Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14828 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14828 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29415/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
COGNOME
-intimato – avverso la sentenza n. 1302/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 31/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
NOME COGNOME convenne davanti al Tribunale di Savona NOME e NOME COGNOME chiedendo la risoluzione, per inadempimento dei convenuti, del contratto avente ad oggetto la realizzazione e messa in opera di serramenti in un immobile sito in Bergeggi di proprietà di quest’ultimi, o, in subordine, l’accertamento di legittimo recesso oltre, alla condanna al risarcimento del danno, quantificato in € 190.064,00.
Secondo l’assunto i committenti avevano scelto, come da preventivo del 10/9/2008, una tipologia di vetri e serramenti più costosi rispetto a quelli individuati all’inizio. Inoltre era stata richiesto il collocamento di una struttura in acciaio alla porta d’ingresso al garage.
Realizzati i serramenti e cominciato a metterli in opera, non avendo i committenti inteso provvedere ai pagamenti ulteriori, avendo corrisposto un acconto di sole € 40.000,00, nel settembre del 2007 l’attore sospese i lavori; in risposta, i convenuti gli intimarono di dare esecuzione al primo preventivo del 5/10/2006.
A seguito di accertamento tecnico preventivo, richiesto dal COGNOME, il corrispettivo per la realizzazione dell’opera era stato quantificato in € 190.064,00.
1.1. I convenuti si costituirono in giudizio negando di avere mai autorizzato il secondo preventivo, sulla base del quale era stato richiesto il pagamento e proposero, a loro volta, domanda riconvenzionale, con la quale chiesero la restituzione di quanto pagato all’appaltatore, nonché il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento di costui.
1.2. Il Tribunale di Savona accolse la domanda attorea.
La Corte di appello di Genova, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta dai COGNOME, rideterminò la somma
dovuta dai committenti a titolo di risarcimento dei danni in € 65.816,31.
2.1. Questi, in sintesi, gli argomenti salienti della sentenza, per quel che qui possa rilevare:
-il Tribunale di Savona, sulla scorta delle emergenze istruttorie, aveva correttamente valutato come provate le rilevanti modifiche apportate al primo ordine di € 90.000,00, del 5 ottobre 2006; modifiche non imputabili ad un’autonoma iniziativa dell’appaltatore e tali da far ritenere che tra le parti fosse effettivamente intercorso un secondo accordo, non formalizzato, con il quale la parte committente aveva scelto serramenti di miglior qualità e, quindi, più costosi;
la fattura n. 9/2007, nella quale veniva <> richiamata la nuova fornitura, doveva considerarsi documento rilevante ai fini probatori del nuovo accordo <> ;
la predetta fattura, pertanto, costituiva elemento probante dell’esistenza del sopravvenuto accordo <>;
-non era stata fornita alcuna prova in giudizio del comportamento contrario a buona fede dell’appaltatore.
NOME e NOME COGNOME ricorrono sulla scorta di cinque motivi. La controparte è rimasta intimata.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., nonché degli artt.
1199, 2735 e 2733, co. 1, cod. civ. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ.
Viene dedotto che la Corte d’appello aveva valutato come prova liberamente apprezzabile la quietanza datata 10.08.2007, <> , così violando l’efficacia probatoria della stessa <>.
Con la quietanza in parola, infatti, il COGNOME aveva dichiarato di avere ricevuto il pagamento, a mezzo assegno di conto corrente bancario, del saldo di € 22.000,00 dell’anzidetta fattura n. 9 del 27/4/2007 ‘ relativa al contratto di fornitura del 5.10.2006 per l’abitazione in Bergeggi ‘. Il documento di cui si discute avrebbe dovuto considerarsi dichiarazione di scienza della parte creditrice avente <>.
4.1. Il motivo è infondato.
La tesi perorata con l’esposta doglianza non può essere condivisa.
Con la quietanza il creditore attesta e rende confessione extragiudiziale di avere ricevuto il pagamento (Cass. nn. 32458/2018, 4196/2014, 20993/2014, 19888/2014 -SU-più di recente n. 5945/2023).
Questa Corte ha già avuto modo di condivisamente chiarire che la quietanza è atto unilaterale avente natura di confessione stragiudiziale, secondo la previsione dell’art. 2735 cod. civ., di un fatto estintivo dell’obbligazione. L’efficacia di prova legale ad essa attribuita dagli artt. 2733 e 2735 cod. civ. va tenuta distinta dall’accertamento dell’obbligazione, l’estinzione della quale è attestata dalla stessa quietanza.
L’efficacia probatoria attribuita dalla legge alla quietanza è piena e completa se essa indichi tanto l’obbligazione quanto il relativo fatto estintivo, mentre se l’obbligazione non è in essa precisata il relativo accertamento è rimesso al giudice del merito (Sez. 3, n. 2813, 0/03/2000, Rv. 534762 -01; nello stesso senso, ex multis, già Sez. 2, n. 1103/1977, 1328/1973)
Pretendere di estendere l’efficacia di prova legale della quietanza a riguardo dell’accertamento del titolo nella sua dimensione fattuale o giuridica implicherebbe la surrettizia introduzione nell’ordinamento di una prova con efficacia vincolante, equivalente alla confessione, al di fuori delle previsioni di legge e in contrasto con il principio generale che lo permea, che rifugge dagli strumenti di prova vincolati o tariffari, dei quali erano costellati i sistemi giuridici pre-moderni.
Né, è legittimo trarre indicazioni di segno contrario dal contenuto dell’art. 1199 cod. civ., univocamente indirizzato ad assegnare al debitore il diritto a uno strumento forte di prova dell’avvenuto pagamento.
L’accertamento dei contenuti fattuali, della sua qualificazione e validità del titolo, seppure possa trovare principio di prova nell’analisi del testo della quietanza, dipende dalla complessiva e libera valutazioni di tutte le emergenze probatorie operata dal giudice e in questa sede non sindacabile.
Nel caso in esame la Corte di Genova spiega quanto appresso: <>.
Come si vede, un compiuto ragionamento sulle emergenze probatorie di causa che non può trovare smentita nel rilascio della quietanza e che il Giudice della legittimità non è chiamato a sindacare.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 cod. civ., riferiti all’art. 1199 cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.
Viene dedotto che la Corte d’appello aveva violato i criteri ermeneutici previsti dalle norme in rubrica evocate laddove, nel valutare la quietanza del 10.08.2007, aveva <> soppresso l’aggettivo ‘relativa’ che legava <> la fattura n. 9/2007 al primo contratto tra le parti del 5.10.2006.
5.1. Il motivo è infondato.
In primo luogo vale osservare che le norme sull’ermeneutica di cui all’art. 1362 e segg. cod. civ. trovano applicazione solo laddove debbano apprezzarsi gli effetti voluti dalle parti o anche dalla singola parte mediante atto avente effetti negoziali
determinati dall’autore dell’atto. Il negozio giuridico (non importa se unilaterale) trova, appunto, fonte nella volontà meritevole di tutela, di cui è estrinsecazione tangibile lo strumento che si tratti d’interpretare.
Gli effetti della quietanza, atto giuridico unilaterale recettizio (Cass. nn. 13189/2013, 15245/2015), invece, sono determinati dalla legge e non dalla volontà del creditore, il quale, ove richiesto, è tenuto a dare quietanza, ma non può determinare o modificare gli effetti di essa (fra le tante, escludono che le norme sull’ermeneutica possano trovare applicazione al di fuori del negozio giuridico, Cass. nn. 19626/2023, 24480/2023).
In disparte deve rilevarsi, più in generale, in punto di violazione o falsa applicazione delle norme sull’ermeneutica negoziale la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, <<L'opera dell'interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d'ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell'applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili , il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme
asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti; di conseguenza, ai fini dell'ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d'una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d'argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex pluribus, Cass. nn. 15381/2004, 13839/2004, 13579/2004, 5359/2004, 753/2004, 18587/2012; si veda inoltre, per la ricchezza di richiami, Cass. n. 2988/2013; da ultimo, Cass. n. 2050/2024).
Nonostante gli sforzi profusi dai ricorrenti, il richiamo alle norme regolanti l'interpretazione del negozio risulta privo di specifica critica della decisione nel senso sopra enunciato. Manca, in definitiva, un'apprezzabile, in quanto puntuale e specificamente connessa alla norma asseritamente disattesa, decisiva critica del ragionamento della Corte locale. In particolare, l'inscindibile collegamento procurato dall'uso dell'aggettivo 'relativa' al primo preventivo, alla luce delle plurime inferenze evidenziate dalla sentenza impugnata, ad altro non riporta che a un alternativo diverso apprezzamento di merito.
Con il terzo motivo i COGNOME denunciano la violazione degli artt. 115 e 132 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ., avendo la Corte d'appello attribuito valore
probatorio decisivo alla locuzione 'Acciaio Inox', così da ascrivere i serramenti di cui alla fattura 9/2007 alla nuova fornitura e non al contratto del 5.10.2006. Di contro era emerso dalla relazione del c.t.u. in sede di accertamento tecnico preventivo, acquisita in atti, che il materiale di entrambe le tipologie di serramenti, sia del modello 'RAGIONE_SOCIALE' di cui al primo contratto che del secondo preventivo, fosse di acciaio Inox.
6.1. Il motivo non supera lo scrutinio d'ammissibilità, mirando a un improprio riesame di merito, peraltro sulla base di una prospettazione largamente aspecifica per difetto di autosufficienza.
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c. (Rv. n. 659037 -01).
Di poi, come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di
integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1326 cod. civ., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.
Questa la sintesi delle critiche mosse con il complesso censorio:
-la Corte d'appello aveva disatteso il principio secondo cui la nuova proposta dell'appaltatore doveva possedere il requisito della completezza, dovendo contenere gli elementi essenziali del nuovo accordo;
la modifica di un contratto precedentemente concluso tra le parti, avrebbe dovuto intendersi perfezionato solamente quando la nuova proposta e accettazione fossero risultate perfettamente coincidenti nel contenuto;
a fronte della contestazione del nuovo accordo, la fattura non poteva assurgere a valido elemento di prova dello stesso, trattandosi di mero documento fiscale proveniente dall'appaltatore.
7.1. Il motivo non supera lo scrutinio d'ammissibilità: richiamato quanto esposto a riguardo del terzo motivo, anche in questo caso i ricorrenti sotto l'usbergo della dedotta violazione di legge, instano per un'alternativa ricostruzione di merito preclusa in questa sede.
La denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l'accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all'evidenza, occorrente che l'accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la
sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
Con il quinto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 132 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ., avendo la Corte d'appello giustificato la sussistenza del secondo accordo sulla <>,per cui <> .
8.1. Anche l’ultimo motivo è inammissibile per le ragioni espresse in relazione ai due motivi che precedono. Peraltro l’annotazione valorizzata dai ricorrenti assume carattere niente affatto rilevante nel contesto della complessiva motivazione.
Al rigetto del ricorso nel suo complesso non consegue condanna alle spese poiché la controparte è rimasta intimata.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione
temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico dei ricorrenti, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a carico dei ricorrenti pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 5 marzo