Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34676 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34676 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8024/2023 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2154/2022 depositata il 06/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 5 aprile 2023, illustrato da memoria, NOME COGNOME impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Venezia del 6/10/2022. L’intimata Banca del Veneto centrale Credito Cooperativo SCPA ha notificato controricorso, illustrato da memoria.
La vicenda riguarda la opposizione a decreto ingiuntivo da parte di NOME COGNOME, cui era stato ingiunto di pagare alla Banca del Centroveneto Credito Cooperativo soc. coop. (ora Banca del Veneto Centrale Credito Cooperativo s.p.a.) la somma di Euro 91.639,54, oltre interessi di mora al tasso convenzionale e spese legali, in solido con NOME COGNOME e NOME COGNOME in forza di una fideiussione rilasciata quando era socio della società debitrice.
Il Tribunale di Vicenza adito, esperita istruttoria con acquisizione di una CTU, per quanto ancora di interesse, rigettava l’eccezione di nullità della fideiussione sollevata dall’appellante per violazione della normativa antitrust, perché giudicato tardivo il deposito del provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005, non potendo essere considerato fatto notorio o provvedimento normativo svincolato dall’onere di prova; rigettava le eccezioni di riempimento di foglio in bianco della fideiussione, di liberazione ai sensi dell’art. 1956 c.c., di invalidità per usura e per recesso; condivideva le conclusioni del C.T.U. sul conteggio del credito, quantificando l’importo dovuto dall’appellante in € 40.462,45 in luogo della somma ingiunta di € 91.639,54 in ragione della lacunosa documentazione contabile della banca,
considerando comunque dovute le commissioni e gli interessi per constatata regolarità del contratto; considerava irrilevanti ai fini dell’usura ab i nitio l’usura sopravvenuta accertata di € 38,31 e la mancata segnalazione alla C.R. della fideiussione; revocava, pertanto, il decreto ingiuntivo opposto, condannando il Costa al pagamento del minore importo in linea capitale, con aumento di interessi moratori al tasso del 14% (nei limiti di cui alla legge n. 108/1996); compensava le spese di lite e poneva le spese di C.T.U. a carico della Banca.
Proposto appello, la Corte d’appello di Venezia adita rigettava l’impugnazione proposta dall’odierno ricorrente e per l’effetto confermava la sentenza n. 1851/2019 del Tribunale di Vicenza sulla base delle seguenti argomentazioni: dichiarava infondato il primo motivo d’appello, sull’assunto che il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia fosse un atto amministrativo e non normativo che andava prodotto nei termini di cui all’art. 183 6° comma c.p.c., né poteva essere invocato il principio di non contestazione (trattandosi del contenuto di un documento e non di un fatto tempestivamente dedotto in causa), né, in ogni caso, era stata proposta ritualmente l’eccezione ex art. 1957 c.c., sollevata tardivamente nell’atto di precisazione delle conclusioni; rigettava il secondo motivo d’appello, assumendo come irrilevante il fatto che la Banca non avesse più segnalato, dopo il recesso, la fideiussione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia; riteneva, inoltre, che non vi fosse la prova della concessione di ulteriore credito alla debitrice dopo la messa in mora del 14/12/2011 ai fini della liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1956 cod. civ.; riteneva che non vi fosse la prova del recesso dal rapporto di garanzia in quanto sussisteva solo una mail della Banca che chiedeva un documento per lo svincolo della fideiussione e non la dichiarazione scritta del fideiussore; respingeva il quarto motivo d’appello, ritenendo che l’usura
verificata dal C.T.U. non fosse originaria e non si riflettesse sugli interessi ai sensi dell’art. 1815 1° comma c.c., ma solo su quelli dei trimestri interessati e comunque nel limite del T.S.U.; rigettava infine il sesto e ultimo motivo d’appello, ritenendo che il tasso di mora del 14% non fosse in usura quando era stato pattuito, con la sola conseguenze dell’eventuale limite del T.S.U. nel periodo successivo.
Il ricorso è affidato a cinque motivi.
Motivi della decisione
Primo motivo : il ricorrente denuncia ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, 1° comma n. 3 c.p.c., avendo la Corte territoriale errato nell’interpretazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c., 1957, 2697 c.c. e 2 della legge n. 287/1990’. Il ricorrente deduce che l’eccezione di decadenza ex art.1956 c.c. sollevata nel giudizio di primo grado fosse stata sollevata unitamente all’eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c. -ritenuta dal giudice invece non essere stata sollevata tempestivamente, ma solamente nell’atto di precisazione delle conclusioni-.
Il motivo è inammissibile ex art. 366 n. 4 e 6 c.p.c. in quanto, innanzitutto, omette di confrontarsi con la statuizione della Corte d’appello, di carattere assorbente, là dove, dopo avere respinto l’eccezione di nullità della clausola derogatoria dell’art. 1957 c.c. apposta nel contratto, ha ritenuto ‘ superfluo osservare che l’opponente non aveva tempestivamente eccepito l’estinzione della garanzia ex art. 1957 c.c. (eccezione di decadenza e come tale non rilevabile d’ufficio), di cui non si fa parola né nell’atto di citazione né nelle memorie ex art. 183, 6° co., c.p.c.), sicché, quand’anche il tribunale avesse dichiarato la nullità della clausola contrattuale che derogava al 1° co. dell’art. 1957 c.c., non sarebbe con ciò venuta meno l’obbligazione del
fideiussore ‘. La censura d ella pronuncia di inammissibilità della eccezione de qua , sul punto, non è nemmeno autosufficiente (cfr. Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019), perché riporta solo parzialmente il contenuto dell’atto di citazione, però formalmente riferito all’art.1956 c.c., mentre non riporta quanto argomentato nelle memorie ex art. 183 c.p.c. ai fini del rilievo in tesi reiterato, limitandosi a evocare che ‘ c’è l’aspetto formale dell’invocazione della decadenza ai sensi dell’art. 1956, anziché dell’art. 1957 c.c. (che pure è stato poi correttamente indicato dal ricorrente a partire dalla precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado) ‘. Tuttavia, non può confondersi la suddetta eccezione, ugualmente sollevata ex art. 1956 c.c., e fatta oggetto del secondo motivo di censura, con quella di cui all’art. 1957 c.c., concernendo una clausola -tipo di tutt’altra natura e contenuto. Superflua, pertanto, è l’analisi della correlata – ma successiva in ordine logico – censura inerente alla non rilevata nullità della clausola derogatoria dell’art. 1957 c.c. di cui al modello ABI sanzionato dalla Banca d’Italia, in quanto assorbita dai superiori argomenti in ordine alla non opponibilità, in ogni caso, della decadenza di cui all’art. 1957 c.c..
Secondo motivo : ‘violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 1° comma n. 3 c.p.c., per non aver considerato la decadenza della Banca ai sensi dell’art. 1956 c.c., visti gli artt. 115, 116 c.p.c., 1375 c.c. ‘. Deduce il ricorrente che l’eccezione di decadenza della fideiussione ex art. 1956 c.c. non sarebbe stata adeguatamente considerata, mentre sarebbe stato provato che il credito della banca è aumentato in maniera esponenziale nel periodo 2009-2014, sia che si tenga conto delle risultanze della banca, sia di quelle del C.T.U. Deduce, sul punto, che erra la Corte d’Appello quando sostiene che il ricorrente non abbia ‘ dedotto, con un minimo di precisione, che la banca avesse
concesso ulteriore credito senza la sua autorizzazione, malgrado le condizioni patrimoniali della correntista fossero peggiorate ‘, e ciò alla luce delle allegazioni reiterate nell’atto di appello. Pertanto, visto l’art. 1956 c.c., considerati anche l’art. 1375 c.c. e gli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorrente avrebbe dovuto essere considerato liberato dall’impegno fideiussorio, anche in considerazione del recesso dal rapporto di garanzia intervenuto il 26/2/2007, comunicato alla banca posto che egli non era più socio della società debitrice.
Il motivo è inammissibile sotto due distinti profili. Il ricorrente assume come errore in iure la mancata considerazione di fatti anteriori al 2011, non considerati dal giudice, ma tuttavia in grado di dimostrare l’erroneità dell’accertamento fattuale. Osserva questo Collegio che la censura è formulata quale violazione di diritto e non quale omessa considerazione di un fatto rilevante ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., unica via al fine di rendere accessibile a questa Corte il riesame dei fatti operato dalla Corte di merito (Cass. SU 8053/2014). Sotto il profilo della violazione di diritto la censura non è idoneamente diretta a censurare l’errata applicazione delle norme sulle valutazione del compendio probatorio, bensì l’esito della valutazione discrezionale del giudice dei fatti di causa ai fini dell’applicazione dell’art. 1956 c.c. , come tale incensurabile in questa sede (cfr. Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Cass., Sez. 6-3, ordinanza n. 26769 del 23/20/2018; Sez. 3, sentenza n. 20382 dell’11/10/2016; Cass. Sez. 3, sentenza n. 11892 del 10/6/2016).
Quanto alla situazione patrimoniale dopo la messa in mora del 2011, il ricorrente ha indicato altrettanto erronea la statuizione di non aumento del credito affermando che ‘ anzi, il Tribunale ha accertato che tutto il credito si è formato tra il 2009 e il 2014, condividendo le tesi del C.T.U ‘. Il motivo
parimenti inammissibile ex art. 366 n. 4 c.p.c. perché, attenendo al merito dei fatti accertati dal giudice di primo grado, non è in grado di impingere la statuizione di secondo grado sulla mancata specifica impugnazione di tale autonoma statuizione del Tribunale.
Terzo motivo: violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 1° comma n. 3 c.p.c. per errore nell’applicazione degli artt. 116 c.p.c., 1175, 1375, 1418 e 1936 c.c., 5 T.U.B. e della delibera 29/3/1994 C.I.C.R. e della circolare B.I. n. 139/1991. Il ricorrente denuncia che la Corte d’appello abbia errato nel considerare manifestamente infondato il secondo motivo di impugnazione, con cui l’appellante sostiene che l’omessa segnalazione della fideiussione alla Centrale rischi della Banca d’Italia comporterebbe l’invalidità della garanzia, essendo un adempimento obbligatorio ai sensi della Circolare della A.B.I. n. 139 dell’11/01/1991.
Il motivo è inammissibile ex art. 366 n. 4 c.p.c. in quanto non offre argomenti idonei a contrastare l’assunto, fatto proprio dalla Corte di merito, che la finalità della normativa non è di rendere pubblici i negozi generatori di debiti personali, ma la perdita di affidabilità creditizia dei soggetti risultati inadempienti verso il sistema creditizio.
Quarto motivo : ‘violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 1° comma n. 3 c.p.c. per errore nell’applicazione degli artt. 116 c.p.c., 1938, 1941, 1945, 1956, 2627, 2724 c.c.’. Il ricorrente censura la decisione d’appello nella parte in cui non ha ritenuto provato ed efficace il recesso esercitato dal ricorrente. Deduce che sono stati provati per iscritto sia la cessazione della qualità di socio dall’RAGIONE_SOCIALE (doc. 1 fasc. primo grado), sia la ricezione della comunicazione di svincolo o di recesso ricevuta dalla Banca per lo meno dal
26/2/2007 (doc. 19 e deposizione del teste COGNOME del 31/5/2018).
Il motivo è inammissibile quanto alla dedotta violazione delle succitate norme da parte della sentenza impugnata, poiché mette in discussione, piuttosto, l’esito di detta valutazione, censurabile solo sotto il profilo dell’art. 360 n. 5 c.p.c. ove ammissibile (cfr. quanto sopra detto in riferimento al secondo motivo).
Quinto motivo : ‘violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 1° comma n. 3 c.p.c. per errore nell’applicazione degli artt. 88, 112, 115 e 116 c.p.c., 1175, 1375, 1384, 1418, 1936, 1939 c.c. e 644 c.p.’. Il ricorrente si duole dei capi della sentenza d’appello con cui sono stati rigettati il quarto e il sesto motivo d’appello, nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che l’usura rilevata dal C.T.U. debba essere considerata sopravvenuta e sostanzialmente irrilevante rispetto alla garanzia fideiussoria: al massimo, nei trimestri in cui il tasso applicato sfora il cd T.S.U., doveva essere riportato nei limiti di legge, con decurtazione del tasso convenuto per quei periodi.
La censura è inammissibile ex art. 366 n, 4 c.p.c., in quanto non offre argomenti idonei a sostenere la tesi del superamento del tasso soglia ab initio nel caso concreto, essendosi la Corte d’appello conformata alle risultanze della CTU e alla giurisprudenza, da ultimo stabilizzata da Cass.Sez. U -, Sentenza n. 19597 del 18/09/2020 in tema di usura . Trattasi, con tutta evidenza, di un’usura sopravvenuta, che non determina l’applicazione del 2° co. dell’art. 1815 c.c., ma impone esclusivamente che gli addebiti per interessi e competenze siano ricondotti entro la soglia di usura, come hanno disposto i giudici con valutazione doppiamente conforme. Né la pretesa del mutuante (e dunque anche del fideiussore che garantisce l’adempimento della relativa obbligazione di
pagamento), di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 24743 del 17/08/2023; Sez. U – , Sentenza n. 24675 del 19/10/2017).
Parimenti, il ritardo della banca nell’escutere la fideiussione è già normativamente tutelato dall’eccezione di cui all’art. 1957 c.c., tuttavia sollevata tardivamente dal ricorrente, come correttamente rilevato dalla Corte d’appello e pertanto non può imputarsi alla banca un colpevole o malizioso ritardo nell’escussione della garanzia . La decadenza del creditore dal diritto di escutere la fideiussione oltre sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale di pagamento, prevista dall’art. 1957 cod. civ., opera ‘ ipso facto ‘ , a prescindere da ogni indagine sull’elemento soggettivo di malafede del comportamento procrastinatore del creditore, e si pone già a forte presidio dell’interesse del fideiussore a soddisfare il credito scaduto e rimasto inadempiuto dal debitore principale, non tutelando però un interesse di ordine pubblico: può di conseguenza essere derogata dalle parti sia esplicitamente, sia implicitamente attraverso un comportamento concludente o di rinuncia a rilevare l’eccezione (cfr. per tutte, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13078 del 21/05/2008).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
Va altresì disposta la condanna al pagamento di somma ex art. 96, co.3, c.p.c., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente: delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 4.200,00,
di cui € 4.000 ,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge ; di € 4.000,00 ex art. 96, co. 3, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del/la ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 19/11/2024