Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33176 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33176 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14934/2022 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME NOME, NOME COGNOME elettivamente domiciliati a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE, l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente incidentale- avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI TORINO n. 515/2021 depositato il 29/11/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con ricorso innanzi alla Corte d’Appello di Torino ex art. 392 cod. proc. civ. depositato da NOME COGNOME, NOME COGNOME -quali soci illimitatamente responsabili della «RAGIONE_SOCIALE, insieme a NOME COGNOME deceduto – e NOME COGNOME tutti nella loro qualità di eredi di NOME COGNOME, riassumevano il giudizio a séguito di ordinanza di rinvio della Suprema Corte di Cassazione n. 17070 del 2021.
Il giudice del rinvio, in composizione collegiale, accoglieva il ricorso proposto per ottenere l’indennizzo causato dell’irragionevole durata del procedimento fallimentare apertosi, nei confronti dei ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME e di NOME COGNOME, con sentenza del Tribunale di Alessandria del 12.11.2004, chiusosi circa 12 anni dopo con decreto del 27.05.2016.
1.1. La Corte d’Appello di Torino, sulla base delle statuizioni della Suprema Corte, stabiliva l’ammissibilità dell’azione di equa riparazione, poiché il termine semestrale previsto dalla legge n. 89 del 2001 avrebbe dovuto essere conteggiato a decorrere dalla data in cui il decreto di chiusura della procedura fallimentare presupposta era divenuto definitivo, e quindi dopo un anno (oltre al periodo di sospensione feriale) dalla sua pubblicazione, e procedeva alla liquidazione del danno non patrimoniale, che determinava nella somma di € 1.440,00 per ciascuno dei due ricorrenti, NOME COGNOME e NOME COGNOME, e di € 160,00 per ciascuno dei tre ricorrenti nella loro qualità di eredi di NOME COGNOME
Liquidava le spese di lite complessivamente determinate – per quel che qui ancora rileva in € 510,00 per ciascuna delle due fasi di opposizione, oltre al rimborso forfettario del 15%, CPA e IVA.
Il decreto della Corte d’appello di Torino veniva impugnato per la cassazione da NOME COGNOME NOME COGNOME e da NOME COGNOME che lo affidavano ad un unico motivo di ricorso, illustrato da memoria.
Resisteva il Ministero della Giustizia depositando controricorso, contenente ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
CONSIDERATO CHE:
I. RICORSO INCIDENTALE
Il ricorso incidentale sarà esaminato preliminarmente, per ragioni di priorità logica.
1.1. Con l’unico motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, legge n. 89/2001, nonché dell’art. 75 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Il Ministero della Giustizia contesta la legittimazione attiva dei ricorrenti ad agire in equa riparazione, posto che risulta agli atti che nel giudizio presupposto non ci sono stati interventi dei falliti (ad es., promuovendo giudizi contenziosi nell’ambito della procedura presupposta), né iniziative acceleratorie (p.e., predisposizione di piani di rientro con pagamento integrale o parziale dei creditori iscritti), ovvero di tipo sollecitatorio (a fronte di colpevoli inerzie degli organi della procedura). In altri termini, precisa la difesa erariale, i ricorrenti hanno assunto una posizione di mero assoggettamento e/o di soggezione alla procedura, equiparabile a quella del debitore esecutato. Il danno che il fallito riceve dalla procedura è da ricondurre allo spossessamento dei beni (discendente direttamente dalla norma che fa riferimento alla tutela dei creditori), mentre non appare agevolmente evincibile in cosa consista il danno da ritardo con riguardo alla posizione di chi non abbia
in alcun modo preso parte alla procedura, risolvendosi pertanto gli effetti di essa, sul piano della rilevanza degli interessi in gioco. un vantaggio per il fallito.
1.2. Il motivo è infondato.
Ritiene il Collegio che debba essere condiviso l’orientamento più volte espresso da questa Corte (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13605 del 30/05/2013, Rv. 626285 -01; Cass. n. 17261 del 2002; Cass. n. 12807 del 2003; orientamento confermato, tra le altre, da: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6576 del 2023 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6577 del 2023, in motivazione; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 28499 del 2020, in motivazione) secondo cui il fallito rientra tra i titolari del diritto alla ragionevole durata del procedimento fallimentare, come configurato dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea, e ciò sulla base del rilievo che la procedura fallimentare riguarda lui prima e più di chiunque altro.
Il fatto che, perdurando tale procedimento, egli sia soggetto anche a gravose limitazioni di carattere personale, diversamente dal debitore esecutato, vale ulteriormente a dimostrare che – ai fini della titolarità del diritto alla ragionevole durata del processo, e nell’accezione che ad un simile termine deve essere riconosciuta in siffatto contesto normativo – il fallito è parte del processo fallimentare, essendo la sua posizione giuridica direttamente interessata al maggiore o minor protrarsi di tale processo nel tempo.
Il comportamento del fallito rileva nella misura in cui abbia determinato un ingiustificato allungamento dei tempi del processo in cui si assume essersi verificata una violazione della CEDU, art. 6, paragrafo 1, dovendosi escludere che abbia influenza il comportamento anteriore al processo, sebbene tale parte vi abbia dato causa.
Non occorre neanche che il fallito abbia sollecitato la definizione della procedura, quale indice rivelatore di una sofferenza e patema d’animo meno avvertiti, avuto anche riguardo alla posizione di mera attesa cui il fallito è assoggettato nel corso della procedura di cui si tratta (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 4602 del 2024; Cass. n. 28489/2020; Cass. n. 2247/2007).
Del resto, è dirimente – nel caso che ci occupa -il precedente intervento di questa Corte che, con l ‘ordinanza di rinvio sopra citata (Cass. n. 17070 del 2021), si era pronunciata sul l’ammissibilità dell’istanza di equa riparazione proposta da NOME e NOME COGNOME senza rilevare la mancanza di legittimazione attiva degli istanti.
1.3. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso incidentale.
II. RICORSO PRINCIPALE
Con un unico motivo di gravame i ricorrenti principali denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., dell’art. 2233 cod. civ. e del D.M. Giustizia n. 55/2014, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. I ricorrenti contestano la quantificazione delle spese di lite operata a cura del giudice del rinvio in violazione del D.M. n. 55/2014, tabella 12, posto che ha limitato il compenso a complessivi € . 510,00 per ciascuno dei due giudizi di opposizione, ben al di sotto del minimo previsto ex art. 4 D.M. giustizia, ammontante ad € . 1.577,00.
2.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione.
E’ opportuno precisare che, secondo la normativa in tema di spese giudiziarie (D.M. n. 55/2014, artt. 1 e 4) il giudice del merito può liquidare il compenso scegliendo tra il minimo ed il massimo delle tariffe. Inoltre, deve riconoscersi al giudice il potere di scendere anche al di sotto, o di salire anche al di sopra, dei limiti risultanti dall’applicazione delle massime percentuali di scostamento – come
fatto palese dall’inciso «di regola» che si legge, ripetutamente, nel primo comma dell’art. 4 , ma, proprio per il tenore letterale di detto inciso, tale possibilità può essere esercitata solo sulla scorta di apposita e specifica motivazione (Cass. Sez. 2, n.3242 del 05.02.2024; Cass. n. 14198/2022; Cass. n. 19989/2021; Cass. 3590/2018; Cass., Sez. 2, 14.05.2018, n. 11601; Cass. n. 2386/2017).
Nel caso di specie, il giudice del rinvio, individuato lo scaglione di riferimento (da € . 1.101,00 ad € . 5.200,00), non ha motivato la scelta di scendere al di sotto dei minimi edittali, effettivamente non rispettati anche a voler applicare le riduzioni di cui al comma 1 dell’art. 4 del D.M. in questione.
La pronuncia impugnata merita, pertanto, di essere cassata in relazione alla parte del motivo del ricorso principale accolto, rigettato quello incidentale.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito, con liquidazione delle spese di lite per tutte le fasi del giudizio.
Il Collegio liquida le spese processuali, anche quelle del presente giudizio, come da dispositivo, disponendo la distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie parzialmente il ricorso principale nei limiti di cui in motivazione, rigettato il ricorso incidentale; cassa il provvedimento impugnato quanto alla liquidazione delle spese processuali e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese, in favore dei ricorrenti principali con distrazione nei confronti del procuratore, dichiaratosi antistatario, così liquidate:
-€ 1.104,00 per la prima fase del giudizio, comprensiva dell’ opposizione innanzi alla Corte d’Appello di Torino , oltre al rimborso forfettario del 15%, CPA e IVA;
-€ 1.104 ,00 per il giudizio di rinvio, oltre al rimborso forfettario del 15%, CPA e IVA;
-€ 892,50 per il primo giudizio di legittimità, oltre ad € 200,00 per esborsi e al rimborso forfettario del 15%, CPA e IVA;
-€ 650,00 per il presente giudizio di legittimità, oltre ad € 200,00 per esborsi e al rimborso forfettario del 15%, CPA e IVA.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda