel fatto processuale di aver ritenuto che l’attrice nel giudizio di primo grado avesse mutato l’originaria domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare in domanda di risoluzione di diritto o automatica per scadenza del termine essenziale (anziché in domanda di risoluzione giudiziale per inadempimento della promittente venditrice) ha avuto una portata decisiva ai fini dell’accoglimento del ricorso, in quanto ha implicato la cassazione della sentenza impugnata allo scopo della rivalutazione dell’assunto a mente del quale, in difetto di alcuna domanda di risoluzione ope legis ai sensi dell’art. 1457 c.c., avrebbe dovuto essere confermato il rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento della promittente alienante, stante che il preliminare non era stato eseguito per omessa comunicazione delle specifiche tecniche a cura della promissaria acquirente. Sicché, per effetto della comparazione dei contrapposti
inadempimenti, risultava che il mancato completamento dell’opera per il residuo ammontare di euro 30.130,00 era imputabile alla stessa promissaria acquirente.
Ora, l’errore percettivo effettivamente sussiste, posto che COGNOME NOME non ha depositato alcuna memoria integrativa del thema decidendum ai sensi dell’art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c. vigente ratione temporis ed ha mutato la domanda solo all’udienza di precisazione delle conclusioni dell’11 gennaio 2016, richiedendo la risoluzione per inadempimento della promittente venditrice (e non già per scadenza del termine essenziale).
Tale svista presenta tutti i requisiti dell’errore revocatorio ai fini della ponderazione della fondatezza della doglianza relativamente alla fase rescindente.
In proposito, l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga ad un’errata valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 2236 del 26/01/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 16439 del 10/06/2021; Sez. 5, Sentenza n. 26890 del 22/10/2019; Sez. 3, Sentenza n. 3190 del 14/02/2006).
Il detto errore, dunque, deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o
accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività, senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa.
Ebbene, per quanto anzidetto, tale svista materiale emerge immediatamente dagli atti di causa (vedi, per un verso, l’assenza di alcuna memoria integrativa del thema decidendum depositata dall’attrice, che ha depositato la sola memoria integrativa del thema probandum , nonché, per altro verso, l’allegato processo verbale dell’11 gennaio 2016) e ha avuto una portata decisiva, poiché, solo all’esito di tale lettura del fatto processuale, si è ritenuto che dovesse preliminarmente essere vagliato il merito di tale pretesa (in realtà mai proposta).
E tanto alla stregua di un ragionamento di tipo controfattuale, in ragione del quale, sostituita mentalmente l’affermazione errata con quella esatta, la decisione stessa non resiste al nuovo quadro fattuale, nel senso che l’ordinanza impugnata risulta, in tal modo, priva della sua base logico-giuridica e non già storica (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1450 del 15/01/2024; Sez. 2, Sentenza n. 31094 del 08/11/2023; Sez. 5, Ordinanza n. 18145 del 26/06/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 10525 del 31/03/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 8051 del 23/04/2020; Sez. L, Sentenza n. 28143 del 05/11/2018; Sez. 1, Sentenza n. 6038 del 29/03/2016; Sez. 2, Sentenza n. 3935 del 18/02/2009).
1.4. -D’altronde, contrariamente alla tesi della controricorrente (non supportata da alcun elemento di riscontro),
il fatto processuale inerente al mutamento della domanda di esecuzione in forma specifica in domanda di risoluzione automatica per scadenza del termine essenziale non ha costituito un punto controverso sul quale l’ordinanza di legittimità si è pronunciata, non risultando alcun dibattito (o alcuna deduzione) sull’effettiva proposizione di tale domanda.
Né nel controricorso è smentito che, all’udienza di precisazione delle conclusioni dell’11 gennaio 2016, l’attrice nel giudizio di primo grado abbia richiesto la risoluzione giudiziale per inadempimento in sostituzione dell’originaria domanda ex art. 2932 c.c.
E la stessa controricorrente, in tutti gli atti del giudizio (compreso l’originario ricorso per cassazione), ha riconosciuto che nel giudizio di prime cure la domanda (riconvenzionale) di risoluzione per scadenza del termine essenziale era stata proposta da RAGIONE_SOCIALE.N.I.
