Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7355 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7355 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17256/2019 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso in proprio e dall’avv. COGNOME con domicilio digitale in atti.
-RICORRENTE-
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale in atti.
CONTRORICORRENTERICORRENTE INCIDENTALE avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di MONZA, depositata il 27/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza depositata in data 27.3.2019, il Tribunale di Monza ha accolto parzialmente l’opposizione ex art. 702 bis c.p.c. e 14 d.lgs. n. 150/2011, proposta dalla Banca di Credito Cooperativo di Milano Società Cooperativa, già BRAGIONE_SOCIALE di Sesto San Giovanni Società Cooperativa, avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall’avv. NOME COGNOME per il pagamento dei compensi professionali per attività di rappresentanza ed assistenza giudiziale , liquidando l’importo
complessivo di €. 11549,50, oltre interessi, nella misura prevista dall’art. 1284, comma 4 , c.c. c.c., a decorrere dalla data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo sino a quella del saldo effettivo.
La Banca opponente aveva allegato il perfezionamento, in data 11.4.2013 e in data 29.4.2015, di due convenzioni tariffarie che sostituivano ogni precedente accordo, disponendo, al punto 3.1, che ‘per le attività svolte in attuazione della Convenzione al legale’ sarebbero stati ‘ riconosciuti i compensi calcolati sulla base dei parametri riportati negli allegati’.
Si è costituito l’avv. COGNOME affermando di non aver sottoscritto alcun accordo sui compensi successivamente a quello concluso nel 1996 e che, in ogni caso, la clausola delle convenzioni allegate da controparte violava l’art. 13 bis della legge professionale forense, derogando all’equo compenso e ai parametri fissati dal D.M. n. 55/2014.
Esaurita la trattazione, il Collegio di merito ha ritenuto che le attività precedenti al 30.6.2014 fossero disciplinate dall’accordo concluso in data 11.4.2013, e quelle successive al 30.6.2014, tra cui le tre oggetto di causa, dalla convenzione del 29.4.2015, integrata con le modifiche richieste dal difensore con missiva del 12.6.2013, reputando che tali accordi contenessero clausole vessatorie, in contrasto con l’art. 13 bis della legge professionale forense, che dovevano essere disapplicate; ha quantificato le spettanze sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014, con aggravio degli interessi moratori di cui all’art. 1284, comma 4, c.c. a decorrere dalla data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo sino al saldo effettivo.
Ha negato che il difensore avesse frazionato il credito, avendo accorpato procedimenti connessi o collegati tra loro, evidenziando che la trattazione unitaria dei diversi procedimenti avrebbe richiesto l’esame di una notevolissima mole di documenti.
L’avv. COGNOME ha impugnato la decisione con ricorso in otto motivi. La cassazione dell’ordinanza è chiesta anche dalla Banca di credito
cooperativo di Milano con autonomo ricorso in cinque motivi, cui l’avv. COGNOME ha replicato con controricorso ex art. 371, comma quarto, c.p.c..
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso dell’avv. COGNOME notificato per primo, ha natura principale; l’impugnazione dell’istituto bancario ha natura incidentale.
Con il primo motivo del ricorso principale è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28 della L. 794/1942, 3 e 14 del d.lgs. 150/2011, 641, 645 e 702 bis e ss. c.p.c., 20 del D.M. 55/2014. Sostiene il ricorrente che l’opposizione doveva essere proposta con citazione, essendo azionati crediti per attività sia giudiziali che stragiudiziali non connesse alle prime, mentre la BCC aveva introdotto la causa con ricorso notificato in data 22.10.2018, oltre il termine di quaranta giorni ex art. 645 c.p.c. dalla notifica dell’ingiunzione avvenuta in data 19.6.2018.
Il motivo è infondato.
La pronuncia ha stabilito che il ricorso monitorio era teso ad ottenere il pagamento per attività di rappresentanza e assistenza giudiziale civile, negando, quindi, che le attività stragiudiziali fossero scollegate e non funzionali rispetto a quelle giudiziali.
D’altronde, come è evidenziato nel controricorso, era stato il difensore a richiamare l’art. 3 del contratto di incarico del 1996 che regolava i compensi per le attività giudiziali civili, potendo l’opponente confidare nell’applicabilità del rito speciale sulla base delle stesse deduzioni di controparte e della qualificazione del titolo della pretesa (Cass. 10206/2001; Cass. 15720/2006; Cass. 8014/2009) e, per giunta, questa Corte ha già ritenuto ammissibile l’opposizione ex art. 645 c.p.c. (non rientrante nelle ipotesi regolate dal citato art. 14) proposta con ricorso quando, come nel caso in esame, l’opponente abbia richiamato l’art. 702 bis c.p.c. e, dunque,
le regole del processo sommario disciplinato dal codice di rito (Cass. 34501/2022; Cass. 25543/2023).
L’opposizione era quindi – tempestiva.
3. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. e 112 c.p.c., sostenendo che con decreto ingiuntivo non opposto, e perciò passato in giudicato, il Tribunale di Monza aveva ritenuto ancora operante la convenzione tariffaria sottoscritta dalle parti nel 1996, di cui doveva farsi applicazione anche nella presente controversia.
Il motivo è infondato.
Il preteso giudicato esterno è insussistente.
In forza della già menzionata convenzione tariffaria, le parti avevano predeterminato il contenuto dei successivi incarichi professionali, ognuno dei quali, pur avendo un comune contenuto economico, era distintamente conferito, venendo a radicarsi in un titolo autonomo (cfr., nel senso che le prestazioni professionali fondate su incarichi distinti, conferiti sulla base di una convenzione tariffaria, si inscrivono nell’ambito di un rapporto unitario in senso fattuale e storico/fenomenologico: Cass. 24657/2023; Cass. 24459/2023; Cass. 22094/2023).
Questa Corte ha affermato che il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso , precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio (Cass. 25180/2024; Cass. 22465/2018; Cass. 281318/2017; Cass. 18725/2008; Cass. SU
4510/2006; Cass. 6628/2006; Cass. 18725/2007; Cass. 18791/2009; Cass. 11360/2010).
L’accertamento dell’operatività della convenzione tariffaria del 1996 rispetto a taluni incarichi di difesa (e che rendeva applicabili le tariffe professionali), non poteva ritenersi oggetto di un giudicato esterno anche rispetto ad ogni ulteriore mandato difensivo, costituente un diverso titolo giustificativo del diritto al compenso per le distinte attività (Cass. 32370/2023; Cass. 10430/2023; cfr., per i rapporti di durata, Cass. 17223/2020, Cass. 10430/2023; Cass. 37/2019 secondo cui il vincolo di giudicato, sia pur formato in relazione a periodi temporali diversi, opera solo a condizione che il fatto costitutivo sia lo stesso ed in relazione ai soli aspetti permanenti del rapporto, con esclusione di quelli variabili).
4. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1326, 1362 e 2233 c.c., per aver il Tribunale ritenuto perfezionata e vincolante la Convenzione del 2013, limitatamente all’art. 3.1, per contrasto con la disciplina sull’equo compenso. Si assume in ricorso che, ravvisata detta nullità, il giudice avrebbe dovuto applicare la convenzione del 1994 che riconosceva i valori tariffari medi. La pronuncia avrebbe trascurato che la successiva convenzione del 2015 riguardava solo le cause contenute nell’elenco allegato all’accordo e che la missiva del 12.6.2013 integrava una nuova proposta del difensore che non era stata formalmente accettata, non essendosi perfezionato, fino al 2015, alcun accordo sulle condizioni economiche, come era confermato anche dal comportamento anteriore e successivo delle parti, non potendo aver rilievo che tale accordo non fosse stato contestato, avendo il ricorrente -peraltro – negato di aver firmato il contratto.
Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1326, 1362 e ss., 2233 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., asserendo che, date le contestazioni del difensore, nessuna convenzione poteva dirsi
stipulata tra l’avv. COGNOME e BCC nel 2013, essendo in vigore quella del 1996, cui doveva far riferimento il giudice nel liquidare i corrispettivi.
Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 1362 e ss. c.c., per aver il Tribunale ritenuto applicabile la convenzione tariffaria, dichiarata nulla, senza le integrazioni e le modifiche di cui alla missiva del 12.06.2013 in base alle quali il nuovo accordo riguardava le sole pratiche comprese nell’elenco allegato, tutte successive alla sottoscrizione, omettendo di pronunciare sulla presunta data di stipula della convenzione.
I tre motivi sono inammissibili perché trascurano (e non censurano) il fatto che il Tribunale, pur affermando che il ricorrente aveva sottoscritto anche la convenzione tariffaria del 2013, ha ritenuto che le prestazioni oggetto di causa fossero regolate nella successiva convenzione del 2015 (come si legge a pag. 4, ultimo periodo, della pronuncia impugnata). Non occorre accertare se le parti avessero sottoscritto anche la precedente convenzione del 2013, che il Tribunale non ha utilizzato per la liquidazione dei compensi.
Quanto al fatto che la successiva convenzione del 2015 si applicasse alle sole prestazioni di cui all’elenco allegato all’accordo , la censura difetta di specificità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., non chiarendo dove e se l’applicabilità della convenzione a talune soltanto delle pratiche curate dal ricorrente e l’esclusione delle prestazioni professionali oggetto di lite dal novero di quelle sottoposte alle suddette condizioni tariffarie siano state dibattute in giudizio, non essendovi alcun cenno nella decisione impugnata.
Con il sesto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., del D.M. 55/2014, all’art. 13 bis della legge professionale forense, lamentando che il Tribunale abbia dichiarato la nullità della convenzione tariffaria e disposto la liquidazione dei compensi secondo il D.M. 55/2014, disapplicando la convenzione del 1994 che riconosceva al difensore importi
corrispondenti ai valori tariffari medi, senza nulla riconoscere -o riconoscendo importi inferiori a quelli congrui – per talune delle attività svolte.
Con il settimo motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione e violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.M. n. 238/1992 per aver la pronuncia riconosciuto gli interessi legali sul compenso, disattendendo immotivatamente la richiesta di applicare gli interessi moratori di cui al D.M. 238/1992
L’ottavo motivo deduce la violazione degli artt. 2233 c.c., 13 bis della legge professionale forense, del dm 55/2014, lamentando l’omessa liquidazione delle spese processuali per la fase istruttoria e di trattazione.
Il sesto motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento dei motivi secondo e terzo del ricorso incidentale, per le ragioni cui si darà conto nel prosieguo, da cui discende l’inapplicabilità dell’art. 13 bis della legge professionale; anche il settimo e l’ottavo motivo sono assorbiti, occorrendo procedere ad una nuova liquidazione del compenso e delle spese processuali per la ritenuta fondatezza del ricorso incidentale.
6. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 1175 e 1375 c.c., per aver il Tribunale respinto l’eccezione di abusivo frazionamento del credito, evidenziando che l’avv. COGNOME aveva incardinato venticinque procedimenti monitori con un parziale accorpamento dei relativi crediti senza un criterio uniforme, essendo le diverse pretese fondate su un unico rapporto professionale a carattere continuativo.
Il motivo è infondato.
Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, proporre plurime richieste giudiziali di adempimento (Cass. s.u. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e che anche le domande aventi ad
oggetto distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, devono esser proposte nel medesimo giudizio se le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. s.u. 4090/2017; Cass. 31012/2017; Cass. 17893/2018; Cass. 6591/ 2019).
E’ dunque ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023).
