Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20466 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20466 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sui ricorsi riuniti iscritti al n. 17254/2019 R.G. e al n. 18098/2019 R.G. proposti il primo (n. 17254 /2019) da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
COGNOME domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso da sé stesso e dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
e il secondo (n. 19089/2019 R.G) da:
COGNOME domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso da sé stesso e dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso ORDINANZA di TRIBUNALE MONZA n. 7282/2018 depositata il 27/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Monza è stato investito, ex art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011, dell’opposizione proposta dalla Banca di credito cooperativo di Milano, società cooperativa (Banca), contro il decreto ingiuntivo, chiesto e ottenuto dall’avv. NOME COGNOME per il pagamento di compensi professionali, per l’importo di € 41.831,20.
Il Tribunale ha revocato il decreto e condannato la Banca al pagamento della minore somma di € 6.387,93, oltre accessori.
L’importo liquidato si riferisce a pratiche analiticamente indicate nel provvedimento.
Queste, in sintesi, le ragioni della decisione.
Il Tribunale ha riconosciuto ‘valida ed efficace’ la convenzione tariffaria dell’11 aprile 2013 stipulata fra l’avv. COGNOME e BCC Gestione Crediti, ponendo l’accento sul fatto che «è lo stesso accordo liquidatorio sottoscritto in data 29.04.2015, anch’esso mai disconosciuto (cfr. in tal senso il documento n. 9 prodotto dall’opponente), a dimostrare come l’avv. NOME COGNOME e la
Banca di Credito Cooperativo di Sesto San Giovanni avessero concordato la liquidazione dei compensi spettanti al legale fiduciario per tutte le vertenze seguite nell’interesse di quest’ultima, ivi comprese quelle ‘ svolte successivamente al 30/06/2014 ‘, essendosi egli impegnato ‘ ad applicare le tariffe di cui alla convenzione del 11/04/2013 con avvocati fiduciari della BCC di Sesto San Giovanni predisposta da BCC Gestione Crediti s.p.a. e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12/06/13 ‘.
Ne consegue che la Convenzione, ivi compresi i criteri liquidatori di cui all’allegata tabella, stipulata tra l’Avv. NOME COGNOME e BCC Gestione Crediti s.p.a., è stata estesa anche a BCC di Sesto San Giovanni e, parimenti, che le uniche modifiche/integrazioni accolte da quest’ultima, tra le numerose altre sollecitate dal difensore, sono quelle contenute nella lettera inviatale in data 12.6.2013 nei limiti, però, di quanto già precisato dall’opponente con la missiva datata 18.6.2013 ove era stata formalmente ribadita la disponibilità ad applicarla solo ‘ agli incarichi conferiti successivamente alla sottoscrizione ‘ ed a sostituire l’inciso ‘ al legale potranno ‘ di cui al punto 3.4 della Convenzione con ‘ al legale dovranno ‘ (cfr. in tal senso il documento n. 8 prodotto dall’opponente). Il Tribunale ha proseguito nella propria analisi, rilevando che «All’applicabilità di tale Convenzione e dei criteri liquidatori ivi riportati a tutti gli incarichi conferiti all’Avv. NOME COGNOME successivamente al 30.6.2014 dovrebbe derivare l’impossibilità per il legale fiduciario di discostarsene e, a dire della banca, anche l’incompetenza territoriale del Tribunale di Monza stante quanto previsto dall’art. 10 secondo cui ‘ Foro competente ed esclusivo in caso di controversie insorte tra le Parti in merito all’interpretazione e/o
esecuzione della (…) Convenzione ‘ sarebbe stato ‘ quello di Roma ‘. Il Tribunale non ha condiviso tale approccio, avendo le parti richiamato la Convenzione stipulata tra BCC Gestione Crediti e l’Avv. COGNOME solo in ordine ai criteri liquidatori del compenso dovutogli da BCC di Sesto San Giovanni per le attività concretamente espletate in favore di quest’ultima e non anche con riferimento alla clausola istitutiva della competenza territoriale esclusiva del foro di Roma.
Il Tribunale ha poi preso in esame l’eccezione del legale, il quale aveva invocato «l’applicazione dell’art. 13 bis della legge professionale forense, così come introdotto dal d. l. n. 16.10.2017 n. 148 (c.d. decreto fiscale per l’anno 2018 istitutivo del c.d. ‘equo compenso’), al fine di legittimare diversamente l’applicabilità dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014 e di ottenere, quindi, una somma ben maggiore rispetto a quella che, in caso contrario, il Tribunale avrebbe potuto liquidargli applicando i più ristretti criteri liquidatori recepiti dalla Convenzione». Il Tribunale ha operato una disamina in diritto della disciplina, riconoscendone l’efficacia retroattiva e, quindi, l’applicabilità anche ai rapporti fra le parti in causa, limitatamente alle posizioni non ancora definite e liquidate tra le parti. In particolare, il Tribunale ha posto l’accento sul fatto che «la rinuncia da parte dell’avv. COGNOME ai mandati difensivi conferiti da BCC era avvenuta con comunicazione del 16.11.2017 e pertanto successivamente all’entrata in vigore del citato decreto -legge n. 148/2017 (entrato in vigore il 16 ottobre 2017)».
Quindi il Tribunale ha esaminato analiticamente le dodici pratiche per le quali era stata chiesta e ottenuta l’ingiunzione di pagamento, riconoscendo infine una somma inferiore rispetto a quella ingiunta.
Il Tribunale infine ha rigettato l’ulteriore contestazione della Banca, in ordine all’abusivo frazionamento del credito, tenuto conto che «il credito monitorio da un unico rapporto contrattuale, l’Avv. COGNOME avrebbe dovuto necessariamente accorpare in un unico procedimento i compensi richiesti per ciascun singolo subprocedimento seguito» il Tribunale non ha condiviso tale assunto, considerando che «come si evince dalla lettura di alcuni dei ricorsi proposti dall’Avv. COGNOME, che sono state accorpate, per quanto possibile, le domande relative a procedimenti connessi o, comunque, collegati tra loro e che un integrale accorpamento di tutti i sub-procedimenti rimasti inadempiuti (o, per meglio dire, il loro mancato frazionamento secondo logica e buon senso) avrebbe presumibilmente inciso negativamente sul diritto di difesa della controparte in quanto costretta a vagliare nell’ambito di un unico contenzioso centinaia di posizioni spesso assai distinte tra loro.
Ma anche volendovi prescindere e quantunque il diritto al compenso tragga origine dall’unico rapporto contrattuale intercorso tra le parti, ciò che rileva è l’attività concretamente espletata dal difensore nell’ambito di ciascun singolo procedimento incardinato sicché, a stretto rigore, quest’ultimo ben avrebbe potuto depositare un distinto ricorso per ciascun singolo procedimento giudiziale/stragiudiziale espletato in esecuzione di ciascun incarico di volta in volta conferitogli».
Contro l’ordinanza che ha definito il procedimento la Banca di Credito Cooperativo di Milano ha proposto ricorso affidato a cinque motivi. L’avv. COGNOME ha a sua volta proposto autonomo ricorso sulla base di sette motivi.
Nei distinti procedimenti la Banca e il legale hanno depositato controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In primo luogo, va disposta la riunione dei due ricorsi, proposti contro il medesimo provvedimento. Il ricorso dell’avv. COGNOME notificato per primo (27/05/2019-16:51:17) ha natura principale; l’impugnazione dell’istituto bancario ha natura incidentale (27/05/2019-19:07:39).
Il ricorso dell’avv. COGNOME propone i seguenti motivi:
con il primo motivo si eccepisce l’inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla Banca, in quanto asseritamente tardiva. Il ricorrente precisa di aver richiesto con il decreto ingiuntivo opposto il pagamento di attività stragiudiziale per nulla strumentale o complementare a quella propriamente processuale. Conseguentemente, non essendo applicabile il rito di cui all’art. 14 d. lgs. n. 150/2011, il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile, in quanto tardiva, l’opposizione proposta dalla Banca, che aveva utilizzato la forma del ricorso, notificato insieme al decreto di fissazione dell’udienza, oltre il termine di cui all’art. 641 c.p.c.;
il secondo motivo pone la questione dell’efficacia di giudicato sostanziale delle statuizioni contenute nel decreto ingiuntivo del Tribunale di Monza n. 1395/18 – R.G.N. 13134/17, divenuto definitivo in mancanza di tempestiva opposizione . Si sostiene che ‘ i presupposti sostanziali di tale decreto sono i medesimi per cui oggi è causa, ossia, l’esistenza, la validità ed efficacia di una convenzione tra l’avv. COGNOME e la BCC, risalente addirittura ai primi anni ’90, diretta a regolamentare la retribuzione del professionista per l’attività di recupero dei crediti di esso Istituto ‘. La censura è proposta anche in relazione all’art. 112 c.p.c.
sostenendosi che Tribunale di Monza non si è pronunciato sull’eccezione di giudicato sollevata dall’Avv. COGNOME
c) con il terzo motivo il ricorrente contesta la correttezza dell’ordinanza impugnata, per avere detta pronuncia ritenuto valida ed efficace nei confronti dell’Avv. COGNOME la Convenzione dell’11 aprile 2013, in quanto dallo stesso sottoscritta e mai disconosciuta, al pari dell’accordo del 29 aprile 2015, concernente l’avvenuta pattuizione tra la Banca e l’Avv. COGNOME della liquidazione dei compensi spettanti al legale fiduciario per tutte le vertenze, ivi comprese quelle svolte successivamente al 30 giugno 2014, da questi seguite nell’interesse della Banca medesima. In particolare, il ricorrente assume che il Tribunale ‘ avrebbe dovuto applicare la convenzione del 1994 che imponeva alle parti l’applicazione dei compensi di cui ai tariffari tempo per tempo vigenti, quantomeno nella misura media, misura alla quale le parti si erano sempre riferite ‘. Il ricorrente assume che il Tribunale avrebbe violato l’art. 2233 c.c. che prevede a pena di nullità la forma scritta delle convenzioni tra avvocati e clienti e non il non aver effettuato un espresso disconoscimento. Con particolare riferimento all’accordo del 29 aprile 2015, il ricorrente evidenzia di aver sempre sostenuto che detto accordo era unicamente diretto a regolamentare le posizioni di cui all’allegato elenco, contestando la correttezza dell’ordinanza che ‘ lo ha esteso a tutte le pratiche affidate ‘. Ancora, il ricorrente censura la decisione nella parte in cui il Tribunale, in violazione dell’art. 1326, ultimo comma, c.c. e degli artt. 1362 e ss. c.c., aveva riconosciuto che ‘ la lettera del 12.06.13 fosse una richiesta di modifica che peraltro è stata accettata solo limitatamente ad alcune parti ‘;
d) con il quarto motivo (definito nel ricorso ‘strettamente correlato al precedente’) il ricorrente propone le medesime contestazione di cui al precedente motivo denunziando la violazione del ‘principio a mente del quale il Giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita ‘;
