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Equo compenso avvocati: non è retroattivo

Un avvocato ha richiesto il pagamento dei suoi compensi a un istituto di credito, che si è opposto invocando accordi tariffari. La Corte di Cassazione ha stabilito due principi chiave: primo, l’accordo sul compenso deve essere provato per iscritto e non può desumersi dalla mancata contestazione; secondo, la normativa sull’equo compenso avvocati (art. 13 bis L. 247/2012) non è retroattiva e si applica solo alle prestazioni successive al 1° gennaio 2018.

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Equo Compenso Avvocati: La Cassazione Sancisce la Non Retroattività

Il principio dell’ equo compenso avvocati rappresenta una tutela fondamentale per la dignità e il valore della professione forense. Tuttavia, la sua applicazione pratica, specialmente in relazione ad accordi stipulati prima dell’entrata in vigore della normativa, ha generato notevoli dibattiti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: la non retroattività della disciplina, riaffermando al contempo la necessità della forma scritta per i patti sui compensi.

I Fatti di Causa: Una Controversia sui Compensi Professionali

La vicenda trae origine da un decreto ingiuntivo ottenuto da un avvocato nei confronti di un istituto di credito per il pagamento di compensi professionali relativi a dieci diverse controversie civili. La banca si opponeva al decreto, sostenendo che i compensi dovessero essere calcolati sulla base di due convenzioni tariffarie, stipulate nel 2013 e nel 2015, che prevedevano importi inferiori a quelli richiesti e che avrebbero sostituito ogni accordo precedente.

Dal canto suo, il legale negava di aver mai sottoscritto tali accordi e sosteneva che, in ogni caso, le clausole in essi contenute fossero nulle perché in violazione del principio di equo compenso e dei parametri ministeriali.

La Decisione del Tribunale di Merito

Il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione della banca. Pur riconoscendo che gli accordi contenessero clausole vessatorie in contrasto con la legge professionale forense, procedeva a rideterminare i compensi applicando i parametri del D.M. 55/2014. In sostanza, il giudice di primo grado riteneva applicabile la disciplina sull’equo compenso anche a rapporti professionali sorti e in parte esauriti prima della sua entrata in vigore.

Il Ricorso in Cassazione e l’Equo Compenso per gli Avvocati

Entrambe le parti hanno impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione. L’avvocato (ricorrente principale) lamentava, tra le altre cose, l’erronea valutazione del giudice circa il perfezionamento della convenzione del 2013. La banca (ricorrente incidentale) contestava principalmente due punti: il presunto frazionamento abusivo del credito da parte del legale e, soprattutto, l’errata applicazione retroattiva della normativa sull’ equo compenso avvocati.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto in parte entrambi i ricorsi, cassando l’ordinanza impugnata e rinviando la causa al Tribunale per un nuovo esame. Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri fondamentali.

1. La Necessità della Forma Scritta per gli Accordi sui Compensi

La Corte ha accolto il motivo di ricorso dell’avvocato, chiarendo che, ai sensi dell’art. 2233 del Codice Civile, i patti che stabiliscono i compensi professionali devono essere redatti per iscritto, a pena di nullità. Il giudice di merito aveva errato nel ritenere perfezionata la convenzione del 2013 basandosi su una presunta “adesione pacifica e non contestata” da parte del difensore. La Suprema Corte ha sottolineato che non si può desumere la conclusione di un accordo formale dalla semplice mancanza di contestazione o dal contenuto di un accordo successivo. Il giudice del rinvio dovrà quindi accertare se e quando la convenzione del 2013 sia stata effettivamente sottoscritta dal professionista.

2. La Non Retroattività della Legge sull’Equo Compenso

Questo è il punto di diritto più rilevante della decisione. La Corte ha accolto il ricorso della banca su questo aspetto, stabilendo in modo inequivocabile che l’art. 13 bis della legge professionale forense (L. 247/2012), introdotto con la legge di conversione n. 148/2017, non ha efficacia retroattiva. La norma è entrata in vigore il 1° gennaio 2018.

Di conseguenza, non può essere applicata a prestazioni professionali già espletate prima di tale data, né può essere usata per sindacare la validità di convenzioni concluse in precedenza. Il Tribunale aveva quindi commesso un errore nel dichiarare la nullità delle clausole tariffarie sulla base di una legge non ancora in vigore all’epoca dei fatti. I rapporti professionali e gli accordi antecedenti al 2018 devono essere valutati secondo la normativa vigente in quel periodo.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti chiarimenti per la professione forense. In primo luogo, ribadisce il formalismo necessario per la validità dei patti sui compensi: la forma scritta è un requisito essenziale che non ammette equipollenti come la mancata contestazione. In secondo luogo, e con maggiore impatto, traccia un confine temporale netto per l’applicazione della disciplina sull’equo compenso: essa vale solo per il futuro, a partire dal 1° gennaio 2018, senza poter incidere retroattivamente sui rapporti già conclusi o sulle prestazioni già svolte.

La legge sull’equo compenso per gli avvocati è retroattiva?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’art. 13 bis della legge professionale forense non è retroattivo. Si applica solo alle prestazioni professionali effettuate a partire dal 1° gennaio 2018 e non può invalidare accordi stipulati prima di tale data.

Un accordo sui compensi professionali è valido anche se non è contestato, ma non è firmato dall’avvocato?
No. Ai sensi dell’art. 2233 del Codice Civile, i patti sui compensi professionali richiedono la forma scritta a pena di nullità. La mancata contestazione da parte del professionista non è sufficiente a provare la conclusione dell’accordo.

È sempre considerato abusivo frazionare un credito professionale in più azioni legali?
No. Il frazionamento del credito è ammissibile se il creditore ha un interesse processuale oggettivamente valutabile a proporre giudizi separati. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto giustificata la proposizione di ricorsi monitori distinti a causa della complessità e della notevole mole di documenti richiesta per ogni gruppo di pratiche, che avrebbe reso la difesa più difficile in un unico giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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