Nel caso in esame, il Collegio non si è limitato ad un’affermazione di principio circa la possibilità di azionare sempre separatamente i crediti relativi a ciascun incarico di difesa, ma ha precisato che la proposizione di azioni separate si giustificava per il fatto che ciascun ricorso monitorio era stato proposto per una pluralità di cause con connotazioni omogenee o comunque connesse e che un eventuale simultaneus processus delle decine di pratiche avrebbe richiesto l’esame di una notevolissima mole di documenti, rendendo particolarmente difficoltosa la difesa, con il prevedibile effetto di rendere meno celere la realizzazione del credito.
Dato l’accertato interesse ad azionare più giudizi, non è configurabile un abuso del processo, né è necessario attendere la pronuncia delle sezioni unite di questa Corte sulla questione sollevata con ordinanza interlocutoria n. 3643/2024, riguardo all’inci denza del frazionamento sulla sola regolazione delle spese o sulla proponibilità della domanda.
7. Il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 73 e 77 Cost., degli artt. 1, 10 e 11 disposizioni sulla legge in generale, dell’art. 113 c.p.c., dell’art. 1 della L. 172/2017e dell’art. 15 della L. 400/1988, per aver il Tribunale erroneamente ritenuto
che gli accordi tariffari violassero l’art. 13 bis della L. 247/2012, norma entrata in vigore il giorno 1.1.2018, dopo l’esaurimento del rapporto professionale per effetto della rinuncia ai mandati in data 16.11.2012.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1, 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, affermando che l’art. 13 bis della legge professionale non era norma retroattiva e non poteva applicarsi alle prestazioni già espletate prima della sua entrata in vigore o alla convenzione conclusa precedentemente dalle parti, in data 11.4.2013.
I due motivi sono fondati.
Il Tribunale è incorso nell’errore di ritenere applicabile l’art. 13 bis anche ai rapporti professionali ormai integralmente esauriti a seguito di rinuncia al mandato in data 16.11.2012 e alle prestazioni già espletate, individuando la data di entrata in vigore dell’art. 13 bis nella data di adozione del D.L. 148/2017, individuata nel 16.10.2017.
La norma non è compresa tra le disposizioni adottate con il decreto legge, ma è stata introdotta dall’art. 19 quaterdecies della legge di conversione n. 148/2017, con effetti dall’1.1.2018.
Di conseguenza, non avendo la disposizione valore interpretativo e retroattivo, non era applicabile alle prestazioni integralmente svolte prima dell’1.1.2018, non potendosi sindacare e disapplicare i contenuti economici delle sottostanti convenzioni (Cass. 15407/2024; Cass. 7904/2020).
8. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver il Tribunale affermato che la convenzione stipulata nel 2013 era divenuta vincolante solo con la sottoscrizione dell’accordo del 29.4.2015 e solo nella parte in cui conteneva la regolazione tariffaria, senza nulla replicare alle deduzione della banca che aveva sostenuto che l’originaria convenzione era stata stipulata dalla BCC Gestione crediti s.p.a. per conto dell’istituto ricorrente.
Il motivo è inammissibile. Il Tribunale ha affermato che le attività oggetto di lite erano regolate dalla convenzione del maggio 2015, poiché svolte dopo il 30.6.2014. Non è di alcun rilievo stabilire se le parti avessero sottoscritto anche l’accordo sui compensi del 2013.
10. Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 1224 e 1284 c.c., per aver il Tribunale fatto decorrere gli interessi dalla domanda monitoria, e non dalla pronuncia, pur essendo il credito ancora illiquido alla data del deposito del ricorso monitorio.
Il motivo è assorbito, dovendo il giudice di rinvio procedere ad una nuova liquidazione dei corrispettivi sia per il capitale che per gli interessi.
Sono accolti i motivi secondo e terzo del ricorso incidentale, con rigetto del primo motivo e con assorbimento delle restanti censure, mentre è respinto il ricorso principale. La pronuncia è cassata in relazione ai motivi accolti e si rinvia la causa al Tribunale di Monza, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale, dichiara inammissibile il quarto ed assorbito il quinto motivo, cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Monza, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione