Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5881 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5881 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12380/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
nonchè contro COGNOME NOME, COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 8285/2018 depositata il 28/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udite le conclusioni della Procura Generale, nella persona della AVV_NOTAIO , che ha chiesto rigettarsi il ricorso
FATTI DELLA CAUSA
La causa riguarda il contrasto di titoli di proprietà tra i germani NOME e NOME COGNOME e i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME su un appartamento in Roma, INDIRIZZO.
Con l’originaria citazione, i COGNOME avevano dedotto, per quanto rileva, di aver acquistato l’appartamento in morte di NOME COGNOME -la cui eredità avevano accettato con atto pubblico del 5 maggio 2008 -il quale, a sua volta, aveva acquistato il bene per testamento di NOME COGNOME pubblicato il 7 aprile 1989. Avevano altresì dedotto che l’immobile, già facente parte del patrimonio ereditario dei genitori di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, era stato attribuito per intero a NOME COGNOME in forza di scrittura privata di divisione in data 28 settembre 1988 e che NOME COGNOME, nonostante fosse a conoscenza del testamento del fratello e, in particolare, della disposizione in favore di NOME COGNOME, aveva presentato denuncia di successione del fratello dichiarandosi suo erede universale senza far menzione del testamento. Gli attori avevano allegato che in due controversie, una possessoria relativa all’immobile de quo e una per nullità del testamento di NOME
COGNOME, promosse da NOME COGNOME contro il loro dante causa NOME COGNOME, NOME COGNOME era risultato soccombente e che in particolare nella sentenza del Tribunale di Roma n. 8611/1996, passata in giudicato, era stato affermato che NOME COGNOME aveva, in forza dell’atto di divisione del 28 settembre 1989, la ‘piena disponibilità’ dell’appartamento in questione. Gli attori avevano infine sottolineato che NOME COGNOME aveva venduto l’appartamento ai coniugi COGNOME con atto notarile del 16 ottobre 2007, falsamente dichiarandosene proprietario per successione del fratello, della madre e del padre.
Gli attori, in subordine rispetto alla domanda di accertamento della proprietà in forza dei loro titoli di provenienza, avevano proposto domanda di accertamento di intervenuto acquisto della proprietà dell’appartamento per usucapione, deducendo, agli effetti dell’integrazione della durata almeno ventennale del possesso, di poter unire il proprio possesso, iniziato dalla data del decesso di NOME COGNOME (9 agosto 2007), a quello del proprio dante causa, ed a quello dello stesso NOME COGNOME, iniziato dalla data dell’atto di divisione tra questi e il fratello NOME COGNOME (DATA_NASCITA).
3. La Corte di Appello, senza negare quanto dedotto dagli originari attori riguardo ai titoli di provenienza e riguardo alla assenza di legittimazione di NOME COGNOME a disporre del bene, e confermando la decisione di primo grado, ha dato prevalenza ai coniugi COGNOME in applicazione dell’art.534, secondo comma, c.c., evidenziando, con particolare riguardo alla buona fede di questi ultimi, che NOME COGNOME, ‘ appariva oggettivamente legittimo proprietario sulla scorta di numerosi elementi e precisamente: la regolarità delle avvenute trascrizioni sia della denuncia di successione presentata il 27 agosto 1989 dallo stesso NOME COGNOME nella qualità di erede legittimo del germano NOME COGNOME, sia dell’accettazione dell’eredità del 6 ottobre
1990; in vari pignoramenti e ipoteche giudiziali sul bene in oggetto, in danno di NOME COGNOME (tutti elencati in dettaglio nel rogito suddetto da pag.8 a pag. 10), che aveva all’atto della compravendita del 16 ottobre 2007 un procedura espropriativa in corso sull’immobile de quo per la quale si effettuava dinanzi alla Sezione esecuzione immobiliari del Tribunale d Roma GE AVV_NOTAIO l’estinzione a seguito di soddisfo dei creditori avvenuto anche con assegni effettuati direttamente dall’acquirente COGNOME NOME, come riportato a pagina 6 del rogito medesmo ‘. La Corte di Appello ha altresì rilevato che, ‘di contro, il testamento di COGNOME NOME veniva trascritto solo il 24 novembre 2008 … successivamente alla compravendita dell’appartamento con conseguente inopponibilità dell’acquisto iure hereditatis ai terzi acquirenti’.
Con riguardo alla domanda subordinata, la Corte di Appello ha osservato che non era stata fornita la prova della sussistenza dei presupposti ‘per l’utile possesso ad usucapionem sia in relazione alla decorrenza del tempus sia in relazione all’ animus possidendi ‘ e ciò specificamente perché ‘ risulta che NOME COGNOME aveva abitato nell’immobile de quo insieme a NOME COGNOME in quanto legato a quest’ultimo da un rapporto di libera convivenza basata su affectio e quindi caratterizzata da precarietà per cui la relazione con l’appartamento abitato -non al decesso del COGNOME NOME avvenuto in data 25 marzo 1989 -sarebbe assimilabile a quella di un ospite, in assenza di prova dell’esistenza di quei caratteri di durata, stabilità esclusività e contribuzione tipici di una comunione familiare che avrebbero potuto determinare una situazione di fatto qualificabile come possesso ‘.
NOME e NOME COGNOME ricorrono per la cassazione della sentenza in epigrafe con tre motivi contrastati dai NOME COGNOME e da NOME COGNOME con controricorso. NOME COGNOME è rimasto intimato. I ricorrenti hanno depositato memoria.
5. La Procura Generale ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione dell’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.’.
Sotto questa rubrica viene dedotto che la Corte di Appello ‘non ha sicuramente disaminato il fatto storico discusso dalla parti a carattere decisivo connotata da res litigiosa , ovvero la qualificazione e la valenza degli atti ed i loro effetti ai fini della successione e della trascrizione prima, durante e dopo la stipula dell’atto di compravendita tra COGNOME NOME e i coniugi COGNOME‘. Viene poi particolarmente contestato che la Corte di Appello ‘ha addirittura ritenuto rilevante ai fini della accettazione dell’eredità la denuncia di successione che ha solamente rilevanza fiscale’.
Vengono infine svolte considerazioni astratte sulla funzione e sugli effetti della trascrizione dell’accettazione dell’eredità.
Il motivo è inammissibile alla luce del seguente principio: ‘L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l’ “omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate’ (Cass. ordinanza n.2268 del 26/01/2022).
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: ‘violazione dell’art. 360, primo comma n.4, disposizione che per il tramite dell’art. 132, n.4 c.p.c. dà rilievo all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante in relazione agli artt. 112 e 116 primo comma c.p.c. per completa omissione del
provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto che si traduce in una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c.: l’omesso esame, in questo caso, concerne direttamente una domanda introdotta in causa, il che configura la nullità per omissione di pronuncia ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 534 c.p.c.’.
Sotto questa rubrica viene sostenuto, prima, che la sentenza impugnata manca di motivazione, poi che ‘il percorso motivazionale della Corte di Appello si allontana dalla motivazione del giudice di prime cure atteso che nell’atto di appello si era censurato il dictum del Tribunale con le seguenti affermazioni ‘. Successivamente si assume che la ‘NOME COGNOME si dichiara erede ma non lo è’, che la Corte di Appello ha ‘sostanzialmente ignorato i profili di diritto posti a fondamento dell’azione promossa e dal successivo appello così disapplicando o erroneamente applicando e comunque violando l’art. 132 c.p.c.’. Il motivo si sviluppa ulteriormente con l’allegazione per cui il ‘tema interpretativo dell’art. 534 c.c. non si incentra sul quesito se l’acquisto dell’erede apparente in buona fede non fosse a conoscenza dello status di erede di COGNOME NOME bensì sull’altro, ben diverso, volto a stabilire a quale condizione e cioè su quale presupposto il Tribunale e la Corte di Appello così investiti potessero darvi concreto seguito con l’attivazione del controllo sulla continuità delle trascrizioni ma soprattutto se il fenomeno dell’apparenza fosse riconducibile all’acquisto a non domino dall’erede apparente cui la dottrina attribuisce natura derivativa e non originaria’. I ricorrenti aggiungono che ‘la denuncia di successione e il pagamento dell’imposta -mai avvenuto da parte di NOME COGNOME -non comportano accettazione dell’eredità trattandosi di adempimenti fiscali’. I ricorrenti, poi, senza confrontarsi con quanto affermato dalla Corte di Appello riguardo
alla insussistenza del possesso di NOME COGNOME, richiamano allegazioni dei gradi di merito relative alla posizione di NOME COGNOME quale legatario di NOME COGNOME, relative alla ‘nullità dell’atto pubblico di compravendita del 2007’, relative alla mancanza di ‘continuità delle trascrizioni a favore di COGNOME NOME e quindi dei coniugi COGNOME NOME ai fini del legittimo trasferimento della proprietà’. Viene sostenuto che la Corte di Appello ‘non avrebbe dovuto limitarsi ad emettere una semplice provvedimento di non accoglimento della domanda in quanto avrebbe dovuto accertare che l’onere di provare apparenza e buona fede e validità delle trascrizioni … incombe al terzo poiché la norma non dà adito a dubbi in proposito. Viene poi affermato che la Corte di Appello avrebbe dovuto pronunciarsi sulla domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e morali lamentati da essi ricorrenti per ‘perdita della proprietà dell’appartamento’;
Va premesso che dalla lettura del motivo le uniche due censure che risultano comprensibili sono quella di omessa motivazione e quella di omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento danni.
4.1. Entrambe le censure sono infondate.
La sentenza impugnata non presenta alcuna anomalia motivazionale (v. Cass. 8053/2014): reca una motivazione chiaramente comprensibile, non perplessa, lineare; vi si dà conto della prevalenza degli originari convenuti sul richiamo all’art. 534 secondo comma c.c. e si esplicitano i presupposti di fatto di applicazione della norma; vi si dà ulteriormente conto delle ragioni -legate ai caratteri del rapporto tra NOME COGNOME e il proprietario dell’appartamento – per cui è stato deciso che NOME non poteva essere qualificato possessore dell’immobile (con la conseguente rigetto della domanda di accertamento del perfezionarsi dell’usucapione).
La Corte di Appello non ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento dei danni. Non ha quindi violato l’art. 112 c.p.c. Dopo aver dichiarato l’insussistenza del diritto di proprietà degli odierni ricorrenti, ha dichiarato ‘ogni altra questione assorbita’ ed ha confermato la sentenza di primo grado della quale ha ricordato il contenuto totalmente reiettivo anche della domanda di risarcimento danni.
4.2. Ciò premesso, per il resto, il motivo è palesemente inammissibile giacché esso non risponde in nulla ai requisiti di chiarezza, sinteticità e precisa riferibilità alla decisione impugnata stabiliti dalla disciplina legale di cui all’articolo 366 cod. proc. civ. ed ormai da tempo focalizzati da una giurisprudenza pacifica e consolidata (tra le molte, Cass. nn. 11603/18, 9570/17), con quanto ne consegue in ordine alla carenza dei connotati fondamentali della specificità ed autosufficienza, richiesti dalla legge per porre questa Corte in condizione di effettuare, con la dovuta efficacia, concentrazione ed immediatezza, il controllo di legittimità ad essa demandato.
La Corte ha affermato: ‘Ai fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366, comma 1, n. 3) e 4), c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda ” sub iudice ” posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto,
comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui’ (Cass.n. 8425/20).
La Corte ha altresì statuito: ‘In tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c., assistite -queste sì -da una sanzione testuale di inammissibilità (fattispecie di un ricorso che si limitava a riprodurre stralci degli atti difensivi depositati dal ricorrente nei precedenti gradi del giudizio senza formulare alcuna specifica censura nei confronti della decisione impugnata)’ (Cass.n. 8009/19).
Si è inoltre stabilito che il motivo di cassazione che si risolva nella mescolanza e nella sovrapposizione di mezzi eterogenei, ancorché unitariamente preceduti dalla elencazione delle norme e delle regole di giudizio che si assumono violate, è inammissibile allorquando richieda ‘un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione’ (Cass.n. 21611 del 20/09/2013).
Nel caso di specie si è di fronte ad un motivo che, salve le due già esaminate censure, è prolisso, assomma questioni e deduzioni varie, non consente alla Corte di individuare le doglianze specificamente sussumibili sotto alcuna delle ipotesi di ricorso elencate tassativamente nell’art. 360 c.p.c.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: ‘violazione dell’art. 360, primo comma n.3, c.p.c. in relazione all’art. 534, comma 3, art. 2652 c.c. n.7, art. 2648, comma 3, artt. 467 e 477 c.c. in relazione all’art. 111 Cost. riferiti con ogni evidenza alle disposizioni degli artt. 1140, 1141 e 1158 c. c’.
Sotto questa rubrica i ricorrenti, in riferimento al fatto che la Corte di Appello ‘nel sussumere la fattispecie nell’art. 534 c.c.’, ha richiamato ‘la trascrizione del 27 agosto 1989’, deducono che questa trascrizione ‘non è mai avvenuta’. Viene poi sostenuto che nell’atto di vendita tra NOME COGNOME e gli odierni controricorrenti il primo avrebbe inserito dichiarazioni ‘false’ sulla propria legittimazione e sulla regolarità edilizia dell’appartamento. Viene ulteriormente sostenuto che, in riferimento alla domanda di usucapione, la Corte di Appello avrebbe violato l’art. 1141 c.c. ‘avendo la parte attrice dimostrato il fatto storico cha alla medesima incombeva provare ovvero la relazione materiale con la cosa’. Vengono infine riproposte allegazioni in fatto sulla durata della relazione con la cosa sia da parte dei ricorrenti sia da parte di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
6. Il motivo è inammissibile.
6.1.È inammissibile, in primo luogo, laddove, a fronte della affermazione della Corte di Appello per cui risulta documentata ‘la regolarità delle avvenute trascrizioni sia della denuncia di successione presenta il 27 agosto 1989 dallo stesso NOME COGNOME nella qualità di erede legittimo del germano NOME COGNOME sia dell’accettazione dell’eredità del 6 ottobre 1999′, viene
dedotto che la trascrizione del 27 agosto ‘non è mai avvenuta’. L’opposizione ad una affermazione del giudice del merito sulla presenza della documentazione di un fatto, di una affermazione della inesistenza di quel fatto non è sussumibile sotto alcuno dei motivi di cassazione elencati dall’art. 360 c.p.c.
6.2. Il motivo è inammissibile, in secondo luogo, laddove prospetta questioni su ‘false dichiarazioni’ asseritamente commesse da NOME COGNOME nell’atto di vendita dallo stesso stipulato con gli odierni ricorrenti. Per questa parte il motivo si riduce alla allegazione di fatti e di qualificazione dei fatti allegati.
6.3. Il motivo è inammissibile, in terzo luogo, laddove prospetta una violazione dell’art. 1141 c.c.
La norma dispone: ‘ 1. Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione. 2. Se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga a essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore. Ciò vale anche per i successori a titolo universale’.
La Corte di Appello ha accertato che NOME COGNOME non ha mai esercitato il possesso sull’immobile essendovi stato come ospite di NOME COGNOME in ragione della relazione ‘basata su affectio ‘. Ciò posto il motivo si rivela finalizzato, al di là della apparente denuncia del vizio di violazione di legge, ad ottenere in questa sede di legittimità un accertamento fattuale nuovo e diverso da quello svolto dal giudice di appello al quale tale accertamento di merito è riservato.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: ‘violazione dell’art. 360, primo comma n.3, c.p.c. in relazione all’art. 2644, 2909, 2643 n.14 c.c. n.7, dell’art. 111 c.p.c. e dell’art. 2653 c.c. in relazione agli artt. 1112, 183, 184, 189 c.p.c. nonché degli artt. 101, secondo comma Cost. e 25 Cost.’.
Sotto questa rubrica vengono svolte ripetutamente libere discettazioni sulla imparzialità e terzietà del giudice e sui limiti, rivenienti ‘dal combinato disposto dell’art.101 e dell’art. 25 Cost’, del potere del giudice, sulla funzione della trascrizione come mezzo di ‘risoluzione di conflitti tra più acquirenti dello stesso diritto dal medesimo autore’ e non come mezzo per sanare eventuali vizi dell’atto trascritto.
Queste discettazioni non integrano censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c.
Viene poi dedotto -anche sul richiamo alla sentenza del Tribunale di Roma n. 8611/1996, passata in giudicato, che avrebbe affermato che NOME COGNOME aveva, in forza dell’atto di divisione del 28 settembre 1989, la ‘piena disponibilità’ dell’appartamento -che NOME COGNOME non era proprietario e non poteva disporre dell’appartamento.
Queste deduzioni non si confrontano con la ratio della decisione impugnata secondo cui NOME COGNOME ha disposto del bene come erede apparente di NOME COGNOME.
Viene infine affermato che i coniugi COGNOME non avevano mai fatto riferimento all’art. 534 c.c. nella comparsa di costituzione di primo grado e vi avevano fatto riferimento invece solo nella comparsa conclusionale cosicché ‘il Tribunale e anche la Corte di Appello non avrebbero dovuto utilizzare le aggiunte conclusioni formulate da controparte, non entrate nel procedimento secondo le norme di rito’.
Si tratta di affermazioni inidonee ad integrare un rituale motivo di ricorso per cassazione della sentenza d’appello, posto che l’ampliamento dell’oggetto del processo che i ricorrenti sostengono essere indebitamente avvenuto, se effettivamente verificatosi, avrebbe avuto luogo in primo grado. Esso, pertanto, avrebbe
dovuto essere denunciato al giudice di primo grado e poi di nuovo come motivo di appello contro la sentenza del primo giudice che avesse trascurato la questione o deciso la questione in contrasto con le norme di rito. I ricorrenti non allegano di aver sollevato la questione in secondo grado. E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si denunci un error in procedendo commesso dal giudice di primo grado.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
PQM
la Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, liquidate in €3500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Roma 27 febbraio 2024.
Il Consigliere est.
Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME