Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21225 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21225 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18382/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e DI RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempre , rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME con elezione di domicilio digitale presso l’indirizzo PEC del difensore;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro protempore , domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis ;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cronol. 84/2023 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, pubblicato in data 13/02/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 05.11.2022, il Consigliere delegato dal Presidente della Corte d’Appello di L’Aquila rigettava le domande di equa riparazione presentate da RAGIONE_SOCIALE, da RAGIONE_SOCIALE, da RAGIONE_SOCIALE e da Di RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE per la irragionevole durata della procedura fallimentare della RAGIONE_SOCIALE, al cui passivo le suddette società erano state ammesse, protrattasi – dal momento della verifica dei crediti e della dichiarazione di esecutività dello stato passivo (15.11.2011) sino al deposito del decreto di chiusura (13.01.2022) -per anni dieci, mesi uno e giorni ventotto, eccedenti il limite della ragionevolezza di anni quattro, mesi uno e giorni ventotto.
Il giudice monocratico motivava il rigetto delle domande in considerazione della ‘ minima entità del credito, peraltro meramente chirografario, ammesso al passivo, che non può costituire in alcun modo fonte di danno morale per una società ‘, nonché della ‘ scarsissima importanza degli interessi coinvolti e nella assoluta irrilevanza della causa, da valutarsi in relazione alle nemmeno allegate condizioni delle parti istanti, che non possono aver nutrito speranze di sorta in ordine alla soddisfazione di un credito chirografario di contenutissima entità (quando già dall’esame e dello stato passivo risultavano ammessi in privilegio crediti per quasi 6.000.000,00 di euro) ‘ (cfr. motivazione del decreto monocratico trascritta a pag. 11 del ricorso).
Sull’opposizione ex art. 5 -ter legge n. 89 del 2001 proposta dalle odierne ricorrenti, la Corte d’Appello di L’Aquila, con decreto n. cronol. 84/2023, pubblicato in data 13.02.2023, confermava il rigetto delle domande di equa riparazione. A fondamento della propria decisione, la Corte distrettuale osservava che, una volta accertata l’eccessiva durata della procedura fallimentare presupposta, contrariamente a quanto sostenuto dalle opponenti, non avrebbe dovuto conseguirne necessariamente l’accoglimento della pretesa indennitaria, avendo il giudice margini di apprezzamento non solo in ordine alla determinazione del quantum dell’indennizzo, ma anche, a monte, in relazione alla sussistenza dell’ an . Il Collegio di seconda istanza aggiungeva, a tal proposito, che non poteva non tenersi conto ‘ del contesto più generale rappresentato dall’insieme della procedura concorsuale ‘, ove risultavano ammessi in privilegio crediti per importi ingentissimi; quanto alla scarsa rilevanza dei crediti insinuati dalle opponenti, osservava, ancora, che la qualificazione in termini di irrisorietà della posta in gioco poteva ‘ venire in rilievo solo da un raffronto tra questa e la dimensione societaria, oltre che a seguito di un confronto della domanda di indennizzo con le condizioni delle parti, le quali però non hanno reso edotto sul punto il primo giudice ‘ (cfr. pag. 4 del provvedimento impugnato).
Contro tale decreto RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso sulla base di tre motivi, contrastati con controricorso dal Ministero della Giustizia.
In prossimità dell’adunanza le ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa, insistendo nelle proprie richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo è così rubricato: ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 sexies, lettera g), L. 89/2001, in relazione all’art. 6, paragrafo 1 della CEDU, all’art. 1 del primo protocollo addizionale ed agli artt. 111 e 117 della Costituzione -Art. 360, n. 3 ‘. Le ricorrenti deducono che il giudice di merito, nel ritenere irrisorie le pretese fatte valere nella causa presupposta, avrebbe fornito un’interpretazione dell’art. 2, comma 2 sexies , lettera g) della legge n. 89 del 2001 contrastante con la giurisprudenza sia della Corte Europea dei Dirit ti dell’Uomo sia della Corte Costituzionale. In particolare, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto della consolidata giurisprudenza sovranazionale che tende ad escludere la sussistenza di un ‘pregiudizio importante’ in cause di valore pari o inferiore ad euro 500,00, laddove le istanti erano state ammesse al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE per somme di gran lunga superiori (la RAGIONE_SOCIALE per euro 6.923,85; la Sangro RAGIONE_SOCIALE per euro 4.554,02; la RAGIONE_SOCIALE per euro 1.225,45; la RAGIONE_SOCIALE per euro 1.922,63). Le ricorrenti deducono, altresì, che, diversamente da quanto sostenuto dal giudice di merito, l’art. 2, comma 2 sexies , lettera g ), della legge n. 89 del 2001 – secondo cui si presume insussistente il pregiudizio, salvo prova contraria, nel caso di irrisorietà della pretesa o del valore della causa, anche in relazione alle condizioni personali della parte – non avrebbe lo scopo di escludere l’indennizzo del danno da irragionevole durata patito da soggetti in floride condizioni economiche, ma mirerebbe, all’opposto, a garantire il diritto all’equa riparazione anche ai soggetti più deboli, per i quali potrebbe concretamente configurarsi
Ric. 2023 n. 18382 sez. S2 – ud. 10/07/2025
un ‘pregiudizio importante’ anche a fronte di cause che per la generalità dei consociati appaiono di modesto valore economico. La lettura della norma sopra menzionata data dal giudice di merito, a parere delle ricorrenti, si porrebbe in contrasto, altresì, con l’insegnamento della Corte Costituzionale (espresso nella sentenza n. 184/2015), secondo cui il legislatore nazionale avrebbe spazi di discrezionalità nella sola conformazione del quantum dell’equa riparazione, e non dell’ an , onde i parametri di irrisorietà della causa dovrebbero necessariamente essere tratti dalla giurisprudenza sovraordinata, non potendo il legislatore nazionale, e men che meno il giudice dell’equa riparazione, crearne di nuovi al di fuori del corpus normativo imposto dall’art. 6 della CEDU. Infine, il giudice di seconda istanza avrebbe disatteso anche il consolidato orientamento di legittimità in base al quale, una volta accertato il superamento del limite di ragionevole durata della causa presuppost a, l’esiguità della posta in gioco non varrebbe ad escludere il diritto all’equa riparazione, potendo rilevare, al più, sul piano della sola determinazione dell’indennizzo.
Il secondo motivo è così rubricato: ‘ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 135 c.p.c. in relazione all’art. 2, comma 2 sexies, lettera g), L. 89/2001, paragrafo 1 della CEDU, all’art. 1 del primo protocollo addizionale ed agli artt. 111 e 117 della Costituzione -Nullità del decreto -Art. 360, n. 4 ‘. Le ricorrenti denunciano il vizio di mera apparenza della motivazione, per aver il giudice di merito affermato l’irrisorietà delle pretese fatte valere dalle società nella procedura fallimentare presupposta, senza tuttavia specificare in alcun modo la soglia entro la quale il valore di una causa dovrebbe essere ritenuto irrisorio, rendendo
così impossibile ogni controllo sul ragionamento posto alla base della decisione impugnata.
Le censure, suscettibili di esame congiunto in ragione della reciproca connessione, sono fondate.
In tema di equa riparazione, la finalità della legge n. 89 del 2001 consiste nell’apprestare in favore della vittima della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, un rimedio giurisdizionale interno effettivo, capace di porre rimedio alle conseguenze della violazione stessa e che permetta di assicurare la sussidiarietà dell’intervento del giudice convenzionale (cfr. Cass. Sez. U., Sentenza n. 1338 del 26/01/2004, Rv. 569675; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 31024 del 04/12/2024, non massimata).
Tale essendo la finalità della norma interna, nell’applicazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione EDU, il giudice nazionale deve conformarsi alla giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo: infatti, come ha ribadito la Corte costituzionale con la sentenza n. 49 del 14.01.2015, il giudice nazionale, pur non potendo spogliarsi della funzione che gli è attribuita dall’art. 101, comma secondo, Cost., non può ‘ ignorare l’interpretazione della Corte EDU, una volta che essa si sia consolidata in una certa direzione. Corrisponde infatti a una primaria esigenza di diritto costituzionale che sia raggiunto uno stabile assetto interpretativo sui diritti fondamentali, cui è funzionale, quanto alla CEDU, il ruolo di ultima istanza riconosciuto alla Corte di Strasburgo. Quest’ultimo, poggiando sull’art. 117, primo comma, Cost., e comunque sull’interesse di dignità costituzionale appena
rammentato, deve coordinarsi con l’art. 101, secondo comma, Cost., nel punto di sintesi tra autonomia interpretativa del giudice comune e dovere di quest’ultimo di prestare collaborazione, affinché il significato del diritto fondamentale cessi di essere co ntroverso. È in quest’ottica che si spiega il ruolo della Corte EDU, in quanto permette di soddisfare l’obiettivo di certezza e stabilità del diritto. Questa Corte ha già precisato, e qui ribadisce, che il giudice comune è tenuto ad uniformarsi alla «giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente» (sentenze n. 236 del 2011 e n. 311 del 2009), «in modo da rispettare la sostanza di quella giurisprudenza» (sentenza n. 311 del 2009; nello stesso senso, sentenza n. 303 del 2011), fermo il margine di apprezzamento che compete allo Stato membro (sentenze n. 15 del 2012 e n. 317 del 2009). È, pertanto, solo un ‘diritto consolidato’, generato dalla giurisprudenza europea, che il giudice interno è tenuto a porre a fondamento del proprio processo interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo ‘.
È dunque alla luce dell’orientamento consolidato del giudice sovranazionale che deve essere tratta la nozione di irrilevanza della pretesa o del valore della causa di cui all’art. 2, comma 2 sexies , lettera g) , della legge n. 89 del 2001. In proposito, la Corte europea dei diritto dell’uomo ha adottato il criterio del ‘danno significativo’ ai sensi dell’art. 35, paragrafo 3, della Convenzione, sul presupposto che la violazione di un diritto deve raggiungere una soglia minima di gravità per giustificare l’intervento di un tribunale internazionale: in particolare, per quanto riguarda l’impatto
finanziario della violazione di un diritto, il giudice convenzionale ha finora riscontrato l’assenza di uno ‘svantaggio significativo’ in casi nei quali la lite aveva un valore sostanzialmente bagatellare, di importo in genere pari o inferiore ai 500,00 euro (si vedano, ex plurimis , COGNOME c. Romania , dec. n. 36659/04 del 01/06/2010 causa relativa ad importo di 90,00 euro; Bock c. Germania , dec. n° 22051/07 del 19/01/2010 – causa relativa ad un importo di euro 7,99).
Naturalmente, al fine di valutare l’irrisorietà della pretesa, oltre all’elemento oggettivo, rappresentato appunto dal valore del bene che è oggetto della lite, deve tenersi conto anche di un elemento soggettivo, in relazione alle condizioni della parte che subisce la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3970 del 13/02/2024, Rv. 670308; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 974 del 17/01/2020; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12937 del 24/07/2012). Infatti, anche un danno pecuniario in astratto di modesta entità può assumere dimensioni significative in considerazione delle specifiche condizioni di una persona o della situazione economica del Paese o della regione in cui essa vive.
Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto irrisorie le pretese fatte valere nella causa presupposta alla luce della sola natura soggettiva delle parti istanti, tutte società, senza dare alcun rilievo all’elemento oggettivo, correlato al valore dei crediti insinuati al passivo, di importo obiettivamente non bagatellare (discutendosi di somme pari, rispettivamente, ad euro 6.923,85, ad euro 4.554,02, ad euro 1.225,45 e ad euro 1.922,63).
Va infatti ribadito che, ai fini dell’equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo, per la determinazione del valore della causa ai sensi dell’art. 2-bis, comma 3, della legge n. 89 del 2001, deve farsi ricorso, in via di interpretazione analogica, al criterio fissato dagli artt. 10 e ss. c.p.c. e quindi all’importo richiesto con la domanda proposta nel giudizio presupposto (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 31024/2024 cit.; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24362 del 04/10/2018; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 16920 del 27/06/2018; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19488 del 28/03/2013). In particolare, è irrilevante che le odierne ricorrenti siano rimaste insoddisfatte all’esito del riparto finale, poiché ‘ Ai fini dell’equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo fallimentare, il valore della causa ex art. 2-bis, comma 3, l. n. 89 del 2001, deve essere riferito al valore del credito ammesso al passivo fallimentare e non alla somma di cui al piano di riparto divenuto esecutivo, atteso che quest’ultimo importo dipende da molteplici variabili, indipendenti sia dalla natura e dall’entità del credito azionato, sia dalla situazione soggettiva del creditore ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5757 del 24/02/2023, Rv. 667154; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1103 del 16/01/2025, Rv. 673483).
D’altra parte, a fronte degli importi insinuati al passivo dalle odierne ricorrenti, di gran lunga superiori -sul piano oggettivo -alla soglia di significatività della posta in gioco desumibile dalla giurisprudenza sovranazionale, la Corte distrettuale si è limitata ad affermare la irrisorietà delle pretese fatte valere nel giudizio presupposto, senza tuttavia dare conto delle valutazioni in base alle quali è pervenuta a tale convincimento. Appare dunque integrato il vizio, denunciato con il secondo motivo di ricorso, di mera
apparenza della motivazione, giacché quest’ultima risulta, nella fattispecie, del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (cfr., ex plurimis , Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828).
Del resto, ove, come nella specie, non sia fatta valere una pretesa evidentemente bagatellare, l’entità della posta in gioco può incidere non sulla sussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, quanto piuttosto sulla determinazione in concreto del quantum dell’indennizzo (cfr., ex plurimis , Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 19124 del 06/07/2021, non massimata), anche tenuto conto della previsione dell’art. 2-bis, comma 3, della legge n. 89 del 2001, secondo cui la misura dell’indennizzo, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice (cfr. ex plurimis Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 4290 del 10.02.2022, non massimata).
Inoltre, nella parte in cui il giudice di merito ha respinto la domanda indennitaria rilevando che le parti non avevano ‘ reso edotto … il primo giudice ‘ sulle proprie condizioni (cfr. pag. 4 del provvedimento), la statuizione impugnata non si è attenuta all’insegnamento di questa Corte, secondo cui il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, in quanto, salvo le ipotesi tassative di esclusione del danno (come per lite temeraria), sussiste un pregiudizio per la lunga attesa della definizione della lite, ragione per la quale nessun onere di allegazione può essere addossato al ricorrente, essendo semmai l’Amministrazione resistente a dovere fornire elementi idonei a farne escludere la sussistenza in concreto (cfr. Cass. Sez.
2, Ordinanza n. 20373 del 26/07/2019, non massimata; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11667 del 14/05/2018, Rv. 648324; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10858 del 07/05/2018, Rv. 648170; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 11936 del 09/06/2015, Rv. 635510; Cass. Sez 6-2, Ordinanza n. 7325 del 10/04/2015, Rv. 634998).
Né rileva, al fine di escludere la tutela indennitaria, la natura societaria delle odierne ricorrenti, dovendosi ribadire che ‘ In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 2 della l. n. 89 del 2001, anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri; ne consegue che una volta accertata e determinata l’entità della stessa, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che non risulti la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente ‘. (cfr. Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 7034 del 12/03/2020, Rv. 657281; conf. Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 13986 del 04/06/2013, Rv. 626775).
Il giudice di merito non si è attenuto a tali principi diritto, onde le censure in esame devono essere accolte.
Il terzo motivo è così rubricato: ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, L. 89/2001, in relazione all’art. 6, paragrafo
1 della CEDU, all’art. 1 del primo protocollo addizionale ed agli artt. 111 e 117 della Costituzione -Art. 360, n. 3 ‘. Le ricorrenti censurano la statuizione impugnata nella parte in cui la Corte distrettuale ha escluso il diritto all’equa riparazione anche in ragione della consapevolezza delle istanti di non avere ragionevoli opportunità di vedere soddisfatti i rispettivi crediti chirografari all’esito della procedura fallimentare, al cui passivo erano stati ammessi crediti privilegiati di importo complessivo prossimo ai 6.000.000,00 di euro. Deducono, in particolare, che tale consapevolezza non avrebbe escluso il pregiudizio patito, tenuto conto che, nel caso di specie, le pretese delle società avevano trovato integrale accoglimento con l’ammissione al pa ssivo, a nulla rilevando l’esito per loro sfavorevole della procedura concorsuale.
5. La censura è fondata.
Sul punto, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui ‘ In tema di equa riparazione, l’ammissione del creditore al passivo fallimentare consente al giudice, una volta accertata l’irragionevole durata del processo e la sua entità secondo le norme della l. n. 89 del 2001, di ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che esso sia stato subito dal ricorrente, stante la valutazione positiva della fondatezza delle ragioni di credito insita nel provvedimento emesso dagli organi della procedura fallimentare, senza che rilevi, in senso contrario, l’art. 2, comma 2-quinquies, lett. a), della l. n. 89 del 2001, introdotto dalla l. n. 208 del 2015, secondo cui non è riconosciuto alcun indennizzo alla parte consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta
delle proprie domande o difese, atteso che la posizione del creditore, insinuato al passivo e rimasto insoddisfatto per l’incapienza dell’attivo, non è assimilabile a quella della parte avente pretese, “ab origine” o per fatti sopravvenuti, infondate ‘ (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 19555 del 08/07/2021, Rv. 661731; conf. Cass, Sez. 2, Ordinanza n. 10849 del 24/04/2023; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 31024 del 04/12/2024, non massimate).
In conclusione, il ricorso è fondato e merita accoglimento.
All’accoglimento del ricorso, consegue la cassazione del decreto impugnato con rinvio della causa per un nuovo esame del merito, oltre che per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto sopra menzionati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa per un nuovo esame del merito, oltre che per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione