Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19103 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19103 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29365/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio del dott. COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 381/2020, depositata il 12/02/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
Con la sentenza n. 3127/2016, il Tribunale di Catania ha rigettato la domanda ex 2932 c.c. proposta da RAGIONE_SOCIALE, volta al trasferimento in proprio favore del 51% delle quote della società RAGIONE_SOCIALE a cui si era obbligata la società RAGIONE_SOCIALE con contratto preliminare di cessione; ha rigettato le altre domande dell’attrice (di accertamento dell’avvenuto pagamento del prezzo, con condanna della convenuta al rimborso del maggior prezzo, di condanna al pagamento di euro 250.000 euro per mancata consegna di beni strumentali al ramo d’azienda relativo alla balneazione, di cancellazione delle ipoteche sui beni della società ceduta Santa Maria) e la domanda riconvenzionale della convenuta (di condanna dell’attrice al pagamento di euro 232.314,33, quale corrispettivo delle quote cedute mediante accollo di un debito erariale della società Santa Maria). Ad avviso del Tribunale, il preliminare di cessione era stato sostituito dal contratto con cui le parti avevano dettato una nuova regolamentazione dei loro rapporti, effettuando la cessione parziale nella misura del 49% delle quote da parte di Istituto Immobiliare in favore dell’attrice, inserendo la disponibilità di quest’ultima all’acquisto delle restanti quote entro il 31 dicembre 2015, previsione assimilabile al c.d. preliminare di preliminare, insuscettibile di esecuzione in forma specifica ex 2932 c.c.
La sentenza è stata impugnata in via principale da RAGIONE_SOCIALE e in via incidentale da RAGIONE_SOCIALE Con la sentenza n. 381/2020, la Corte d’appello di Catania ha rigettato sia l’appello
principale che quello incidentale, compensando per un terzo le spese, condannando al restante l’appellante principale.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE, che anzitutto eccepisce l’inammissibilità del ricorso perché tardivamente proposto. L’eccezione non può essere accolta. Ad avviso della controricorrente il periodo di sospensione straordinaria previsto dall’art. 83, comma 2, del d.l. 18/2020 e dal d.l. 23/2020 per il periodo 9 marzo 2020 -11 maggio 2020 non sarebbe cumulabile con il periodo di sospensione feriale dei termini processuali. Al riguardo, questa Corte ha precisato che, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione del ricorso, la sospensione prevista per fare fronte all’emergenza epidemiologica da Covid-19 si cumula alla sospensione di cui alla legge 742/1969, perché altrimenti sarebbero frustrate le peculiari esigenze poste a fondamento della sospensione disposta nel 2020, pregiudicando il diritto di difesa delle parti legittimate all’impugnazione (cfr., in tali termini, Cass. n. 7702/2024).
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in cinque motivi.
I primi due motivi sono strettamente connessi:
il primo motivo denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia sul secondo motivo d’appello, strettamente collegato con il primo e avente ad oggetto l’interpretazione dei due contratti, violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra petitum e decisum , error in procedendo ;
il secondo motivo lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, primo e secondo comma, 1366 e 1369 c.c. per violazione delle norme in tema di interpretazione negoziale, in relazione all’efficacia del contratto preliminare di cessione dopo la
stipula dell’atto di cessione parziale delle quote, mancato esame della rilevanza del comportamento delle parti e della natura del contratto, secondo il criterio di buona fede, in quanto in ogni caso la Corte d’appello non ha rispettato il complesso delle regole poste dal legislatore per l’interpretazione dei contratti.
I motivi sono infondati.
Quanto alla censura di omessa pronuncia, è vero che la Corte d’appello parla di ‘primo motivo’, ma in realtà ha congiuntamente esaminato il primo e il secondo motivo d’appello. Con entrambi i motivi di gravame, l’appellante con ‘diffuse argomentazioni’, come dice la Corte d’appello, ha sostenuto che il Tribunale non abbia colto il collegamento negoziale tra il contratto preliminare del 28 febbraio 2013 e il contratto del 16 aprile 2013. Con il primo motivo d’appello (cfr. la trascrizione alle pagg. 20 -27 dell’atto) si contestano al Tribunale errori di impostazione logica del proprio percorso argomentativo sotto il profilo della stipulazione di un preliminare di preliminare sul 51% delle quote, avendo le parti di fatto individuato un nuovo termine per la conclusione di un nuovo contratto preliminare, trattandosi della medesima affermazione con l’unica differenza relativa al termine di pendenza della soggezione delle parti al verificarsi degli eventi dedotti nelle condizioni, avendo il primo giudice altresì radicalmente omesso l’esame delle ulteriori previsioni negoziali che consentono di comprendere che il diverso termine previsto nelle due identiche convenzioni è frutto dell’esercizio della facoltà della ricorrente di prorogare il termine di pendenza della seconda condizione, muovendo l’errore ermeneutico palesemente dall’errore di fondo dell’applicazione del principio di assorbimento del preliminare nel definitivo, dovendo invece muoversi dal contrario presupposto della sopravvivenza del preliminare. Con il secondo motivo di gravame (cfr. la trascrizione alle pagg. 3141 dell’atto), dallo stesso appellante posto in stretta relazione con il primo motivo, si contesta al Tribunale di avere
apoditticamente ritenuto, omettendo di individuare ed esaminare la complessiva operazione economica voluta dalle parti, che la stipula del contratto di cessione parziale del 16 aprile 2013 abbia determinato il venir meno dal mondo giuridico del preliminare e che l’atto pubblico di cessione parziale fosse divenuto l’unica fonte dell’assetto negoziale voluto dalle parti; la mera stipulazione di un contratto di cessione parziale non può essere idonea a porre nel nulla le precedenti convenzioni negoziali dirette all’attuazione di una più ampia vicenda traslativa, dovendosi affermare la presunzione contraria, essendo necessario ricavare dalla interpretazione della volontà delle parti la sussistenza o meno di un comune intento di lasciare cadere le autonome clausole dell’accordo precedente la cui perdurante vigenza obbligatoria non sia esclusa dal successivo contratto ad effetti reali; il primo giudice aveva omesso l’esame del dato testuale del contratto preliminare del 28 febbraio 2013, nonché il dato testuale del contratto di comodato del 12 aprile 2013, aveva poi omesso l’indagine circa la comune volontà delle parti, anteriore e successiva alla stipulazione del contratto del 16 aprile 2013.
La Corte d’appello ha escluso l’assunto dell’appellante della natura ricognitiva del contratto di cessione parziale del 16 aprile 2013 rispetto al contratto preliminare del 28 febbraio 2013 sulla base dei seguenti argomenti:
-Nelle premesse del preliminare di vendita del 28 febbraio 2013 si dà atto che RAGIONE_SOCIALE si è dichiarata disposta ad obbligarsi ad acquistare entro la data del 31 dicembre 2013 la totalità delle quote della società Santa Maria, detenute dall’RAGIONE_SOCIALE, precisandosi che l’interesse della cessionaria all’acquisto è subordinato all’entrata in possesso del ramo d’azienda costituito dallo stabilimento balneare della società ceduta, nonché alla risoluzione del contratto d’affitto del ramo d’azienda relativo alla ristorazione entro la medesima data del 13 dicembre 2013; date
queste premesse, RAGIONE_SOCIALE ha assunto l’obbligo di trasferire a Solemare, che si è obbligata ad acquistare, la totalità delle quote della società Santa Maria, entro il termine del 31 dicembre 2013, alle condizioni pattuite e in particolare alla condizione secondo cui l’obbligo della promittente era risolutivamente condizionato al verificarsi delle condizioni dell’entrata in possesso dello stabilimento balneare e della risoluzione del contratto di affitto. L’atto pubblico del 16 aprile 2013, dopo aver riportato le stesse premesse, ha previsto che RAGIONE_SOCIALE si era dichiarata disposta ad obbligarsi ad acquistare entro la data del 31 dicembre 2015 la totalità delle quote della società soltanto al momento in cui sarebbe stata nelle condizioni di avere il possesso del ramo di azienda dello stabilimento balneare e si fosse risolto il contratto d’affitto sopra citato; poste queste premesse, RAGIONE_SOCIALE ha venduto a RAGIONE_SOCIALE il 49% delle quote di partecipazioni per il prezzo di euro 735.000, cosicché in conseguenza della suddetta cessione il capitale della società ceduta era suddiviso nel 51% in capo a RAGIONE_SOCIALE e nel 49% in capo a RAGIONE_SOCIALE; nel contratto dell’aprile 2013 le parti prevedevano inoltre il reciproco obbligo di non alienare a terzi le rispettive quote di partecipazione sino al 31 dicembre 2015 e comunque il diritto reciproco di prelazione all’acquisto.
-Ad avviso della Corte d’appello il primo dato rilevante è che l’atto di cessione di aprile 2013 reitera le stesse premesse in fatto senza menzionare il preliminare di vendita del febbraio 2013, circostanza significativa della comune intenzione delle parti di dare, con il contratto di aprile 2013, un nuovo e diverso assetto alla regolamentazione dell’affare che intendevano realizzare, ponendo nel nulla il precedente preliminare e attribuendo esclusivo effetto vincolante alle nuove pattuizioni. La Corte ha poi sottolineato che la stessa sovrapposizione delle premesse di fatto e l’omissione di ogni riferimento al precedente preliminare depongono a favore
dell’innovatività del nuovo accordo rispetto al precedente e che, d’altra parte, il preliminare del febbraio 2013 non fa cenno all’eventualità di una cessione parziale delle quote sociali, poi attuata con l’atto di cessione parziale; è inoltre significativo il fatto che, mentre nel preliminare di cessione del febbraio 2013 le parti hanno convenuto espressamente l’obbligo di acquisto della totalità delle quote, ciò non è avvenuto nell’atto dell’aprile 2013, nel quale manca riferimento alcuno ad obbligazioni concretamente assunte da COGNOME in ordine agli elementi necessari ai fini della cessione delle quote restanti, quali il prezzo e le modalità di pagamento; manca, inoltre, nella parte relativa alle condizioni contrattuali, la condizione risolutiva esplicitamente prevista nel preliminare del 28 febbraio 2013. A riprova della innovatività delle pattuizioni previste dall’atto di cessione di aprile milita anche ha ancora evidenziato la Corte – la previsione del patto di prelazione reciproca in caso di alienazione delle quote, previsione che appare incoerente rispetto a un permanente obbligo di cessione delle quote e dimostra invece la chiara volontà delle parti di innovare il precedente obbligo di cessione con il nuovo diritto di prelazione delle quote in caso di cessione.
La Corte d’appello si è pertanto pronunciata in relazione a entrambi i primi due motivi di gravame e non sussiste il vizio di omessa pronuncia.
Quanto al secondo motivo di ricorso, la Corte d’appello ha interpretato i due contratti, il contratto preliminare di cessione delle quote e il contratto di cessione parziale delle quote, rispettando i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. La Corte d’appello ha posto in essere un’analisi puntuale del contratto preliminare posto alla base delle pretese fatte valere del ricorrente, ponendolo a confronto con il contratto di cessione parziale delle quote, esaminando il dato testuale del contratto preliminare alla luce del comportamento successivo delle parti, che hanno posto in essere
una nuova e differente regolamentazione dei loro rapporti, senza fare richiamo alcuno al contratto preliminare che, nella prospettiva della ricorrente, tali rapporti continuerebbe invece a regolare. La Corte d’appello ha pertanto rispettato sia il canone dell’interpretazione letterale che quello della comune intenzione delle parti di cui all’art. 1362 c.c. e non ha d’altro canto violato i canoni ex artt. 1366 e 1369 c.c., diretti alla ‘ricerca della reale volontà delle parti’ (al riguardo, da ultimo, si veda Cass. n. 31811/2024), avendo considerato gli interessi che le parti intendevano tutelare mediante la stipulazione negoziale.
2. Il terzo motivo contesta ‘ error in procedendo , violazione dell’art. 115 c.p.c. per mancata contestazione della efficacia del contratto preliminare di cessione di quote, seppure modificato, dopo la stipulazione del contratto parziale di cessione parziale di quote’: in subordine, va considerato che la sussistenza dell’obbligo a contrarre in base al contratto preliminare del 28 febbraio 2013 non è stata contestata dalla convenuta.
Il motivo è infondato. La ricorrente lamenta come, nell’ambito del primo motivo di gravame, avesse sostenuto che controparte negli scritti difensivi di primo grado non aveva mai specificamente contestato e avesse anzi più volte confessato la sopravvivenza del preliminare del 28 febbraio 2013, così che la Corte d’appello avrebbe, nel rigettare il motivo, violato l’art. 115 c.p.c. Al riguardo va considerato che l’art. 115 c.p.c., rubricato ‘disponibilità delle prove’, nel prescrivere che il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati, fa riferimento ai fatti storici posti alla base delle domande e delle eccezioni delle parti. Nella causa in esame il fatto storico dell’avvenuta conclusione del contratto preliminare del 28 febbraio 2013 non è mai stato controverso: la questione è invece se tale contratto preliminare abbia ancora efficacia alla luce della conclusione del contratto del 16 aprile 2013, efficacia esclusa dai giudici di merito e invece
sostenuta dalla ricorrente, ma si tratta non di quaestio facti , ma di quaestio iuris , rispetto alla quale il principio di cui all’art. 115 c.p.c. non opera.
3. Il quarto motivo denuncia error in procedendo , nullità del capo della sentenza per violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c. in tema di individuazione del soggetto legittimato passivo e sulla mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione alla domanda di risarcimento per mancata consegna di beni strumentali al ramo d’azienda relativo alla balneazione: una volta riconosciuta la vigenza del contratto preliminare anche dopo la conclusione del successivo contratto, in accoglimento di ciascuno dei primi tre motivi di ricorso, viene meno il passaggio della motivazione della sentenza impugnata con il quale si respinge la domanda di risarcimento, ma non viene meno il capo di sentenza che dispone che ‘si tratta di rivendicazioni economiche sorte a seguito del contratto di comodato stipulato dalla società appellante con la società Santa RAGIONE_SOCIALE rispetto alle quali, quindi, la società appellata è carente di legittimazione passiva’; tale capo si impugna perché è manifestamente in contrasto con l’art. 112 c.p.c., non avendo la ricorrente formulato alcuna domanda nei confronti del comodante Santa Maria delle Grazie.
Il motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha infatti confermato il rigetto della domanda di condanna al risarcimento dei danni causati dalla mancata consegna di beni strumentali al ramo d’azienda relativo alla balneazione, in quanto ha ritenuto tale rigetto conseguenza della conferma del rigetto della domanda di esecuzione del contratto preliminare, contratto preliminare posto alla base -come precisa la ricorrente -della conseguente domanda di risarcimento. Il riferimento compiuto dalla Corte d’appello al comodato è una mera osservazione ad abundantiam (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata), che non comporta affatto
che la Corte d’appello si sia pronunciata su una domanda non proposta.
Con il quinto motivo, intitolato ‘spese’, non si censura la ripartizione delle spese operata dalla Corte d’appello, ma si auspica una nuova liquidazione delle medesime a seguito dell’accoglimento dei quattro motivi di ricorso, nuova liquidazione delle spese del giudizio d’appello che non è configurabile, appunto alla luce del rigetto dei quattro motivi.
II. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 12.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione