Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19900 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19900 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27998/2020 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME difese dall’avvocato NOME
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrenti- nonché
RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME -intimate- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 68/2020 depositata il 21/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia trae origine dalla vendita di un compendio ereditario, composto da terreni agricoli e un’azienda agrituristica, da parte degli eredi del defunto NOME COGNOME, e cioè la moglie NOME COGNOME e le tre figlie NOME, NOME e NOME COGNOME. La gestione della vendita dei terreni era stata affidata a NOME COGNOME in veste procuratore speciale delle prime tre. L’acquirente dei beni era la società RAGIONE_SOCIALE. La vicenda giudiziaria nasce dalla contestazione delle venditrici dei terreni (NOME COGNOME e le due figlie NOME e NOME), le quali sostengono di non aver mai ricevuto il corrispettivo pattuito, ad eccezione di una somma di € 15.000 percepita da NOME
Il processo di primo grado si svolgeva dinanzi al Tribunale di Catanzaro, era promosso dalle tre venditrici dei terreni, che domandavano l’annullamento o la declaratoria di nullità del contratto di compravendita del 25 agosto 2005 per vizio del consenso e illiceità della causa, stante il mancato pagamento del prezzo, nonché la restituzione dei beni. Domandavano altresì la condanna del procuratore NOME COGNOME al risarcimento dei danni per violazione degli obblighi di cui agli artt. 1710 e 1713 c.c. Infine, domandavano la declaratoria di nullità o l’annullamento del contratto del 13 ottobre 2005, con cui l’altra sorella, NOME COGNOME, aveva ceduto l’azienda agrituristica sempre alla RAGIONE_SOCIALE. Sostenevano che NOME non ne avesse la titolarità esclusiva, in quanto il bene apparteneva al compendio ereditario. Si costituivano in giudizio NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE, contestando le domande, mentre NOME COGNOME rimaneva contumace.
Il Tribunale, con la sentenza n. 142/2016, rigettava integralmente le domande attoree. Il giudice di primo grado riteneva provato il pagamento del prezzo dei terreni sulla base di due scritture private, prodotte dal convenuto COGNOME, con cui le venditrici davano quietanza delle somme ricevute, osservando che tali documenti non erano stati disconosciuti tempestivamente e ritualmente. Quanto alla
cessione dell’azienda agrituristica, il Tribunale riteneva che le attrici non avessero fornito la prova dell ‘ appartenenza comune del bene.
Avverso tale decisione hanno proposto appello le attrici. Con il gravame, le appellanti hanno anzitutto proposto querela di falso avverso le quietanze di pagamento, sostenendo che si trattasse di fogli firmati in bianco e successivamente riempiti abusivamente. Hanno inoltre lamentato che il primo giudice non avesse tenuto conto della mancata ottemperanza dei convenuti all’ordine di esibizione della documentazione bancaria relativa ai pagamenti, nonché hanno censurato l’omessa pronuncia sulla domanda di responsabilità del procuratore COGNOME Infine, hanno ribadito la comproprietà dell’azienda agrituristica in quanto bene caduto in successione.
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza n. 68/2020 qui impugnata, ha parzialmente riformato la pronuncia di primo grado. In via preliminare, la Corte ha dichiarato inammissibile la querela di falso per inidoneità dei mezzi di prova richiesti. Di conseguenza, ha rigettato l’appello nei confronti di NOME COGNOME confermando la decisione del Tribunale sul punto. La Corte territoriale ha ritenuto che, stante l’inammissibilità della querela e la tardività del disconoscimento in primo grado, le quietanze avessero piena efficacia confessoria, rendendo infondata la deduzione di mancato pagamento e, di riflesso, le censure mosse al procuratore, il cui operato è stato considerato un mero atto dovuto in esecuzione dei preliminari stipulati dalle parti. (In accoglimento dell’appello sul punto, invece, la Corte ha ritenuto che l’azienda agrituristica, originariamente di proprietà del de cuius, fosse entrata a far parte della comunione ereditaria e che, pertanto, NOME COGNOME non potesse disporne autonomamente. Qualificando la vendita come di cosa parzialmente altrui, l’ha dichiarata inefficace nei confronti delle appellanti e ha condannato la società acquirente alla restituzione dell’azienda).
Ricorrono in cassazione le attrici con quattro motivi. Resiste NOME COGNOME con controricorso e memoria. Rimangono intimate la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 1427 c.c. per omesso riconoscimento del dolo contrattuale. Le ricorrenti sostengono di essere state raggirate dal procuratore NOME COGNOME e dalla parte acquirente, che avrebbero rappresentato una situazione debitoria del patrimonio non corrispondente al vero, inducendole a firmare procure e atti di vendita senza consapevolezza delle conseguenze. Lamentano che la Corte di appello non abbia valorizzato le dichiarazioni rese, le circostanze anagrafiche e soggettive delle venditrici, e la mancanza di un reale corrispettivo percepito.
La Corte d’appello (p. 8 ss.) ha osservato che la domanda delle appellanti, pur prospettata (anche) sotto il profilo del vizio del consenso, non è supportata dall’allegazione di fatti specifici da cui l’annullabilità del contratto potrebbe derivare. La sentenza precisa che l’unica circostanza concretamente addotta è la mancata ricezione del prezzo, che la Corte ritiene smentita dalle quietanze aventi efficacia confessoria. Di conseguenza, pur non nominandoli direttamente, la Corte esclude i vizi del volere per una carenza di allegazione fattuale a loro sostegno. Oltre alla coeva sottoscrizione delle quietanze e delle procure speciali da parte delle venditrici, la Corte valorizza la coerenza priva di riserve dei comportamenti da loro tenuti nella fase precedente alla stipula.
Il controricorrente NOME COGNOME rileva che l’atto di vendita è stato regolarmente eseguito con la piena collaborazione delle ricorrenti, che gli hanno conferito procura speciale, e che le quietanze sono espressione dell’avvenuto adempimento. Sottolinea che il denaro è stato versato dalla società acquirente e utilizzato per il pagamento dei debiti del de cuius, secondo le istruzioni ricevute, come documentato da scritture contabili e contratti preliminari.
Il primo motivo è rigettato.
La decisione impugnata, come sintetizzata in precedenza, si armonizza con l’indirizzo espresso da questa Corte, v. tra le altre Cass. SU n. 19888/2014 (resa in fattispecie di quietanza tipica) secondo cui la confessione stragiudiziale può essere revocata solo per errore di fatto o violenza. La Corte territoriale ha correttamente ritenuto che le dichiarazioni rese in sede di quietanza, coeve alle procure e sottoscritte dalle parti, abbiano valore confessorio e quindi idonee a dimostrare l’avvenuto pagamento. La coerenza della condotta negoziale delle ricorrenti, che hanno agito tramite procura senza opporre riserve, depone contro l’ipotesi di un errore determinante o di un dolo rilevante ai sensi dell’art. 1427 c.c. (per tacere che non consta che la violazione di tale norma sia stata censurata specificamente nei gradi di merito).
2. – Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1199 c.c. La critica si concentra sulla decisione della Corte territoriale di attribuire piena efficacia confessoria alle quietanze di pagamento prodotte da COGNOME. Le ricorrenti evidenziano come lo stesso COGNOME abbia, nei suoi scritti difensivi, ammesso di non aver mai trasferito materialmente la somma di € 300.000 sostenendo che il prezzo era stato compensato con l’accollo di debiti da parte della società acquirente. Tale affermazione, a dire delle ricorrenti, costituisce una confessione giudiziale contraria al contenuto della quietanza, che ne avrebbe dovuto annullare l’efficacia probatoria. Il documento sarebbe quindi ideologicamente falso o simulato, e la sua natura fittizia sarebbe desumibile da una serie di presunzioni, come l’assenza di tracciabilità del denaro e le stesse dichiarazioni di COGNOME.
La Corte ha dato atto della inammissibilità della querela di falso ai sensi dell’art. 355 c.p.c. per l’inidoneità dei mezzi di prova addotti. Ha confermato che il disconoscimento della scrittura era tardivo e comunque non specifico. Pertanto, i documenti in questione
«entrano a pieno titolo nel corredo istruttorio, con tutta la portata della loro efficacia confessoria». La sentenza non affronta direttamente la questione della presunta confessione contraria da parte di COGNOME, ma attribuisce un valore decisivo e preponderante alle dichiarazioni scritte, valorizzando anche, a livello indiziario, la loro formazione coeva al rilascio delle procure a vendere.
Il controricorrente osserva che la querela di falso è stata proposta in modo generico e priva di riscontri probatori attendibili. Richiama la coerenza tra le dichiarazioni di quietanza e le risultanze documentali acquisite, ribadendo che il pagamento è stato concordato per estinguere debiti anteriori delle eredi, e che le dichiarazioni contestate risultano sottoscritte volontariamente e consapevolmente dalle parti.
Il secondo motivo è rigettato.
Come affermato da questa Corte, v. tra le altre Cass. 15699/2002, la valutazione sull’ammissibilità della querela di falso richiede che i mezzi di prova siano astrattamente idonei a privare il documento della sua efficacia probatoria, ma il giudice può rig ettarla se l’infondatezza dell’allegazione è manifesta. L’inammissibilità della querela di falso è stata appunto motivata dai giudici di merito con il difetto di specificità e di idoneità dei mezzi di prova dedotti. In difetto di querela ammissibile, le scritture private recanti le quietanze, non contestate nei modi di legge, conservano piena efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2702 c.c. e art. 355 c.p.c.
3. – Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1710 e ss. c.c., per responsabilità del mandatario. Si contesta l’errata valutazione della Corte in ordine alla correttezza dell’operato di NOME COGNOME. Si contesta in particolare la valutazione della Corte di appello, secondo cui il ruolo di COGNOME sarebbe stato quello di mero esecutore di accordi già presi dalle parti. Si sostiene, al contrario, che COGNOME abbia svolto un ruolo centrale e attivo in tutta la vicenda, gestendo le trattative e ricevendo un mandato specifico per
estinguere i debiti ereditari. La sua responsabilità per mala gestio deriverebbe dall’aver indotto le mandanti a credere in una mole di debiti (indicati in un preliminare in una cifra superiore a € 98.000,00 per la sola quota di una delle eredi) che poi si sono rivelati di entità notevolmente inferiore (€ 32.194,92) nell’atto definitivo, senza fornire alcun rendiconto su tale enorme differenza.
La Corte (p. 8) ha respinto tale censura ritenendo che COGNOME si fosse limitato a eseguire l’incarico conferitogli con le procure, essendo intervenuto solo nella stipula del rogito e non nella fase di formazione dei preliminari. Ha ritenuto che le dichiarazioni di quietanza fossero prova sufficiente dell’avvenuto pagamento e che l’onere di rendiconto non fosse sorretto da alcun elemento concreto.
Il controricorrente evidenzia che la vendita è stata realizzata per volontà delle ricorrenti, che lo incaricarono espressamente, e che l’incasso del corrispettivo è stato documentato anche mediante pagamento diretto ai creditori. Contesta che il procuratore avesse l’obbligo di contabilità formale e che l’intera somma fosse giunta nelle sue mani.
Il terzo motivo è rigettato.
La caducazione della censura relativa alla responsabilità del mandatario è una conseguenza logica delle censure esaminate e rigettate in precedenza. Una volta che la Corte di merito ha accertato, con una valutazione in fatto non sindacabile in questa sede, l’avvenuto pagamento del prezzo sulla base delle quietanze rilasciate dalle stesse mandanti, viene meno il presupposto fattuale su cui si fonda la pretesa risarcitoria e l’obbligo di rendiconto per le medesime somme. La valutazione della Corte territoriale, secondo cui l’operato del procuratore si è esaurito nella stipula dell’atto pubblico quale adempimento dovuto in esito agli accordi preliminari, costituisce un apprezzamento di merito, congruamente motivato e pertanto incensurabile in sede di legittimità.
4. -Con il quarto motivo si deduce la violazione degli artt. 115 c.p.c., 112 c.p.c., 1421 c.c. e 1418 c.c. Si lamenta che la Corte di merito abbia commesso un errore di percezione, in violazione dell’art. 115 c.p.c., non traendo le dovute conseguenze dalla mancata produzione in giudizio, da parte dei convenuti, della documentazione bancaria e contabile comprovante i pagamenti, nonostante l’ordine di esibizione del giudice. Inoltre, si sostiene che la Corte avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la nullità del contratto, ai sensi degli artt. 1418 e 1421 c.c., poiché la stessa delibera della società acquirente, allegata al rogito, esprimeva la volontà di «corrispondere» una somma di denaro, e non di dare atto di un pagamento già avvenuto, svelando una divergenza insanabile con il contenuto dell’atto pubblico e viziando la formazione del consenso.
La Corte ha ritenuto che l’inosservanza dell’ordine di esibizione da parte dei convenuti potesse sollevare perplessità, ma non inficiava il valore probatorio delle dichiarazioni in atti. Ha valorizzato la loro formazione contestuale alle procure e la separata condotta delle parti nella fase delle trattative, escludendo così l’invalidità del contratto e la sussistenza di oneri ulteriori a carico del mandatario.
Il controricorrente sottolinea che la mancata esibizione della documentazione bancaria non può inficiare la prova del pagamento, già ampiamente fornita dalle quietanze liberatorie. Contesta inoltre il tentativo delle ricorrenti di invertire l’onere della prova, avendo esse instaurato il giudizio senza offrire alcun riscontro probatorio alle loro affermazioni, che sono state invece puntualmente smentite dalla documentazione prodotta dai convenuti.
Il quarto motivo è rigettato.
La censura relativa alla violazione dell’art. 115 c.p.c. è infondata. La Corte di appello non ha omesso di considerare la mancata ottemperanza all’ordine di esibizione documentale, ma l’ha esplicitamente menzionata, ritenendola tuttavia, nell’esercizio del suo potere di
libero apprezzamento delle prove, un elemento non decisivo a fronte della «preponderante efficacia» probatoria delle quietanze.
Quanto alla pretesa nullità rilevabile d’ufficio, essa si basa su una presunta divergenza tra un atto interno della società acquirente e l’atto pubblico di vendita che non integra alcuna delle ipotesi di nullità, avendo la Corte di merito già escluso, con valutazione che si sottrae a censure in questa sede, l’illiceità della causa e altri vizi del contratto.
La Corte rigetta il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 8.000, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge, da corrispondere all’avv. NOME COGNOME che si è dichiarato antistatario. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20/06/2025.