Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9735 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 9735 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7816/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
Avvocato COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se stesso e dall’ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la ORDINANZA di TRIBUNALE MONZA n. 2355/2019 depositata il 19/12/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le conclusioni della Procura Generale, in persona del Dottor NOME COGNOME che ha chiesto accogliersi il secondo e il terzo motivo dei ricorso principale e il settimo del ricorso incidentale;
FATTI DELLA CAUSA
1.il Tribunale di Monza, con ordinanza n.19 del 2019, accoglieva in parte l’opposizione proposta dalla BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI MILANO, RAGIONE_SOCIALE coopRAGIONE_SOCIALE contro il decreto ingiuntivo emesso a favore dell’avv. COGNOME per crediti relativi a cinque procedimenti. La Banca opponente aveva allegato il perfezionamento, in data 11.4.2013 e in data 29.4.2015, di due convenzioni tariffarie che sostituivano ogni precedente accordo, disponendo, al punto 3.1, che ‘per le attività svolte in attuazione della Convenzione al legale sarebbero stati riconosciuti i compensi calcolati sulla base dei parametri riportati negli allegati’. L’avv. COGNOME aveva eccepito di non aver sottoscritto alcun accordo sui compensi successivamente a quello concluso nel 1996 e che, in ogni caso, la clausola delle convenzioni allegate da controparte violava l’art. 13 bis della legge professionale forense, derogando all’equo compenso e ai parametri fissati dal D.M. n. 55/2014, e avrebbe dovuto essere pertanto ritenuta nulla. Il Tribunale ha ritenuto che gli accordi tariffari contenessero clausole vessatorie, in contrasto con l’art. 13 bis della legge professionale
forense, che dovevano essere disapplicate, ed ha rideterminato l’importo dovuto al difensore sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014, con aggravio degli interessi moratori di cui all’art. 1284, comma 4, c.c. a decorrere dalla data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo sino al saldo effettivo.
Contro tale ordinanza ricorrono la Banca, in via principale e con sette motivi, e l’avvocato COGNOME in via incidentale e con sette motivi. La Banca ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale.
La Procura Generale ha chiesto accogliersi il secondo e il terzo motivo dei ricorso principale e il settimo del ricorso incidentale;
La parte ricorrente ha depositato memoria;
La parte controricorrente ha depositato memoria in cui ha sollevato l’eccezione della nullità dell’ordinanza collegiale per essere stata l’intera trattazione della causa, inclusa l’udienza di conclusione, svolta davanti al giudice unico, il quale si era poi ‘riservato di riferire al collegio’.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente dichiarata inammissibile l’eccezione di nullità della ordinanza per essere state le attività che hanno preceduto l’ordinanza stessa compiute dal giudice monocratico e non dal collegio, in violazione dell’art. 3 del d.lgs.150 del 2011, sollevata dal controricorrente e ricorrente incidentale con la memoria del 25 marzo 2025. La questione della nullità
dell’ordinanza avrebbe potuto e dovuto essere sollevata come motivo autonomo di ricorso.
2. Va, per logica, esaminato per primo il primo motivo di ricorso incidentale, con il quale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28 della L. 794/1942, degli artt. 3 e 14 del d.lgs. 150/2011 e degli artt. 641, 645 e 702 bis e ss. c.p.c. Si deduce che la ordinanza sarebbe priva di motivazione. Sostiene il ricorrente incidentale che l’opposizione doveva essere proposta con citazione, essendo azionati crediti per attività giudiziali e crediti per attività stragiudiziali non connesse a quelle giudiziali, mentre la banca aveva introdotto la causa con ricorso notificato in data 8 aprile 2019, oltre il termine di quaranta giorni ex art. 645 c.p.c. dalla notifica dell’ingiunzione avvenuta in data 28 gennaio 2019. In particolare il ricorrente incidentale si riferisce alle attività stragiudiziali svolte nel procedimento di mediazione nei confronti dei signori COGNOME e COGNOME di cui al punto 2 del decreto ingiuntivo e nel procedimento di concordato preventivo della RAGIONE_SOCIALE di cui al punto 5 del decreto ingiuntivo.
Il motivo è infondato.
La pronuncia impugnata ha stabilito che il ricorso monitorio era teso ad ottenere il pagamento per attività di rappresentanza e assistenza giudiziale civile e per attività stragiudiziali ‘strumentalmente funzionali all’attività giudiziale’. Il Tribunale si è specificamente riferito ‘al procedimento di mediazione obbligatoria
avviato in corso di causa nell’ambito del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca e alla precisazione del credito effettuata in sede di concordato preventivo’ come attività ‘avvinte dal comune intento di recuperare il credito vantato dalla banca nei confronti della società debitrice principale RAGIONE_SOCIALE e dei fideiussori’. D’altronde, come è evidenziato nell’ordinanza, era stato il difensore a richiamare l’art. 3 del contratto di incarico del 1996 che regolava i compensi per le attività giudiziali civili, potendo l’opponente confidare nell’applicabilità del rito speciale sulla base delle stesse deduzioni di controparte e della qualificazione del titolo della pretesa (Cass. 10206/2001; Cass. 15720/2006; Cass. 8014/2009). Questa Corte ha peraltro già ritenuto ammissibile l’opposizione ex art. 645 c.p.c. (non rientrante nelle ipotesi regolate dal citato art. 14) proposta con ricorso quando, come nel caso in esame, l’opponente abbia richiamato l’art. 702 bis c.p.c. e, dunque, le regole del processo sommario disciplinato dal codice di rito (Cass. 34501/2022; Cass. 25543/2023).
3. Con il primo motivo di ricorso principale si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e 1175 e 1375 c.c. per avere il Tribunale erroneamente rigettato l’eccezione sollevata dalla Banca di improponibilità o improcedibilità della domanda avanzata dall’avvocato per illegittimo frazionamento del credito.
La Banca deduce di essere stata obbligata a difendersi in 25 procedimenti monitori iniziati dall’avvocato, che i
procedimenti erano stati avviati dall’avvocato a seguito della comunicazione inviata dallo stesso avvocato alla Banca il 16 novembre 2017 di rinuncia a tutti i mandati, che l’avvocato aveva gli elementi per far valere le proprie pretese unitariamente, che i crediti, sebbene rinvenienti da mandati professionali distinti, tuttavia avrebbero potuto e dovuto essere fatti valere unitariamente perché tutti verso la Banca e tutti relativi a pratiche omogenee di recupero di crediti vantati dalla Banca verso i clienti, che l’avvocato non aveva in alcun modo prospettato esigenze tali da giustificare il frazionamento delle iniziative giudiziali.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha affermato che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, proporre plurime richieste giudiziali di adempimento (Cass. s.u. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e che anche le domande aventi ad oggetto distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, devono esser proposte nel medesimo giudizio se le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti, in capo al creditore, un interesse, oggettivamente valutabile, alla tutela
processuale frazionata (Cass. s.u. 4090/2017; Cass. 31012/2017; Cass. 17893/2018; Cass. 6591/ 2019).
È dunque ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023).
Nel caso in esame, il Collegio di merito non si è limitato a un’affermazione di principio circa la possibilità di azionare sempre separatamente i crediti relativi a ciascun incarico di difesa, ma ha precisato che la proposizione di azioni separate si giustificava per il fatto che ciascun ricorso monitorio era stato proposto per una pluralità di cause con connotazioni omogenee o comunque connesse e che un eventuale simultaneus processus delle decine di pratiche avrebbe richiesto l’esame di una notevolissima mole di documenti, rendendo particolarmente difficoltosa la difesa, con il prevedibile effetto di rendere meno celere la realizzazione del credito.
Il Tribunale ha quindi accertato che vi era un interesse specifico ad azionare più giudizi. Non è configurabile un abuso del processo, né è necessario attendere la pronuncia delle sezioni unite di questa Corte sulla questione sollevata con ordinanza interlocutoria n. 3643/2024, riguardo all’incidenza del frazionamento sulla sola regolazione delle spese o sulla proponibilità della domanda.
4.Con il secondo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale per avere la Corte di Appello ritenuto che l’art. 13 bis della legge 247 del 2012 in tema di equo compenso, fosse applicabile retroattivamente con la conseguenza che le pattuizioni di cui alla convenzione tariffaria dell’11 aprile 2014, in base alla quale i compensi avrebbero dovuto essere determinati in misura inferiore a quelli di cui al d.m. 55/2014, erano nulle. Il motivo è fondato.
Questa Corte, tra le stesse parti ha già risolto nello stesso senso identica questione con ordinanza n.7354 del 19 marzo 2025. È stato sottolineato che, con ordinanza n.7904 del 17/04/2020, la Corte aveva affermato che ‘In tema di onorari professionali, l’art. 13 bis della l. n. 247 del 2012 sul cd. equo compenso dell’avvocato non ha natura interpretativa e valore retroattivo, facendo difetto sia l’espressa previsione nel senso dell’interpretazione autentica, sia i presupposti di incertezza applicativa di norme anteriori che ne avrebbero giustificato l’adozione’. Più di recente, con ordinanza 3 giugno 2024 n. 15407, la Corte ha ribadito che ‘l’invocato art. 13 -bis della legge n. 247 del 2012 è stato introdotto dal d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito con modificazioni dalla l. 4 dicembre 2017, n. 172, quindi dopo la stipulazione della convenzione di cui trattasi che entrambe le parti hanno indicato esser avvenuta nel 2013. La norma specificamente prevede
(per quanto interessa), da un lato, che le convenzioni aventi a oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività esclusive di avvocato (art. 2, quinto e sesto comma, stessa legge) in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361CE della Commissione, del 6 maggio 2003, si presumono unilateralmente predisposte dalle imprese suddette (salva prova contraria); e dall’altro che, ai fini della stessa norma, si considerano vessatorie le clausole contenute nelle ripetute convenzioni che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato. Anche a volere assumere la forza retroattiva in virtù dell’avvenuta eliminazione, nella versione originaria della norma stessa, della clausola di decadenza in ordine alla proposizione dell’azione di nullità entro il termine di ventiquattro mesi dalla data di sottoscrizione delle convenzioni (art. 1, comma 487, della l. n. 205 del 2017), l’assunto è del tutto infondato, poiché la stessa versione originaria, in quanto successiva alla convenzione di cui è causa, non poteva applicarsi retroattivamente. Né la norma introdotta dal d.l. n. 148 del 2017 ha valenza interpretativa, per farne discendere l’effetto dell’applicabilità retroattiva in mancanza dell’espressa previsione nel senso dell’interpretazione autentica e dei presupposti di incertezza applicativa di norme anteriori,
che ne avrebbero giustificato l’adozione (v. in termini, Cass. n. 7904 del 2020). In ragione del fatto che l’art. 13 bis non è compreso tra le disposizioni adottate con il decretolegge ma è stato introdotto dall’art. 19 quaterdecies della legge di conversione n. 148/2017, con effetti dall’1.1.2018, il Tribunale ha errato nel disapplicare i contenuti economici delle sottostanti convenzioni stipulate tra le parti prima di tale data.
5. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 134 c.p.c. per aver il tribunale affermato che l’accordo tariffario stipulato nel 2013 era divenuto vincolante solo con la sottoscrizione dell’accordo del 29.4.2015 e solo nella parte in cui conteneva la regolazione tariffaria, senza dare spiegazione del mancato accoglimento della tesi della banca secondo cui l’originaria convenzione era stata stipulata per suo conto dalla BCC Gestione crediti s.p.a. e quindi era efficace fino dal 2013.
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del terzo e quarto motivo del ricorso incidentale, al cui esame occorre rinviare, avendo il Tribunale erroneamente affermato -contrariamente a quanto assume l’istituto ricorrente – che non vi era ragione per escludere che già la convenzione dell’11.4.2013 fosse vincolante tra le parti, sia perché ne era incontestato il perfezionamento sia perché l’accordo del 2015 ne aveva riprodotto il contenuto, con le modifiche richieste dal difensore con la missiva del 12.6.2013.
Il quarto motivo è rubricato ‘ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c. p.c., nullità della pronuncia impugnata in relazione all’art. 112 c.p.c.’. Nel corpo del motivo non si lamenta, in realtà , una omessa pronuncia, ma il fatto che il Tribunale avrebbe ritenuto gli importi pagati dalla banca in relazione alle fatture nn. 13/2015, 17/2015, 12/2015, 26/2015, 55/2014 e 16/2015, quali acconti sul maggior credito dell’avvocato invece che quali importi integralmente satisfattivi dei crediti effettivamente spettanti all’avvocato ai sensi della convenzione del 2013. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e dall’accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso incidentale.
Il quinto motivo denuncia la nullità della ordinanza per violazione dell’art. 134 c.p.c. per avere il Tribunale ritenuto senza motivazione che gli importi già menzionati nel corpo del quarto motivo fossero meri acconti.
Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e del terzo e quarto motivo del ricorso incidentale.
Con il sesto motivo si lamenta ‘ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c. p.c., nullità della pronuncia impugnata in relazione all’art. 112 c.p.c.’. Si deduce che il Tribunale avrebbe errato nel liquidare all’avvocato COGNOME la somma di 1162 euro a titolo di compensi per la procedura esecutiva n.963/2014 laddove invece il Tribunale avrebbe dovuto ritenere che nulla spettasse all’avvocato essendo
stata al medesimo già riconosciuta dal giudice dell’esecuzione la somma di 1539,49 euro
Con il settimo motivo si lamenta ‘ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c. p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 645 e 112 c.p.c.’. Si ripropone la censura proposta con il sesto motivo.
Il sesto e il settimo motivo di ricorso principale restano assorbiti dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso principale e del terzo e quarto motivo di ricorso incidentale dovendo ogni questione su dedotte percezioni di somme imputabili ai crediti, essere rivalutata dal giudice di rinvio nel procedere ad una nuova liquidazione dei corrispettivi dovuti all’avvocato.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. e 112 c.p.c., sostenendo che con decreto ingiuntivo n.1395/2018, non opposto, e perciò passato in giudicato, il Tribunale di Monza aveva ritenuto ancora operante la convenzione tariffaria sottoscritta dalle parti nel 1996, di cui doveva farsi applicazione anche nella presente controversia.
Il motivo è infondato.
Il preteso giudicato esterno è insussistente.
E’ sufficiente richiamare la sentenza di questa Corte n.12111 del 22/06/2020 che, con riferimento ad un credito periodico, ha enunciato il principio, valevole a maggiore ragione in caso di crediti relativi a rapporti distinti seppur legati a precedente convenzione, per cui ‘Il provvedimento giurisdizionale di merito, anche quando
sia passato in giudicato, non è vincolante in altri giudizi aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, se da esso non sia dato ricavare le ragioni della decisione ed i princìpi di diritto che ne costituiscono il fondamento. Pertanto, quando il giudicato si sia formato per effetto di mancata opposizione a decreto ingiuntivo recante condanna al pagamento di un credito con carattere di periodicità, il debitore non può più contestare il proprio obbligo relativamente al periodo indicato nel ricorso monitorio, ma -in mancanza di esplicita motivazione sulle questioni di diritto nel provvedimento monitorio – non gli è inibito contestarlo per le periodicità successive’.
11. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 1326 c.c., per avere il Tribunale ritenuto vincolante tra le parti, in quanto richiamata dalla Convenzione del 2015, la Convenzione del 2013 stipulata dall’avvocato con la BCC Gestione crediti, senza considerare che la proposta della Convenzione del 2013, inviata all’avvocato dalla BCC Gestione crediti, il 3 maggio 2013, non era stata accettata ma era stata seguita da una missiva dell’avvocato, in data 12.6.2013, che integrava una nuova proposta e che questa nuova proposta non era stata formalmente accettata, non essendosi perfezionato, fino al 2015, alcun accordo sulle condizioni economiche.
Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.,
degli artt. 1362 e ss., e degli artt. 132 c.p.c. e 118 dip. att. c.p.c. e 111 Cost. Si deduce che il tribunale ‘sembrerebbe’ avere ritenuto applicabile la convenzione tariffaria del 2015, dichiarata nulla, senza le integrazioni e le modifiche di cui alla missiva del 12.06.2013 in base alle quali il nuovo accordo riguardava le sole pratiche elencate nell’elenco allegato, tutte successive alla sottoscrizione, omettendo di pronunciare sulla presunta data di stipula della convenzione.
Il terzo e quarto motivo sono fondati nei limiti che seguono.
La Corte di merito ha ritenuto perfezionate due diverse convenzioni, stipulate nel 2013 e nel 2015, osservando che l’adesione alla prima di esse da parte del difensore non era mai stata disconosciuta o negata dall’avvocato, omettendo però di accertare se e quando fosse stata sottoscritta. In tal modo, come correttamente dedotto dal difensore, non ha considerato che, ai sensi dell’art. 2233, ultima comma, c.c. i patti, conclusi tra gli avvocati con i loro clienti, che stabiliscono i compensi professionali, vanno redatti per iscritto a pena di nullità (Cass. 717/2023; Cass. 15563/2022; Cass. n. 24213/2021; Cass. 11597/2015), non potendo valere un’ipotetica non contestazione, né potendo trarsi la prova della conclusione del primo accordo dal contenuto di quello successivo, concluso il 29.4.2015, che ne aveva esteso la regolazione economica alle pratiche espletate dopo il 30.6.2014.
Come è spiegato in ricorso, dopo aver ricevuto lo schema di convenzione tariffaria, il difensore aveva richiesto modifiche ritenute irrinunciabili e non approvate se non con la successiva convenzione del 2015; quindi, anziché sottoscrivere l’accordo senza riserve, il ricorrente aveva formulato una controproposta che la banca avrebbe dovuto accettare espressamente e per iscritto, accettazione della quale non dà conto la pronuncia, non potendo altrimenti giustificarsi l’applicazione delle previsioni tariffarie a tutte le pratiche curate dal ricorrente non ricadenti nell’ambito della successiva convenzione che contemplava le attività svolte dopo 30.6.2014.
12. Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1193 e 2233 c.c., del D.M. 55/2014, all’art. 13 bis della legge professionale forense, per avere il tribunale dichiarato la nullità della convenzione tariffaria e disposto la liquidazione dei compensi secondo il D.M. 55/2014, disapplicando la convenzione che riconosceva al difensore importi corrispondenti ai valori tariffari medi, senza nulla riconoscere o riconoscendo importi inferiori a quelli congrui, per talune delle attività svolte.
La censura è assorbita per effetto dell’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale da cui discende l’inapplicabilità dell’art. 13 bis della legge professionale e la necessità di procedere ad una nuova liquidazione.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione e violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2 del d.m. 55/2014 per aver il Tribunale omesso di pronunciare sulla richiesta di liquidazione delle spese generali nella misura del 15% dei compensi.
Con il settimo motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione e violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.M. n. 238/1992 per aver la pronuncia riconosciuto gli interessi legali sul compenso, disattendendo immotivatamente la richiesta di applicare gli interessi moratori di cui al D.M. 238/1992.
I motivi sesto e settimo sono assorbiti, dovendo il giudice del rinvio procedere ad una nuova liquidazione sia per il capitale che per gli interessi, prescindendo dal disposto dell’art. 13 bis della legge professionale.
16.In conclusione devono essere accolti i motivi secondo del ricorso principale e terzo e quarto del ricorso incidentale, devono essere rigettati il primo motivo di ricorso principale e il primo e il secondo motivo del ricorso incidentale, devono essere dichiarati assorbiti i restanti motivi.
L’ordinanza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa al tribunale di Monza, in diversa composizione, che provvederà a regolare anche le spese di cassazione.
P.Q.M.
la Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale e il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale, rigetta il
primo motivo di ricorso principale e il primo e secondo motivo di ricorso incidentale e dichiara assorbite le restanti censure, cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Monza, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della