Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24009 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24009 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15785/2023 R.G. proposto da :
ETHOS di DI COGNOME NOME e DI COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
-intimato- avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 964/2023, depositato il 13/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
La società RAGIONE_SOCIALE Di RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME ricorrono per cassazione avverso il decreto n. 168/2023 della Corte d’appello di Roma. La Corte d’appello ha rigettato l’opposizione proposta dai ricorrenti avverso il decreto della stessa Corte d’appello che aveva respinto la domanda da loro proposta di equo indennizzo per la durata irragionevole, a sua volta, di un giudizio di equo indennizzo per la durata irragionevole di un processo amministrativo.
L’intimato Ministero della giustizia non ha proposto difese.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Il primo motivo contesta violazione degli artt. 112 e 101, comma 2 c.p.c., extrapetizione e violazione del contraddittorio in quanto la Corte d’appello in sede di opposizione si sarebbe pronunciata su un thema decidendum diverso da quello affrontato dal decreto opposto.
Il motivo non può essere accolto. Il decreto opposto ha respinto il ricorso, ritenendo che i ricorrenti non avessero ‘allegato l’irragionevole durata di un giudizio e un danno conseguente a tale ritardo, ma piuttosto il ritardo nel pagamento da parte dell’amministrazione condannata’ al pagamento dell’equa riparazione. La Corte d’appello ha confermato quanto stabilito nel primo decreto, richiamando l’orientamento di questa Corte secondo il quale l’unità fra le due fasi non comprende, ai fini del riconoscimento del tempo del processo, anche il tempo relativo all’inerzia che il creditore ha mantenuto fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio del procedimento esecutivo (cfr. al riguardo le richiamate pronunce di questa Corte n. 9766/2020 e n. 10182/2022), così che non sono ravvisabili il vizio di extrapetizione e quello di violazione del contraddittorio denunciati dai ricorrenti.
Il secondo motivo contesta omessa pronuncia e motivazione assente o apparente, violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c.: il provvedimento impugnato non ha spiegato per quale ragione la declaratoria d’inammissibilità del ricorso contenuta nel primo decreto , emesso ai sensi dell’art. 3 legge n. 89/01, sarebbe stata diversa da quella poi pronunciata all’esito dell’opposizione, cosicché la motivazione del provvedimento collegiale sarebbe in parte qua omessa o apparente.
Il motivo è inammissibile.
A tteso che l’ordinanza resa in sede di opposizione ex art. 5 -ter legge Pinto sostituisce il decreto monocratico opposto, divenendo l’unico provvedimento suscettibile d’impugnazione davanti a questa Corte di legittimità, ogni valutazione del giudice collegiale riferita al provvedimento terminale della fase monitoria è destituita di rilievo, facendo venir meno, di riflesso, ogni interesse alla relativa contestazione.
Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione della normativa e dei principi in materia di sanzioni, anche in relazione alla Costituzione e ai trattati internazionali: i ricorrenti avevano eccepito l’assenza di motivazione con riguardo alla pronuncia di condanna al pagamento di euro 3.000 in favore della cassa delle ammende, sollevando in subordine la questione di legittimità costituzionale della norma; sul punto la motivazione del provvedimento della Corte d’appello è mancante o meramente apparente.
Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha considerato la censura dei ricorrenti relativa all’assenza di motivazione della pronuncia di condanna al pagamento di euro 3.000 e ha osservato come ‘alla stregua dell’orientamento consolidato del giudice di legittimità e dunque dell’insussistenza dei presupposti per azionare l’odierna pretesa risarcitoria, del tutto inammissibile, sussistono i presupposti per l’applicazione della sanzione di pagamento della
somma liquidata’. Il giudice in sede di opposizione ha quindi motivato la condanna al pagamento della sanzione. Quanto alla sollevata questione di incostituzionalità della norma, questa Corte si è già pronunciata al riguardo, ritenendo che sia ‘manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., l’eccezione d’illegittimità costituzionale dell’art. 5quater della legge n. 89 del 2001, in quanto, senza alcun automatismo, rientra nel potere discrezionale del giudice valutare se sussistono i presupposti per disporre una sanzione pecuniaria a carico della parte nelle ipotesi di declaratoria di inammissibilità o rigetto della domanda per manifesta infondatezza e la previsione di detta sanzione, pur costituendo un deterrente rispetto alla proposizione dell’azione, è compatibile con i parametri costituzionali e in particolare con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che, per realizzarsi concretamente, presuppone misure volte a ridurre i rischi di abuso del processo’ (così Cass. n. 5433/2016).
4) Il quarto motivo contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge 89/2001, nonché dei principi generali in materia di esecuzione dell’obbligo di eseguire le sentenze e i provvedimenti dell’autorità giudiziaria: la legge 89/2001 è stata promulgata per assicurare il conseguimento del bene della vita richiesto, ossia l’equo indennizzo; i ricorrenti hanno fatto tutto il possibile per attivare l’obbligo del Ministero soccombente a eseguire il giudicato, cosicché la mancata possibilità di conteggiare quale durata irragionevole i suddetti periodi di tempo appare in violazione della normativa in epigrafe.
Il motivo non può essere accolto in quanto, come si è già sottolineato, la legge n. 89/2001 riconosce alla parte di un processo l’equa riparazione dell’irragionevole durata del processo medesimo, si tratti di processo di cognizione o di processo esecutivo, ma deve trattarsi appunto di un processo. Ed infatti, come già chiarito da questa Corte suprema a S.U., con la nota
sentenza n. 19883/19, nel computo della durata del processo di cognizione ed esecutivo non va considerato come “tempo del processo” quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva, quest’ultimo, invece, potendo eventualmente rilevare ai fini del ritardo nell’esecuzione come autonomo pregiudizio, allo stato indennizzabile in via diretta ed esclusiva, in assenza di rimedio interno, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Non vi è pronuncia sulle spese non essendosi il Ministero della giustizia difeso nel presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda