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Equa riparazione fallito: spetta sempre il diritto?

La Corte di Cassazione ha stabilito che il soggetto fallito ha sempre diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del procedimento fallimentare, anche qualora sia rimasto passivo durante lo stesso. Con l’ordinanza n. 33176/2024, la Corte ha respinto il ricorso del Ministero della Giustizia che contestava la legittimazione attiva del fallito. La Cassazione ha invece accolto il ricorso dei privati cittadini relativo all’errata liquidazione delle spese legali, affermando che il giudice può scendere sotto i minimi tariffari solo con una motivazione specifica, assente nel caso di specie.

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Equa riparazione per il fallito: la Cassazione conferma il diritto anche in caso di passività

L’eccessiva durata dei processi è una delle problematiche più sentite del sistema giudiziario italiano. La legge prevede un meccanismo di equa riparazione per il fallito e per chiunque subisca un danno da un processo irragionevolmente lungo. Ma cosa succede se il soggetto, come nel caso di una procedura fallimentare, rimane passivo? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33176/2024, offre un’importante chiarificazione, consolidando un principio di fondamentale tutela per i diritti del cittadino.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una procedura fallimentare avviata nel 2004 e conclusasi ben 12 anni dopo, nel 2016. I soci illimitatamente responsabili di una società e gli eredi di un altro socio, ritenendo la durata del procedimento eccessiva, avevano adito la Corte d’Appello per ottenere l’indennizzo previsto dalla legge. La Corte accoglieva la loro richiesta, liquidando un danno non patrimoniale.

Tuttavia, la decisione veniva impugnata su due fronti. Da un lato, il Ministero della Giustizia presentava un ricorso incidentale, sostenendo che i ricorrenti non avessero diritto all’indennizzo (mancanza di legittimazione attiva) poiché erano rimasti meri soggetti passivi della procedura, senza promuovere iniziative per accelerarla. Dall’altro, i privati cittadini presentavano ricorso principale, lamentando che le spese legali liquidate dalla Corte d’Appello fossero state calcolate in misura inferiore ai minimi tariffari senza un’adeguata motivazione.

Il Diritto all’Equa Riparazione del Fallito: un Principio Intoccabile

La Corte di Cassazione ha esaminato con priorità il ricorso del Ministero, rigettandolo in toto. Secondo gli Ermellini, il soggetto dichiarato fallito rientra a pieno titolo tra i titolari del diritto alla ragionevole durata del processo, come sancito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La procedura fallimentare, infatti, lo riguarda “prima e più di chiunque altro”.

Il Collegio ha sottolineato che, a differenza di un semplice debitore esecutato, il fallito subisce gravose limitazioni di carattere personale e patrimoniale. Questa posizione di soggezione lo rende “parte” del processo, con un interesse diretto e concreto a che la sua durata non si protragga ingiustificatamente. L’argomento secondo cui il fallito dovrebbe dimostrare un comportamento attivo (promuovendo azioni legali o sollecitando gli organi della procedura) per poter richiedere l’indennizzo è stato respinto. La sua passività non fa venire meno la sofferenza e il patema d’animo derivanti dalla condizione di attesa e incertezza. Il comportamento del fallito rileva solo se ha contribuito a un ingiustificato allungamento dei tempi, non se è stato semplicemente passivo.

La Liquidazione delle Spese Legali: il Dovere di Motivazione del Giudice

Passando all’analisi del ricorso principale, la Corte lo ha ritenuto fondato. I ricorrenti lamentavano che la Corte d’Appello avesse liquidato le spese legali per un importo (510,00 euro) ben al di sotto del minimo previsto dalla normativa di riferimento (1.577,00 euro), senza fornire alcuna giustificazione.

La Cassazione ha ribadito un principio cardine in materia di spese giudiziarie: il giudice ha il potere di scegliere un importo tra il minimo e il massimo delle tariffe professionali. Può anche, in via eccezionale, scendere al di sotto del minimo o salire al di sopra del massimo, ma questa scelta deve essere supportata da una “apposita e specifica motivazione”. Nel caso di specie, il giudice del rinvio non aveva motivato la sua decisione di derogare ai minimi edittali, violando così la normativa vigente (D.M. 55/2014).

Le Motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda su due pilastri logico-giuridici. In primo luogo, il diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo è un diritto fondamentale che spetta al fallito in quanto principale soggetto interessato dalla procedura, indipendentemente dal suo comportamento processuale, a meno che non abbia attivamente causato il ritardo. La sua posizione è intrinsecamente legata a limitazioni personali e patrimoniali che giustificano la tutela. In secondo luogo, il potere discrezionale del giudice nella liquidazione delle spese legali non è assoluto. La normativa stabilisce dei parametri (minimi e massimi) e ogni scostamento da essi, specialmente al ribasso, deve essere chiaramente ed esplicitamente giustificato, per garantire trasparenza e rispetto delle tariffe professionali.

Le Conclusioni

L’ordinanza consolida la tutela del fallito, riconoscendogli il pieno diritto a essere indennizzato quando la giustizia è troppo lenta, senza imporgli l’onere di un attivismo processuale. Inoltre, rafforza le garanzie per i professionisti legali, richiamando i giudici a un rigoroso dovere di motivazione qualora decidano di discostarsi dai parametri tariffari stabiliti per legge. La Corte, accogliendo il ricorso principale, ha cassato la pronuncia impugnata e, decidendo nel merito, ha riliquidato le spese processuali in favore dei ricorrenti per tutte le fasi del giudizio.

Un soggetto dichiarato fallito ha diritto a un indennizzo se la procedura dura troppo a lungo?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che il fallito è tra i titolari del diritto alla ragionevole durata del processo e ha diritto all’equa riparazione se la procedura si protrae in modo irragionevole, in quanto è il soggetto principalmente interessato e subisce gravose limitazioni personali.

La passività del fallito durante la procedura fallimentare influisce sul suo diritto all’equa riparazione?
No, la Corte ha stabilito che la mera passività e l’assenza di iniziative acceleratorie da parte del fallito non escludono il suo diritto all’indennizzo. Il suo comportamento rileva solo se ha causato un ingiustificato allungamento dei tempi del processo.

Il giudice può liquidare le spese legali al di sotto dei minimi tariffari previsti dalla legge?
Sì, ma solo a condizione di fornire un’apposita e specifica motivazione che giustifichi tale decisione. In assenza di tale motivazione, la liquidazione al di sotto dei minimi è illegittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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