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Errore comune nel contratto: quando è annullabile?

La Corte di Cassazione stabilisce che un contratto basato su un errore comune a entrambe le parti è annullabile senza che sia necessario dimostrare la riconoscibilità dell’errore. Il caso riguarda un accordo in cui un’acquirente si impegnava a pagare i venditori per ottenere documenti che entrambi ritenevano, erroneamente, necessari per un contributo statale. Poiché l’errore era condiviso, la Corte ha cassato la sentenza d’appello che negava l’annullamento per mancata riconoscibilità, affermando un principio chiave in materia di vizi del consenso.

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Errore Comune: La Cassazione Chiarisce i Requisiti per l’Annullamento del Contratto

Quando un accordo si fonda su un presupposto sbagliato condiviso da tutti i firmatari, è possibile chiederne l’annullamento? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14869 del 2025, torna su un tema cruciale del diritto dei contratti: l’errore comune. Questo principio stabilisce che se entrambe le parti cadono nello stesso errore, il contratto può essere annullato senza dover dimostrare che tale errore fosse ‘riconoscibile’ dall’altra parte. La decisione chiarisce un aspetto fondamentale, semplificando la tutela per chi stipula un negozio basato su una realtà inesistente.

I Fatti di Causa: L’Accordo per il Contributo Statale

La vicenda ha origine dall’acquisto di un immobile situato in un’area colpita da un evento sismico. L’acquirente, dopo la compravendita, aveva firmato una scrittura privata con cui si impegnava a versare una somma di denaro ai venditori. In cambio, questi avrebbero fornito delle dichiarazioni necessarie, a detta di entrambi, per permettere all’acquirente di beneficiare di un contributo statale per la ricostruzione.

Successivamente, l’acquirente scopriva che, per effetto di una legge entrata in vigore prima dell’accordo, il diritto al contributo si era trasferito a lei automaticamente con l’acquisto dell’immobile. Le dichiarazioni dei venditori erano, quindi, del tutto inutili. Di fronte alla richiesta di pagamento tramite decreto ingiuntivo, l’acquirente si opponeva, chiedendo l’annullamento dell’accordo per errore essenziale.

Il Percorso Giudiziario e l’Errore Comune

Il caso ha attraversato diversi gradi di giudizio. Inizialmente, il Tribunale dava ragione all’acquirente. La Corte di Appello, invece, riformava la decisione, ritenendo che l’errore non fosse riconoscibile dai venditori e che quindi l’accordo dovesse rimanere valido. La questione giungeva una prima volta in Cassazione, che stabiliva in modo definitivo l’automatica trasferibilità del diritto al contributo, rinviando il caso alla Corte di Appello per una nuova valutazione sull’annullamento.

Nel giudizio di rinvio, la Corte d’Appello, pur riconoscendo che l’acquirente era caduta in un errore essenziale, respingeva nuovamente la domanda. La motivazione? Mancava la prova della ‘riconoscibilità’ dell’errore da parte dei venditori, requisito previsto dall’art. 1431 c.c. Tuttavia, la stessa corte ammetteva che l’accordo era stato sottoscritto ‘sulla base della erronea convinzione di entrambi i contraenti’. Questa affermazione si è rivelata decisiva nel successivo ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’errore comune

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’acquirente, cassando la sentenza d’appello. Il punto centrale della decisione è che il requisito della riconoscibilità dell’errore non si applica quando l’errore è comune a entrambe le parti. Se entrambi i contraenti partono dallo stesso presupposto sbagliato, non ha senso proteggere l’affidamento di una parte rispetto all’altra, poiché entrambe hanno contribuito a creare un negozio viziato.

Le Motivazioni

I giudici hanno spiegato che la ratio della norma sulla riconoscibilità (art. 1431 c.c.) è tutelare la parte che, in buona fede, ha fatto affidamento sulla validità della dichiarazione della controparte. Questa esigenza di tutela viene meno quando entrambe le parti sono cadute nel medesimo errore. In tale scenario, i contraenti si trovano nella stessa posizione e non vi è un affidamento incolpevole da proteggere. La Corte di Appello, riconoscendo che la convinzione sull’utilità dei documenti era condivisa, ha implicitamente accertato l’esistenza di un errore comune. Di conseguenza, ha commesso un errore di diritto nel richiedere anche la prova della riconoscibilità, un presupposto logicamente e giuridicamente incompatibile con la bilateralità dell’errore.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio consolidato e di grande importanza pratica. Stabilisce che, in presenza di un errore comune, essenziale e determinante per il consenso, ciascuna delle parti ha il diritto di chiedere l’annullamento del contratto. Non è necessario intraprendere la difficile prova di dimostrare che l’altra parte ‘poteva accorgersi’ dell’errore, perché l’errore era di entrambi. Ciò rafforza la tutela della volontà negoziale e la giustizia sostanziale, assicurando che gli accordi basati su premesse fattuali o giuridiche palesemente errate possano essere efficacemente invalidati.

Cosa si intende per ‘errore comune’ in un contratto?
Per ‘errore comune’ si intende la situazione in cui entrambe le parti contraenti condividono la stessa falsa rappresentazione della realtà, che costituisce il motivo fondamentale per cui hanno stipulato il contratto. L’errore non è di una sola parte, ma è bilaterale e identico per tutti i contraenti.

Se l’errore è comune a entrambe le parti, è necessario dimostrare che era riconoscibile?
No. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, confermata in questa sentenza, quando l’errore è comune a entrambi i contraenti, il contratto è annullabile a prescindere dal requisito della riconoscibilità. Questo perché la funzione della riconoscibilità è proteggere l’affidamento di una parte incolpevole, esigenza che non sussiste quando entrambe le parti sono in errore.

Qual era l’errore specifico nel caso esaminato dalla sentenza?
L’errore comune consisteva nella convinzione, condivisa sia dall’acquirente che dai venditori, che determinate dichiarazioni notarili fossero indispensabili per permettere all’acquirente di ottenere un contributo statale per la ricostruzione post-sisma. In realtà, la legge prevedeva che il diritto a tale contributo si trasferisse automaticamente con la proprietà dell’immobile, rendendo l’accordo per ottenere tali dichiarazioni del tutto inutile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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