Pertanto, nel caso in esame la COGNOME ha richiesto, solo con l’atto di appello, che fosse dichiarata l’intervenuta risoluzione di diritto del contratto per scadenza del termine essenziale, il che avrebbe reso -a suo dire -superflua l’indagine sull’importanza dell’inadempimento, in ragione dell’assorbimento della domanda di risoluzione per inadempimento; e, all’esito di tale formulazione, la Corte d’appello ne ha escluso l’ammissibilità, osservando che l’attrice non aveva mai fatto valere nel giudizio (si intende di primo grado) la risoluzione per scadenza del termine essenziale, agendo invece per l’antitetica domanda di adempimento (e successivamente mutando tale pretesa in domanda di risoluzione giudiziale per inadempimento), senza
alcun contrasto logico tra le due affermazioni e senza alcuna discussione tra le parti.
Esclusivamente con l’ordinanza di legittimità è stato prospettato il contrasto tra affermazioni in tesi inconciliabili, per effetto della asserita verifica di un fatto processuale in realità inesistente (ossia la proposizione, a cura dell’attrice, con la memoria integrativa, della domanda di risoluzione per scadenza del termine essenziale).
Ora, l’inammissibilità della revocazione delle decisioni, anche della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., per errore di fatto, qualora lo stesso abbia costituito un punto controverso oggetto della decisione, ricorre solo ove su detto fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa, in ragione della quale la pronuncia del giudice non si configura come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7435 del 15/03/2023; Sez. 1, Sentenza n. 9527 del 04/04/2019; Sez. 5, Ordinanza n. 27622 del 30/10/2018; Sez. 5, Sentenza n. 14929 del 08/06/2018; Sez. 1, Sentenza n. 27094 del 15/12/2011).
2. -Quanto alla conseguente fase rescissoria, attraverso un rinnovato esame del merito della controversia, che tenga conto dell’effettuato emendamento, i motivi di ricorso in cassazione sono destituiti di fondamento.
2.1. -Con il primo motivo la ricorrente (odierna controricorrente) denunciava, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art.
112 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente qualificato la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto preliminare sottoscritto tra le parti per scadenza del termine essenziale, spiegata da RAGIONE_SOCIALE in prime cure, come eccezione riconvenzionale di inadempimento, in realtà mai proposta, omettendo dunque di pronunciarsi su tale domanda riconvenzionale.
Ad avviso dell’istante, la sentenza impugnata d’appello avrebbe omesso di rilevare che IRAGIONE_SOCIALE aveva invocato la risoluzione di diritto del contratto preliminare, ex art. 1457 c.c., per decorso del termine essenziale in esso pattuito, domanda sulla quale non vi era stata alcuna declaratoria all’esito della dichiarazione di nullità del capo della sentenza del Tribunale che aveva pronunciato la risoluzione del preliminare per inadempimento della promissaria acquirente in assenza di alcuna corrispondente domanda riconvenzionale della convenuta nel giudizio di prime cure.
Il motivo è inammissibile.
E ciò sia perché la ricorrente non era legittimata a far valere l’omessa pronuncia su una domanda proposta dalla controparte ed estranea alla sua sfera di disponibilità giuridica (Cass. Sez. 62, Ordinanza n. 33751 del 16/11/2022; Sez. 1, Ordinanza n. 22772 del 25/09/2018; Sez. 5, Sentenza n. 2047 del 27/01/2017; Sez. 1, Sentenza n. 11012 del 09/05/2013; Sez. 2, Sentenza n. 2915 del 18/12/1964).
Sia perché la convenuta nel giudizio di primo grado non aveva riproposto la domanda riconvenzionale di risoluzione per scadenza del termine essenziale in appello ex art. 346 c.p.c.
(Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 10406 del 02/05/2018; Sez. 3, Sentenza n. 18691 del 06/09/2007; Sez. 3, Sentenza n. 7252 del 06/12/1986), sicché -a fronte di tale mancata riproposizione -non avrebbe potuto configurarsi un vizio di omessa pronuncia.
D’altronde, nel giudizio di primo grado la convenuta promittente alienante ha contestato l’inadempimento imputatole dall’attrice promissaria acquirente e ha addebitato la mancata stipulazione del definitivo al contegno inadempiente della controparte (per la mancata consegna delle specifiche tecniche).
2.2. -Con il secondo motivo la ricorrente (odierna controricorrente) prospettava, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., l’errata interpretazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1455 e 1457 c.c., per non avere la Corte territoriale, a fronte del mutamento dell’originaria domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare in domanda di risoluzione per inadempimento della società promittente venditrice, verificato la presenza, nell’ambito del contratto preliminare, di un termine essenziale e della sua inosservanza da parte di RAGIONE_SOCIALE, il che avrebbe dovuto impedire alcuna valutazione in relazione all’importanza dell’inadempimento.
Obiettava l’istante che la sentenza impugnata avrebbe dovuto rilevare che il mancato rispetto del termine del 31 dicembre 2011, previsto per la stipula del contratto definitivo, era imputabile alla promittente alienante, essendo legato al sequestro preventivo dell’immobile emesso dal Tribunale di Tivoli a fronte delle difformità urbanistiche esistenti; conseguentemente avrebbe dovuto ritenere irrilevanti gli atti e i fatti successivi alla scadenza del termine essenziale.
2.3. -Con il terzo motivo la ricorrente (odierna controricorrente) contestava, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte distrettuale mancato di valutare gli effetti della presenza, nel contratto preliminare, di un termine essenziale non osservato dalla società promittente venditrice, come implicitamente invocato dall’attrice ed esplicitamente evocato nella domanda riconvenzionale della convenuta.
Osservava l’istante che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente affermato che la COGNOME non aveva proposto domanda di risoluzione per la scadenza del termine essenziale, senza avvedersi che la stessa aveva, nel corso del giudizio di prima istanza, modificato la propria linea difensiva, abbandonando l’iniziale domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare ed invocandone, piuttosto, la risoluzione (con la specificazione nella comparsa conclusionale della causale di tale risoluzione, riconducibile alla scadenza del termine essenziale).
I due motivi -che possono essere scrutinati congiuntamente in quanto connessi -sono infondati.
E ciò appunto perché nessuna domanda di risoluzione per l’intervenuta scadenza del termine essenziale è stata proposta dalla RAGIONE_SOCIALE.
Né essa avrebbe potuto essere formulata per la prima volta con la comparsa conclusionale nel giudizio di primo grado (sulla novità della domanda proposta in conclusionale che alteri anche uno soltanto dei presupposti della domanda inizialmente proposta, introducendo un petitum diverso e più ampio oppure
una diversa causa petendi , attesa la sua funzione esclusivamente illustrativa, Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 315 del 12/01/2012; Sez. 3, Sentenza n. 24996 del 10/10/2008; Sez. 3, Sentenza n. 5478 del 14/03/2006), fermo restando comunque che dallo storico di cancelleria prodotto dalla ricorrente tale comparsa conclusionale non risulta essere stata mai depositata.
A fronte di questo riscontro processuale, pur in presenza dell’inutile decorso di un termine essenziale, è sempre necessaria la domanda di parte affinché possa pronunciarsi la risoluzione del contratto. Ed invero l’espressione ‘di diritto’, usata in proposito dall’art. 1457, secondo comma, c.c., significa soltanto che la pronunzia giudiziale relativa ha carattere meramente dichiarativo della risoluzione stessa e che, quindi, i suoi effetti rimontano al tempo in cui si è verificato l’evento, e non già che a tale pronuncia il giudice possa provvedere d’ufficio (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1637 del 31/05/1971; analogamente, in ordine alla non dichiarabilità d’ufficio della risoluzione di diritto per scadenza del termine fissato nell’inviata diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26687 del 18/09/2023; Sez. 2, Sentenza n. 9317 del 09/05/2016; Sez. 2, Sentenza n. 4535 del 18/05/1987; Sez. 2, Sentenza n. 5919 del 14/11/1979).
Né, per quanto anzidetto, il giudice d’appello avrebbe potuto pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale di risoluzione per scadenza del termine essenziale avanzata da RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado e non riproposta in sede di gravame.
Del resto, a fronte del mutamento della domanda di esecuzione in forma specifica in domanda di risoluzione giudiziale per inadempimento, il giudice di merito non avrebbe potuto
dichiarare la risoluzione di diritto per scadenza del termine essenziale.
Incorre, infatti, nel vizio di ultra-petizione il giudice del merito il quale, richiesto di una pronunzia di risoluzione contrattuale a norma dell’art. 1453 c.c., accolga invece una domanda di risoluzione di diritto per avvenuta scadenza del termine essenziale (ex art. 1457 c.c.) non ritualmente proposta, trattandosi di ipotesi legislative nettamente distinte per requisiti formali e sostanziali (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4431 del 24/11/1976; Sez. 3, Sentenza n. 2850 del 30/10/1973).
2.4. -Con il quarto motivo la ricorrente (odierna controricorrente) lamentava, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., l’errata applicazione e falsa interpretazione dell’art. 96 c.p.c., per avere la Corte del gravame confermato la condanna della promissaria acquirente al pagamento di una somma equitativamente determinata per lite temeraria in ragione del contegno processuale assunto nel giudizio di primo grado, avendo trascritto la domanda giudiziale senza offrire successivamente il pagamento del prezzo dell’immobile, avendo dedotto gravi mancanze nella realizzazione del bene e avendo mutato, nell’ultima udienza, l’originaria domanda di adempimento in domanda di risoluzione del contratto per inadempimento.
Sicché evidenziava l’istante che la sentenza impugnata, nel ritenere l’inesistenza dei diritti invocati dall’attrice, non avrebbe tenuto conto della facoltà riconosciuta dall’ordinamento del mutamento della domanda di adempimento in domanda di risoluzione, né avrebbe rilevato che comunque era stata offerta la somma ritenuta dovuta sin dall’atto di citazione, senza che fosse
necessario, ai fini della formulazione di tale offerta, l’uso di formule sacramentali.
Anche tale motivo è infondato.
Infatti, la Corte d’appello ha confermato la statuizione sulla condanna per responsabilità processuale aggravata, non già in ragione della ritenuta inammissibilità del mutamento della domanda, bensì per l’intervenuta trascrizione della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica, senza un’offerta del prezzo ancora dovuto (se non nei limiti della ritenuta riduzione del prezzo, operata in termini ben più consistenti di quelli reali, stante che è stata chiesta una riduzione del prezzo di euro 250.000,00, oltre al risarcimento dei danni per euro 550.000,00, avendo invece il consulente tecnico d’ufficio accertato che l’importo dei lavori volti al completamento dell’appartamento ammontava ad euro 30.130,00 e che tale mancato completamento era riconducibile all’omessa consegna delle specifiche tecniche a cura della promissaria acquirente), a fronte della totale infondatezza della pretesa, anche all’esito del mutamento della domanda.
Sicché vi è stata una congrua valutazione dei presupposti della condanna ex art. 96, terzo comma, c.p.c., aspetto non sindacabile in questa sede.
3. -In definitiva, il ricorso per revocazione deve essere accolto -con la correlata pronuncia di revocazione -e, per l’effetto, all’esito della fase rescissoria, il ricorso per cassazione originariamente accolto deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità e del giudizio di revocazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della controricorrente (ricorrente nel giudizio di legittimità, il cui esito è stato revocato con il rigetto del ricorso), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
quanto alla fase rescindente, pronuncia la revocazione dell’ordinanza di questa Corte n. 10682/2023, depositata il 20 aprile 2023, e -quanto alla fase rescissoria -rigetta il ricorso avverso la sentenza d’appello della Corte d’appello di Roma n. 5813/2017, pubblicata il 14 settembre 2017, e condanna la controricorrente alla refusione, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge, e delle spese del giudizio di revocazione, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della controricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda