Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20976 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20976 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18381/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME rappresenti e difesi da ll’avvocato COGNOME unitamente all’avvocato COGNOME;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI n. 178/2022 depositata il 08/02/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso innanzi alla Corte d’Appello di Cagliari, gli odierni ricorrenti hanno chiesto la condanna del Ministero della Giustizia un’ equa riparazione per l’eccessiva durata della procedura fallimentare apertasi con sentenza n. 78/2007, con la quale il Tribunale di Cagliari aveva dichiarato il fallimento della RAGIONE_SOCIALE; procedura ancora pendente alla data del deposito del ricorso.
Con decreto n. 52/2022 il Consigliere delegato accoglieva il ricorso. Accertato che la procedura fallimentare presupposta aveva ecceduto di otto anni il termine di ragionevole durata, ai fini della determinazione del quantum dell’indennizzo e ai sensi dell’art. 2 -bis , comma 3, della L. 89/2001, osservava il giudice monocratico che il valore della causa doveva essere determinato previa decurtazione degli importi corrisposti ai ricorrenti, nella specie entro il termine di ragionevole durata della procedura, dal Fondo di G aranzia dell’INPS, nonché delle somme da costoro ricevute in sede di riparto parziale; pertanto, per ciascuno dei ricorrenti l’indennizzo non poteva in ogni caso eccedere l’importo residuo del rispettivo credito ammesso al passivo.
Di conseguenza, in applicazione dei predetti conteggi, il Consigliere Delegato ha liquidato, a titolo di equo indennizzo, i seguenti importi:
in favore di NOME NOME la somma di € 1.223,59;
in favore di NOME NOME la somma di € 1.718,03;
in favore di NOME NOME la somma di € 3.915,58;
in favore di NOME la somma di € 3.424,46;
in favore di COGNOME NOME la somma di € 3.476,61;
in favore di NOME COGNOME la somma di € 1.851,91;
in favore di COGNOME NOME la somma di € 3.912,94;
in favore di COGNOME NOME la somma di € 2.602,84.
La pronuncia veniva opposta ex art. 5ter legge n. 89 del 2001 dai soggetti indicati in epigrafe innanzi alla Corte d’Appello di Cagliari, che rigettava l’istanza e confermava il decreto impugnato, se pure con diversa motivazione.
Osservava il secondo giudice che contrariamente a quanto ritenuto con il decreto opposto, ai fini della determinazione del valore della causa presupposta, e quindi dei limiti dell’indennizzo per equa riparazione, non si deve operare, sic et simpliciter , una decurtazione dal credito ammesso al passivo delle somme ricevute dal creditore da parte del Fondo di Garanzia INPS, né di quelle ottenute per effetto del riparto provvisorio; in applicazione dei principi espressi dalla Corte di legittimità , l’intervento del Fondo di Garanzia INPS incide solo sulla determinazione del moltiplicatore annuo, in considerazione dell’attenuarsi del pregiudizio in pendenza del fallimento.
Pertanto, muovendo dai criteri generali indicati nei commi 1 e 2 dell’art. 2bis della legge 89/2001, come modificato dall’art. 1, comma 777, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, l’avvenuto soddisfacimento, nella misura di oltre due terzi, del credito ammesso ad opera del Fondo di Garanzia INPS, nonché il fatto che tale soddisfacimento è intervenuto in breve lasso temporale rispetto alla data di insinuazione al passivo dei crediti dei ricorrenti, abbondantemente entro il termine di sei anni, con oggettiva esiguità dell’importo rimasto insoddisfatto, sul quale soltanto il ritardo irragionevole del processo presupposto ha potuto esplicare effettiva incidenza, in termini di attenuazione della sofferenza o del patema morale sofferto dai ricorrenti per il ritardo nella definizione delle procedura, il giudice collegiale ha ritenuto di dover operare una riduzione del 70% dell’importo base annuale di €. 500,00, così determinato dal Consigliere Delegato nella forbice di valore prevista ex
lege , per un importo complessivo di €. 1.200,00 (€. 500,00:100×70=150 x 8 anni di ritardo). Considerato che tutti gli importi liquidati dal Consigliere Delegato, a titolo di equo indennizzo, sono maggiori della somma di €. 1.200,00, ne consegue la congruità degli stessi, ancorché determinati con diverso percorso motivazionale.
Per la cassazione del suddetto decreto propongono ricorso COGNOME ClaudioCOGNOME Federico, COGNOME Giuseppe, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME FabioCOGNOME affidandosi ad un unico motivo illustrato da memoria.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2bis , comma 1, legge n. 89/2001, in relazione all’art. 6, par . 1 della CEDU, all’art. 1 del primo protocollo addizionale ed agli artt.111 e 117 della Costituzione – Art.360, n. 3, cod. proc. civ. I ricorrenti censurano il decreto impugnato nella parte in cui ha accordato ai ricorrenti l’equa riparazione nella misura di €. 150,00 per ciascuno degli anni di eccessiva durata del fallimento presupposto, operando una riduzione del 70% sulla misura dell’indennizzo ritenuta congrua (€. 500 ,00 annui) per i ricorrenti – lavoratori dipendenti ammessi al passivo di un fallimento, a seguito della percezione di somme da parte del Fondo di Garanzia dell’INPS. Tale soluzione , a dire dei ricorrenti, viola la legge, nella specie l’art. 2 -bis della Legge n.89/2001, nella parte in cui il secondo giudice ha ritenuto non cogente quanto disposto dal legislatore nella delimitazione del compasso edittale dell’equa riparazione, applicando all’importo risarcitorio annuo ritenuto congruo (€. 500 ,00) una decurtazione percentuale ben rilevante, non prevista e consentita da alcuna norma. Ciò anche in contrasto con l’orientamento espresso dalla Corte di legittimità, che
attribuisce al giudice del merito il potere/dovere di muoversi all’interno dei parametri risarcitori previsti dalla legge; fermo restando che il «valore della causa» nel procedimento fallimentare, ai fini dell’equa riparazione, è rappresentato dall’importo ammesso al passivo (non decurtato da quanto eventualmente conseguito pendente il fallimento).
Il ricorso è fondato.
Come già rilevato da questa Corte (cfr. Sez. 2, Ordinanza n. 10531 del 2022; Sez. 2, Ordinanza n. 22347 del 2023) l’art. 2-bis, legge n. 89/2001, nello stabilire la misura ed i criteri di determinazione dell’indennizzo a titolo di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, rimette, quindi, al prudente apprezzamento del giudice di merito la scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ivi indicati, da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto, orientando il “quantum” della liquidazione equitativa sulla base dei parametri di valutazione, tra quelli elencati nel comma 2 della stessa disposizione, che appaiano maggiormente significativi nel caso specifico (Cass. Sez. 6 – 2, 16/07/2015, n. 14974; Cass. Sez. 6 – 2, 01/02/2019, n. 3157; Cass. Sez. 2, 28/05/2019, n. 14521). Occorre ribadire come, ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte europea e cristallizzati in misure minime e massime, ora indicate anche dall’art.
2bis, legge n. 89/2001, da seguire ‘di regola’, conservando sempre il giudice del merito un margine di valutazione che gli consente di discostarsi da esse, purché in misura ragionevole, in relazione alla particolarità delle fattispecie. Il calcolo suppost o dall’art. 2 -bis, legge n. 89/2001 non tocca, così, la complessiva attitudine della citata legge n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima ed all’art. 111, secondo comma, Cost.
E ancora, in materia di risarcimento del danno per la irragionevole durata del processo, il giudice, nel determinare la quantificazione del danno non patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto del livello di “soglia minima” là dove, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio sofferto (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 974 del 17/01/2020)..
Il giudice dell’opposizione poteva certamente fare riferimento, nella determinazione dell’equo indennizzo derivante dall’irragionevole durata del giudizio presupposto, ai parametri elencati al comma 2 del medesimo art. 2bis (nel testo novellato dalla legge n. 208 del 2015, applicabile ratione temporis ai ricorsi depositati a decorrere dal 01.01.2016) – tra i quali rientra anche l’apprezzamento del parziale soddisfacimento del credito ammesso al passivo, in quanto affievolisce
il patema indotto dalla pendenza giudiziaria. Ma la riduzione del 70% appare eccessiva perché nel caso in esame non risulta un carattere bagattellare o irrisorio della pretesa.
Si rende necessario un nuovo esame sulla scorta dei principi esposti. Il decreto impugnato merita, pertanto, di essere cassato, e il giudizio rinviato alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio. Spetta al giudice del rinvio verificare (eventualmente rideterminandoli) la congruità degli indennizzi (come sopra riportati) alla luce dei principi di diritto e dei parametri di legge come sopra richiamati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2025.