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Effetti confessione: quando non vale contro i terzi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16669/2024, chiarisce i limiti degli effetti della confessione. Nel caso esaminato, due garanti di un debito bancario avevano ipotecato i loro beni a favore di una propria società, confessando un debito verso di essa. La Corte ha stabilito che tale confessione non ha valore probatorio nei confronti della banca creditrice, poiché il fatto dichiarato, pur essendo formalmente sfavorevole ai dichiaranti, in realtà li avvantaggiava sottraendo beni alla garanzia del creditore terzo. La confessione, per essere efficace, deve essere sfavorevole al dichiarante e favorevole alla controparte processuale, non a un terzo.

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Effetti confessione: La Cassazione chiarisce quando non vincola i terzi

Una recente sentenza della Corte di Cassazione analizza in profondità gli effetti della confessione, stabilendo un principio cruciale: una dichiarazione può essere considerata confessione solo se riguarda fatti sfavorevoli a chi la rende e favorevoli alla controparte diretta nel processo, non a un terzo. Questa pronuncia offre importanti spunti sulla natura e i limiti di questo fondamentale mezzo di prova.

I Fatti di Causa: una garanzia contestata

La vicenda nasce dal debito di una società verso un istituto di credito. A garanzia di tale debito, due soci avevano prestato una fideiussione personale. Successivamente, gli stessi soci concedevano un’ipoteca sui propri immobili a favore di un’altra loro società, dichiarando di avere un debito nei confronti di quest’ultima.

La banca, temendo che tale operazione fosse un tentativo di sottrarre i beni alla sua garanzia, ha agito in giudizio chiedendo che l’atto di concessione dell’ipoteca fosse dichiarato simulato o nullo. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione alla banca, ritenendo l’ipoteca nulla per mancanza di causa, non essendo stata provata l’esistenza del debito garantito.

L’Analisi degli effetti della confessione secondo la Corte

La società beneficiaria dell’ipoteca ha impugnato la decisione in Cassazione, sostenendo principalmente che le dichiarazioni dei due soci, con cui ammettevano il loro debito, dovevano essere considerate come una confessione vincolante. La Suprema Corte ha rigettato questa tesi con argomentazioni molto chiare.

Il Principio Fondamentale: Fatto Sfavorevole per chi?

La Cassazione ha ribadito che, ai sensi dell’art. 2730 del Codice Civile, la confessione è la “dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte”. La Corte ha sottolineato che l’espressione “altra parte” si riferisce esclusivamente alla controparte processuale, in questo caso la banca, e non a un qualsiasi soggetto terzo.

Nel caso specifico, la dichiarazione dei soci di essere debitori della propria società non era sfavorevole a loro nei confronti della banca; al contrario, era funzionale a un loro interesse (proteggere i beni) e pregiudizievole per la banca. Di conseguenza, non possedeva i requisiti essenziali per essere qualificata come confessione opponibile al creditore terzo.

Inammissibilità di Nuove Prove e del Giuramento Decisorio

La Corte ha inoltre respinto gli altri motivi di ricorso. Ha confermato che la parte rimasta volontariamente contumace in primo grado non può produrre nuovi documenti in appello. Infine, ha dichiarato inammissibile il giuramento decisorio, poiché i suoi effetti sono limitati alle parti tra cui intercorre e non può pregiudicare i diritti di terzi estranei al rapporto, come la banca.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di un’analisi storica, letterale e teleologica dell’istituto della confessione. Storicamente, la confessione è sempre stata intesa come un atto che risolve un conflitto tra le parti in causa, equiparabile a una sentenza. Letteralmente, la norma parla di “altra parte”, intendendo il contraddittore processuale. Teleologicamente, l’ordinamento non permette che una dichiarazione unilaterale possa incidere negativamente sulla sfera giuridica di terzi. La confessione, per sollevare la controparte dall’onere della prova, deve riguardare il fatto costitutivo della domanda di quest’ultima. In questo caso, la pretesa confessione non provava l’inesistenza della pretesa della banca, ma mirava a creare un ostacolo ad essa.

Le Conclusioni della Cassazione

In conclusione, la Cassazione ha stabilito che una dichiarazione può essere definita “confessione” solo quando nuoce a chi la compie e giova a chi la riceve, ma unicamente nell’ambito del rapporto obbligatorio che lega direttamente il dichiarante e il destinatario. La dichiarazione con cui un debitore ammette un debito verso un soggetto (la propria società) per sottrarre beni alla garanzia di un altro creditore (la banca) non ha alcun valore di confessione nei confronti di quest’ultimo. Il ricorso è stato quindi rigettato, confermando la nullità dell’ipoteca.

Quali sono gli elementi essenziali perché una dichiarazione sia considerata una confessione legalmente vincolante?
Secondo l’art. 2730 c.c., una confessione deve avere ad oggetto un fatto giuridico, tale fatto deve essere sfavorevole al dichiarante (confitente) e, soprattutto, deve essere favorevole alla controparte diretta nel processo.

Perché l’ammissione di un debito verso un soggetto non è una confessione valida nei confronti di un terzo creditore?
Perché gli effetti della confessione sono limitati al rapporto tra il dichiarante e la sua controparte processuale. Una dichiarazione che ammette un debito verso un soggetto A non può essere usata come prova contro un soggetto B (il terzo creditore), specialmente se tale dichiarazione, di fatto, danneggia la posizione di B sottraendo beni alla sua garanzia patrimoniale.

Una parte che non si è presentata nel processo di primo grado (contumace) può presentare nuove prove in appello?
No. La sentenza chiarisce, richiamando un precedente delle Sezioni Unite, che il contumace volontario in primo grado non può compiere in appello attività istruttorie, come la produzione di nuovi documenti, per le quali sono già maturate le preclusioni processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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