e) con il quinto motivo il ricorrente lamenta ‘ che il Tribunale di Monza abbia errato nel ritenere applicabile la convenzione tariffaria (poi dichiarata nulla), ma senza le integrazioni e modifiche tutte di cui alla missiva 12.06.13 prodotta quale doc. 57 ‘. Evidenziando che ‘ la scarna motivazione del Tribunale si è rilevata del tutto carente ed errata ‘, il ricorrente assume che ‘ il Tribunale non avrebbe potuto comunque prescindere dalle integrazioni di cui alla lettera 12.06.13 sopra riportate, e dalla specificazione della data esatta di perfezionamento che come sopra esposto per certo non poteva essere 11.04.13 ‘ e che ‘ il Tribunale nulla ha mai specificato, incorrendo quindi nel vizio denunciato in ordine alla presunta data di stipula della convenzione, che pure è stato oggetto di ampio dibattito e contrasti argomentativi nel corso del Giudizio’;
f) con il sesto motivo il ricorrente censura l’ordinanza del Tribunale per avere violato il disposto del secondo comma dell’art. 2233 c.c. ed i principi introdotti dalla legge in materia di equo compenso, oltre che del DM 55/14. Il ricorrente assume che il Tribunale ‘ pur avendo ritenuto la nullità della pretesa convenzione tariffaria, ed affermando di liquidare i compensi secondo il disposto di cui al DM 55/14 ha fatto tutt’altro’; che il medesimo Tribunale ‘ con la pronunzia de quo non ha rispettato i valori di cui al DM 55/14 è andato ben al di sotto dei minimi tariffari così violando la normativa
sull’equo compenso ed il disposto di cui all’art. 2233, comma 2, che preclude di liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione’ e ‘ si è scostato considerevolmente dai criteri suddetti senza tuttavia dare minimo conto dei parametri che hanno guidato la liquidazione’ ;
con il settimo motivo (definito nel ricorso ‘strettamente correlato al precedente’) il ricorrente censura l’ordinanza del Tribunale di Monza ‘ per avere erroneamente valutato la documentazione probatoria sottoposta al suo vaglio e quindi incorrendo nella violazione di cui all’art. 115 c.p.c.’ In particolare, il ricorrente si duole della liquidazione inferiore, sostenendo che il Tribunale ha riconosciuto la congruità degli importi già versati della Banca, che invece costituivano solo acconti sul maggior dovuto, evidenziandosi che il giudizio di congruità è stato fatto rispetto alla convenzione del 2013, che il medesimo Tribunale ha dichiarato nulla;
con l’ottavo motivo di ricorso il ricorrente ‘ censura l’ordinanza del Tribunale che ha condannato la Banca, così incorrendo nella violazione delle norme suindicate, al pagamento degli interessi legali, a fronte della domanda della scrivente difesa di condanna al pagamento degli interessi moratori di cui al D.M. 238/92.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato. Al di là della novità della questione (di cui non c’è menzione nella decisione impugnata) è decisiva la considerazione, proposta nel controricorso, che era stato il medesimo difensore a richiamare l’art. 3 del contratto di incarico del 1996 che regolava i compensi per le attività giudiziali civili, potendo l’opponente confidare nell’applicabilità del rito speciale sulla base delle stesse deduzioni di
contro
parte e della qualificazione del titolo della pretesa (Cass. 10206/2001; Cass. 15720/2006; Cass. 8014/2009) e, per giunta, questa Corte ha già ritenuto ammissibile l’opposizione ex art. 645 c.p.c. (non rientrante nelle ipotesi regolate dal citato art. 14) proposta con ricorso quando, come nel caso in esame, l’opponente abbia richiamato l’art. 702 -bis c.p.c. e, dunque, le regole del processo sommario disciplinato dal codice di rito (Cass. 34501/2022; Cass. 25543/2023). L’opposizione era quindi tempestiva.
Il secondo motivo del ricorso principale è infondato. Il preteso giudicato esterno è insussistente. In forza della già menzionata convenzione tariffaria, le parti avevano predeterminato il contenuto dei successivi incarichi professionali, ognuno dei quali, pur avendo un comune contenuto economico, era distintamente conferito, venendo a radicarsi in un titolo autonomo (cfr., nel senso che le prestazioni professionali fondate su incarichi distinti, conferiti sulla base di una convenzione tariffaria, si inscrivono nell’ambito di un rapporto unitario in senso fattuale e storico/fenomenologico: Cass. 24657/2023; Cass. 24459/2023; Cass. 22094/2023). Questa Corte ha affermato che il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a
giustificazione della relativa domanda in altro giudizio (Cass. 25180/2024; Cass. 22465/2018; Cass. 281318/2017; Cass. 18725/2008; Cass. SU 4510/2006; Cass. 6628/2006; Cass. 18725/2007; Cass. 18791/2009; Cass. 11360/2010). L’accertamento dell’operatività della convenzione tariffaria del 1996 rispetto a taluni incarichi di difesa (e che rendeva applicabili le tariffe professionali), non poteva ritenersi oggetto di un giudicato esterno anche rispetto ad ogni ulteriore mandato difensivo, costituente un diverso titolo giustificativo del diritto al compenso per le distinte attività (Cass. 32370/2023; Cass. 10430/2023; cfr., per i rapporti di durata, Cass. 17223/2020, Cass. 10430/2023; Cass. 37/2019 secondo cui il vincolo di giudicato, sia pur formato in relazione a periodi temporali diversi, opera solo a condizione che il fatto costitutivo sia lo stesso ed in relazione ai soli aspetti permanenti del rapporto, con esclusione di quelli variabili) (Cass. n. 7355/2025).
Il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso principale sono inammissibili, perché trascurano (e non censurano) il fatto che il Tribunale, pur affermando che il ricorrente aveva sottoscritto anche la convenzione tariffaria del 2013, ha ritenuto che le prestazioni oggetto di causa fossero regolate nella successiva convenzione del 2015. Non occorre accertare se le parti avessero sottoscritto anche la precedente convenzione del 2013, che il Tribunale non ha utilizzato per la liquidazione dei compensi. Quanto al fatto che la successiva convenzione del 2015 si applicasse alle sole prestazioni di cui all’elenco allegato all’accordo, la censura difetta di specificità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., non chiarendo dove e se l’applicabilità della convenzione a talune soltanto delle pratiche curate dal ricorrente e l’esclusione delle prestazioni professionali oggetto di
lite dal novero di quelle sottoposte alle suddette condizioni tariffarie siano state dibattute in giudizio, non essendovi alcun cenno nella decisione impugnata.
Il sesto, il settimo e l’ottavo motivo del ricorso principale sono assorbiti, in conseguenza dell’accoglimento del secondo motivo e del terzo motivo del ricorso incidentale, per le ragioni cui si darà conto nel prosieguo, da cui discende l’inapplicabilità dell’art. 13 bis della legge professionale.
Il ricorso della banca propone i seguenti motivi:
violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost e degli artt. 1175 e 1375 c.c. perché il Tribunale non ha riconosciuto l’ipotesi dell’abusivo frazionamento del credito, pur ricorrendone tutti i presupposti, trattandosi di iniziative giudiziarie plurime, tuttavia, riferite ad un unico rapporto;
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 73 e 77 Cost., degli artt. 1, 10 e 11 disposizioni sulla legge in generale, dell’art. 113 c.p.c., dell’art. 1 legge 4 dicembre 2017, n. 172 e dell’art. 15 legge 23 agosto 1988, n. 400, perché il Tribunale ha erroneamente ritenuto che l’introduzione e la conseguente entrata in vigore dell’art. 13 bis siano avvenute con l’entrata in vigore del Decreto -legge n. 148 del 16 ottobre 2017 piuttosto che con l’entrata in vigore della Legge n. 172 del 4 dicembre 2017 di conversione. entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale: conseguentemente dopo la rinunzia ai mandati da parte dell’avv. COGNOME avvenuta con lettere inviata il 16 novembre 2017;
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 10 e 11 disposizioni sulla legge in generale, perché il Tribunale non ha considerato che anche a voler prescindere dall’assorbente rilievo
circa l’errore inerente alla data di entrata in vigore della norma qui rilevante, è comunque da escludere che alla normativa sull’equo compenso, cui controparte ha inteso fare riferimento nel corso del giudizio di primo grado, possa essere attribuita efficacia retroattiva e che, quindi, possa trovare applicazione con riferimento alla Convenzione dell’11 aprile 2013 (stipulata ben prima dell’entrata in vigore della disciplina sull’equo compenso);
d) nullità della pronuncia impugnata in relazione al disposto di cui all’art. 112 c.p.c., per avere il Tribunale ha omesso di pronunciarsi su una specifica domanda avanzata dalla Banca odierna ricorrente, volta a chiedere il riconoscimento del fatto che BCC Gestione Crediti S.p.A. ha stipulato detta convenzione con l’Avv. COGNOME per conto della Banca di Credito Cooperativo di Sesto San Giovanni -Società Cooperativa;
e) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1224 e 1284 c.c. e dell’art. 4 d.lgs. n. 231/2002, perché il Tribunale di Monza ha ritenuto di condannare la Banca alla corresponsione degli interessi moratori legali nella misura attualmente prevista dall’art. 1284, comma 4, c.c., maturati a decorrere dalla data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo sino a quella del saldo effettivo. Si sostiene che, essendo insorta controversia fra avvocato e cliente circa il compenso per prestazioni professionali, il debitore non può essere ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che avviene con l’ordinanza che conclude il procedimento.
5. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato. Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, proporre plurime richieste giudiziali di adempimento (Cass. s.u. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass.
26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e che anche le domande aventi ad oggetto distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, devono esser proposte nel medesimo giudizio se le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. s.u. 4090/2017; Cass. 31012/2017; Cass. 17893/2018; Cass. 6591/ 2019). È dunque ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023). Nel caso in esame, il Collegio non si è limitato ad un’affermazione di principio circa la possibilità di azionare sempre separatamente i crediti relativi a ciascun incarico di difesa, ma ha precisato che la proposizione di azioni separate si giustificava per il fatto che ciascun ricorso monitorio era stato proposto per una pluralità di cause con connotazioni omogenee o comunque connesse e che un eventuale simultaneus processus delle decine di pratiche avrebbe richiesto l’esame di una notevolissima mole di documenti, rendendo particolarmente difficoltosa la difesa, con il prevedibile effetto di rendere meno celere la realizzazione del credito.
Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente, sono fondati. Il Tribunale è incorso nell’errore di ritenere applicabile l’art. 13 bis anche ai rapporti professionali ormai integralmente esauriti a seguito di rinuncia al mandato in data 16.11.2012 e alle prestazioni già espletate, individuando la data di entrata in vigore dell’art. 13
bis nella data di adozione del D.L. 148/2017, individuata nel 16.10.2017. La norma non è compresa tra le disposizioni adottate con il decretolegge, ma è stata introdotta dall’art. 19 quaterdecies della legge di conversione n. 148/2017, con effetti dall’1.1.2018. Di conseguenza, non avendo la disposizione valore interpretativo e retroattivo, non era applicabile alle prestazioni integralmente svolte prima dell’1.1.2018, non potendosi sindacare e disapplicare i contenuti economici delle sottostanti convenzioni (Cass. 15407/2024; Cass. 7904/2020).
Il quarto motivo è inammissibile. Il Tribunale ha affermato che le attività oggetto di lite erano regolate dalla convenzione del maggio 2015, poiché svolte dopo il 30.6.2014. Non è di alcun rilievo stabilire se le parti avessero sottoscritto anche l’accordo sui compensi del 2013.
Il quinto motivo è assorbito, dovendo il giudice di rinvio procedere ad una nuova liquidazione dei corrispettivi sia per il capitale che per gli interessi.
In conclusione, sono accolti i motivi secondo e terzo del ricorso incidentale, con rigetto del primo motivo e con assorbimento delle restanti censure, mentre è respinto il ricorso principale.
La pronuncia è cassata in relazione ai motivi del ricorso incidentale accolti, con rinvio della causa al Tribunale di Monza, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale, rigetta il primo motivo del medesimo ricorso incidentale, dichiara inammissibile il quarto motivo e assorbito il quinto motivo del ridetto ricorso incidentale; rigetta il ricorso principale; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda