Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16669 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 16669 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/06/2024
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 18549/21 proposto da:
-) RAGIONE_SOCIALE , in persona dell ‘ accomandatario pro tempore , domiciliato ex lege all ‘ indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
-) RAGIONE_SOCIALE , domiciliato ex lege all ‘ indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché
-) RAGIONE_SOCIALE in liquidazione; COGNOME NOME; COGNOME NOME;
– intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 27 aprile 2021 n. 1264; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per la parte ricorrente, l ‘ AVV_NOTAIO e per la RAGIONE_SOCIALE l ‘ AVV_NOTAIO, delegata dall ‘ AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
–
Oggetto:
confessione
effetti
–
nozione
di
‘fatto
sfavorevole’
– conseguenze
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (il cui credito, in seguito, sarà ceduto alla RAGIONE_SOCIALE, che in seguito muterà ragione sociale in RAGIONE_SOCIALE; d ‘ ora innanzi, in ogni caso e per maggior chiarezza , ‘la RAGIONE_SOCIALE‘) era creditrice della società RAGIONE_SOCIALE.
I debiti della RAGIONE_SOCIALE verso la banca vennero garantiti con fideiussione del 20.9.2009 da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
NOME COGNOME e NOME COGNOME erano altresì soci di una diversa società, la ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ (che in seguito si trasformerà in RAGIONE_SOCIALE; d ‘ ora innanzi, la ‘RAGIONE_SOCIALE‘).
Otto mesi dopo aver prestato fideiussione a favore della banca ed a garanzia dei debiti verso di essa della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME prestarono una seconda garanzia (27.5.2010): questa volta reale (ipoteca), a favore della società di cui erano (stati) soci ed a garanzia del debito che essi dichiararono di avere nei confronti di quest ‘ ultima.
Questo debito, secondo la prospettazione dei garanti, era scaturito da indebiti prelievi effettuati dagli ex soci su fondi della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ . L ‘ ipoteca fu prestata volontariamente per l ‘ importo di euro 500.000.
Nel 2011 la RAGIONE_SOCIALE convenne dinanzi al Tribunale di Verona la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo – in sintesi che l ‘ ipoteca concessa da NOME COGNOME e NOME COGNOME su propri immobili, ed a favore della società RAGIONE_SOCIALE (di cui erano stati soci), costituiva null ‘ altro che un artifizio ordito in frode delle ragioni creditorie della banca.
Chiese, pertanto, che il suddetto atto di concessione di ipoteca fosse dichiarato simulato; oppure nullo perché in frode della banca creditrice; e, comunque, nullo per inesistenza del credito garantito.
Con sentenza 26.7.2016 n. 2061 il Tribunale di Verona accolse la domanda e dichiarò nullo ‘ per mancanza di causa ‘ l ‘ atto di concessione di ipoteca.
Il Tribunale motivò la propria decisione affermando non esservi valida prova dell ‘ esistenza d ‘ un credito della RAGIONE_SOCIALE verso i due ex soci, e dunque mancava l ‘ obbligazione a garanzia della quale fu da questi ultimi concessa l ‘ ipoteca a favore della società RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza fu appellata in via principale dalla RAGIONE_SOCIALE ed in via incidentale (ma adesiva) da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con sentenza 27.4.2021 n. 1264 la Corte d ‘ appello di Venezia rigettò tutti e due gli appelli.
La Corte d ‘ appello ritenne che:
-) le dichiarazioni con cui NOME COGNOME e NOME COGNOME ammisero di essere debitori della RAGIONE_SOCIALE non costituivano, rispetto alla RAGIONE_SOCIALE, una ‘confessione’, in quanto (avendo l ‘ effetto di sottrarre al patrimonio dei fideiussori della banca gli immobili ipotecati) erano sfavorevoli alla RAGIONE_SOCIALE;
-) i documenti depositati in appello dalla RAGIONE_SOCIALE (contumace in primo grado) erano inammissibili ex art. 345 c.p.c.;
-) l ‘ atto di concessione di ipoteca nulla diceva sulla fonte dell ‘ obbligazione di NOME COGNOME e NOME COGNOME verso la RAGIONE_SOCIALE; quell ‘ atto, perciò, costituiva una mera ricognizione di debito ex art. 1988 c.c. dei due datori d ‘ ipoteca verso la RAGIONE_SOCIALE, ma non verso la banca;
-) i prospetti ed il bilancio depositati dalla RAGIONE_SOCIALE erano privi di elementi di riscontro che ne garantissero l ‘ attendibilità;
-) il giuramento decisorio deferito dalla RAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME e NOME COGNOME non era ammissibile, perché inidoneo a produrre effetti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza d ‘ appello è stata impugnata per Cassazione dalla RAGIONE_SOCIALE con ricorso fondato su tre motivi.
La sola RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Ambo le parti hanno depositato memoria.
Il sostituto AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo la sentenza d ‘ appello è censurata nella parte in cui ha escluso che le dichiarazioni con cui NOME COGNOME e NOME COGNOME sia in sede stragiudiziale che giudiziale avevano reiteratamente ammesso di essere debitori della RAGIONE_SOCIALE potessero essere considerate ‘confessioni’ ai sensi dell’ articolo 2730 c.c..
In sostanza i ricorrenti prospettano una tesi giuridica che (secondo l ‘ unica interpretazione che il Collegio ritiene possibile della non del tutto perspicua esposizione di cui alle pp. 19-20 del ricorso) può così compendiarsi: la confessione sia giudiziale che stragiudiziale, fatta da chi si dichiara debitore d ‘ una certa persona, è valida ed efficace non soltanto nei confronti di chi viene indicato come ‘creditore’ dal confitente , ma anche nei confronti dei terzi, estranei al rapporto giuridico tra creditore e confitente.
Da questo presupposto la società ricorrente trae il corollario per cui il creditore (nel nostro caso, la RAGIONE_SOCIALE) resterebbe vincolata dalla dichiarazione con cui il fideiussore (nel nostro caso, i due COGNOME) dichiari di essere debitore anche d ‘ un altro soggetto (nel nostro caso, la ‘RAGIONE_SOCIALE‘), a favore del quale ha ipotecato i suoi beni.
1.2. Prima di esaminare nel merito la doglianza appena riassunta, rileva la Corte che non vi è questione tra le parti sul punto della ritenuta nullità dell ‘ ipoteca per mancanza di causa.
Nel merito, la tesi propugnata dalla società ricorrente è infondata in modo manifesto.
La confessione (art. 2730 c.c.) è la ‘ dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all ‘ altra parte ‘.
La legge, dunque, esige – oltre gli ulteriori requisiti che non vengono in rilievo nel presente giudizio – tre elementi essenziali:
che la confessione abbia ad oggetto un ‘fatto giuridico’;
che il fatto confessato sia sfavorevole al confitente;
che il fatto confessato sia favorevole alla ‘altra parte’.
Il requisito sub (b) sussiste se la verità del fatto contestato nuoce ad un interesse giuridico vantato dal confitente nei confronti della controparte processuale .
Il requisito sub (c) sussiste se la verità del fatto contestato giova non a chicchessia, ma ad un interesse giuridico vantato nei confronti del confitente dalla controparte processuale.
Quando, infatti, la legge parla di fatto favorevole ‘all’ altra parte ‘ fa riferimento al contraddittore, attuale o potenziale, del confitente.
Se dunque il fatto dichiarato non nuocesse al confitente, ovvero al contempo non giovasse alla sua controparte processuale, non ci troveremmo al cospetto d ‘una ‘confessione’.
Molteplici sono gli argomenti che sostengono questa conclusione.
1.3. In primo luogo, la storia (ultramillenaria) dell ‘ istituto della confessione.
Da venti secoli, infatti, si ritiene che una confessione in tanto sia concepibile, in quanto sia idonea a risolvere un conflitto tra il confitente e il suo contraddittore processuale in atto od in potenza, giovando a questi e nuocendo a quello, come se fosse una sentenza.
Questo principio era noto al diritto romano classico, nel quale il confessus era equiparato al iudicatus ( confessus pro iudicato est, qui quodamm ŏ do sua sententia damnatur: così già Paolo, in Dig., XLII, 2, 1); e si mantenne intatto nel diritto medioevale ed intermedio: una confessione – sostenevano i canonisti medioevali – in tanto è tale, in quanto sia contra se : ‘ quel che uno dice in proprio favore non è più confessione’ (così, ex permultis , la glossa ordinaria al Decretum di Graziano, glossa confessum , II, causa 2, quaestio 1, canone 1).
Se dunque il fatto dichiarato non comportasse ex se la soccombenza del confitente nei confronti della sua controparte processuale, non ci troveremmo dinanzi ad una confessione. E nel caso di specie la verità del debito dei due confitenti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE comporterebbe la vittoria, e non la soccombenza, dei confitenti nei confronti della banca.
1.4. In secondo luogo, la lettera della legge.
L ‘ art. 2730 c.c. definisce la confessione come la dichiarazione della verità do un fatto ‘favorevole all’ al tra parte’. E ‘parte’, nel lessico del codice civile, è lemma che indica chi sia legato ad altro soggetto da un rapporto giuridico sostanziale o processuale.
Dunque, il fatto confessato deve riguardare un rapporto giuridico esistente tra il confitente e chi se ne giova, mentre nel caso di specie il fatto confessato (essere i due fideiussori debitori anche della ‘RAGIONE_SOCIALE‘) è estraneo al rapporto giuridico tra la banca ed i due confitenti e non giova all ‘ interesse della banca.
1.5. In terzo luogo, la ratio della legge.
L ‘ ordinamento non tollera che taluno possa incidere negativamente sulla sfera giuridica altrui con una propria dichiarazione unilaterale, salvi i casi di soggezione espressamente previsti dalla legge.
Per questa ragione la dichiarazione contra se produce effetti, ma non la dichiarazione pro sibi . Il fatto confessato, dunque, deve essere tale che la sua verità pregiudichi il dichiarante e giovi alla sua controparte processuale.
Ma nel caso di specie, per quanto già detto, la verità del fatto ‘confessato’ giova al dichiarante, e nuoce alla controparte processuale di questi.
1.6. In terzo luogo, gli effetti della legge.
La confessione è tale se solleva la controparte del dichiarante dall ‘ onere della prova del fatto costitutivo della sua domanda od eccezione.
Nel caso di specie il fatto costitutivo della domanda della banca era l ‘ inesistenza dell ‘ obbligazione a garanzia della quale il fideiussore concesse l ‘ ipoteca. Ma la pretesa confessione dei due fideiussori non dimostra affatto tale inesistenza, e non solleva la banca dall ‘ onere della prova. E se manca tale effetto, è vano discorrere di ‘confessione’.
può dirsi ma
1.6. In conclusione, la dichiarazione di un fatto in tanto ‘confessione’, in quanto nuoccia a chi la compia e giovi a chi la riceva, nell ‘ ambito del rapporto obbligatorio che lega confitente e destinatario. Nel caso di specie invece:
-) le dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME non nuocciono ai confitenti e non giovano alla RAGIONE_SOCIALE; al contrario, giovano ai primi (sotto il profilo di consentire loro un unilaterale riassetto della loro generale responsabilità patrimoniale, mediante l’individuazione discrezionale delle ragioni di credito da preferire) e nuocciono alla seconda;
-) le dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME, di cui la ricorrente invoca il valore confessorio, non hanno ad oggetto il rapporto di fideiussione con la banca, ma un rapporto diverso.
La pretesa della odierna ricorrente ha la medesima insostenibilità di chi pretendesse di considerare confessione -o comunque di trarne giovamento -quella di chi dicesse: ‘ confesso che nulla devo al mio creditore ‘.
2. Il secondo motivo di ricorso.
Col secondo motivo è prospettata la violazione dell ‘ art. 345 c.p.c.. Sostiene la società ricorrente che erroneamente la Corte d ‘ appello ha ritenuto inammissibili i documenti da essa prodotti in appello, dopo essere rimasta contumace in primo grado.
2.1. Il motivo è infondato alla luce dei princìpi stabiliti (in motivazione) da Sez. U – , Sentenza n. 2258 del 26/01/2022.
Ivi si è stabilito che il contumace in primo grado non può compiere in appello attività per le quali sono maturate le preclusioni, a meno che dimostri (non solo la nullità della citazione, ma anche) che quella nullità gli ha impedito di avere conoscenza del processo, ai sensi dell ‘ art. 294 c.p.c..
Se ne ricava a contrario che la contumacia volontaria non è (più) un lasciapassare per compiere in appello attività istruttorie ormai precluse.
Col terzo motivo la società RAGIONE_SOCIALE censura la sentenza d ‘ appello nella parte in cui ha rigettato l ‘ istanza di deferimento del giuramento decisorio, da essa rivolto ad NOME e NOME COGNOME.
Deduce che tale valutazione sarebbe errata perché la RAGIONE_SOCIALE ha un ‘ proprio autonomo diritto a tenere preservato il proprio patrimonio ‘ ; e il giuramento le avrebbe consentito di dimostrare la validità dell ‘ ipoteca.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Lo è per difetto di interesse per quanto attiene al rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE ed i suoi (pretesi) debitori. Questi ultimi, infatti, hanno ammesso di essere debitori della RAGIONE_SOCIALE e questa non ha, dunque, bisogno di ulteriori prove.
Il motivo è del pari inammissibile con riferimento al rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE.
Questa Corte, infatti, da tempo ha affermato il principio per cui col ricorso al giuramento decisorio può essere decisa unicamente la causa tra la parte che abbia deferito il giuramento e la parte alla quale esso sia stato deferito e non anche la causa tra quest ‘ ultima ed un ‘ altra parte, che non abbia deferito giuramento decisorio (così già Sez. 3, Sentenza n. 1877 del 20/07/1967, Rv. 328803 – 01).
Ma l ‘ esistenza d ‘ un credito della RAGIONE_SOCIALE verso i suoi ex soci, infatti, non è un ‘ fatto comune’ alla società RAGIONE_SOCIALE ed alla RAGIONE_SOCIALE, e nessun effetto potrebbe avere il giuramento dei due RAGIONE_SOCIALE nei confronti di quest ‘ ultima. L ‘ irrilevanza del giuramento rende perciò inammissibile il motivo con cui se ne contesta la mancata ammissione, posto che nessun frutto la RAGIONE_SOCIALE potrebbe trarre da esso.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell ‘ art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
La manifesta inconsistenza delle tesi sostenute dalla società ricorrente legittima l ‘ aumento della liquidazione delle spese di soccombenza del 30%, ai sensi dell ‘ art. 4, comma 8, d.m. 55/14. L ‘ aumento è applicato direttamente nel dispositivo , con indicazione dell’importo finale e complessivo della relativa liquidazione.
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna la RAGIONE_SOCIALE alla rifusione in favore di RAGIONE_SOCIALE delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 14.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della