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Eccezione riconvenzionale e leasing: la difesa chiave

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13345/2024, ha chiarito un punto cruciale in materia di leasing e fallimento. Una società di leasing, citata in giudizio dal fallimento di un’azienda utilizzatrice per la restituzione dei canoni pagati, si era difesa chiedendo un equo indennizzo. I giudici di merito avevano ritenuto tardiva tale richiesta. La Cassazione ha ribaltato la decisione, specificando che la richiesta non era una domanda nuova, ma una eccezione riconvenzionale, finalizzata unicamente a paralizzare la pretesa avversaria. Questa qualificazione permette di presentarla nei termini previsti per le difese, cambiando l’esito della causa.

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Eccezione Riconvenzionale e Leasing: la Difesa che Salva dalla Restituzione

In un contenzioso derivante dalla risoluzione di un contratto di leasing, la corretta qualificazione della propria difesa può fare la differenza tra vincere e perdere. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13345 del 14 maggio 2024, ha ribadito la fondamentale distinzione tra domanda riconvenzionale ed eccezione riconvenzionale, un concetto tecnico ma dalle enormi implicazioni pratiche, specialmente quando una delle parti è un fallimento.

I Fatti del Caso: Leasing Risolto e Successivo Fallimento

Una società di leasing aveva stipulato un contratto per un immobile. A seguito dell’inadempimento dell’azienda utilizzatrice nel pagamento dei canoni, la società concedente aveva attivato la clausola risolutiva espressa, ponendo fine al contratto. Successivamente, l’azienda utilizzatrice veniva dichiarata fallita.

Il Curatore del fallimento agiva in giudizio contro la società di leasing, chiedendo la restituzione di tutti i canoni versati prima della risoluzione, per un importo superiore a 300.000 euro. La società di leasing si difendeva sostenendo di aver diritto a trattenere tali somme a titolo di equo indennizzo per l’utilizzo del bene e come risarcimento del danno subito, come previsto dall’art. 1526 c.c.

Le Decisioni di Primo e Secondo Grado

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione al fallimento. I giudici di merito ritenevano che la richiesta della società di leasing, volta a ottenere un equo indennizzo, costituisse una vera e propria domanda riconvenzionale. Essendo stata formulata solo in un secondo momento nel corso della causa, veniva dichiarata tardiva e quindi inammissibile. Di conseguenza, la società di leasing veniva condannata a restituire l’intera somma richiesta dal fallimento, senza poter far valere il proprio controcredito.

Il Giudizio della Cassazione e la corretta applicazione dell’eccezione riconvenzionale

La società di leasing ricorreva in Cassazione, e la Suprema Corte ha cambiato le carte in tavola accogliendo il motivo di ricorso decisivo. L’errore dei giudici di merito, secondo la Cassazione, è stato quello di qualificare la difesa della società come ‘domanda’ anziché come ‘eccezione’.

La distinzione non è puramente formale. La differenza risiede nell’obiettivo processuale:

* Domanda riconvenzionale: Il convenuto non si limita a difendersi, ma contrattacca chiedendo una condanna dell’attore. Amplia l’oggetto del processo (petitum) e deve essere proposta entro termini perentori.
* Eccezione riconvenzionale: Il convenuto si difende utilizzando un proprio controcredito al solo scopo di paralizzare, totalmente o parzialmente, la pretesa dell’attore. Non chiede una condanna, ma solo il rigetto della domanda avversaria.

Nel caso di specie, la società di leasing non chiedeva al giudice di condannare il fallimento a pagarle una somma, ma si limitava a sostenere che il suo diritto all’indennizzo doveva ‘compensare’ e quindi annullare la richiesta di restituzione del Curatore. Si trattava, quindi, di una perfetta eccezione riconvenzionale.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito un principio consolidato: la distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale non dipende dal titolo giuridico del controcredito, ma dal risultato processuale che il convenuto intende ottenere. Se l’obiettivo è limitato al rigetto della domanda dell’attore, si tratta di un’eccezione. Questa difesa non amplia il tema della controversia, ma serve solo a dimostrare l’infondatezza della pretesa altrui.

Essendo un’eccezione, essa poteva essere proposta nei termini previsti per le difese ordinarie e non era soggetta alle preclusioni più rigide previste per le domande nuove. I giudici di merito avevano quindi errato nel dichiararla tardiva, negando di fatto alla società di leasing il diritto di difendersi efficacemente.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un importante promemoria sull’importanza della strategia processuale. Qualificare correttamente una difesa come eccezione riconvenzionale anziché come domanda può determinare l’esito di una causa. Per le società di leasing e, in generale, per qualsiasi convenuto che vanti un controcredito verso chi lo ha citato in giudizio, è fondamentale inquadrare la propria difesa non come una richiesta di condanna, ma come uno scudo per neutralizzare la pretesa avversaria. La sentenza è stata quindi cassata con rinvio alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il caso tenendo conto di questo fondamentale principio.

Qual è la differenza fondamentale tra domanda riconvenzionale ed eccezione riconvenzionale?
La differenza sta nell’obiettivo: la domanda riconvenzionale mira a ottenere una condanna dell’attore e amplia l’oggetto del processo, mentre l’eccezione riconvenzionale usa un controcredito al solo fine di difendersi e ottenere il rigetto della domanda avversaria, senza chiedere nulla in più.

Perché la richiesta di indennizzo della società di leasing è stata considerata una eccezione riconvenzionale?
Perché la società non ha chiesto al giudice di condannare il Fallimento a pagarle una somma, ma ha utilizzato il proprio credito per l’indennizzo al solo scopo di ‘paralizzare’ la richiesta di restituzione dei canoni avanzata dal Fallimento. L’obiettivo era puramente difensivo.

La nuova legge sul leasing (L. 124/2017) si applica ai contratti risolti prima della sua entrata in vigore?
No. La Corte di Cassazione, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite (n. 2061/2021), ha confermato che la legge non ha effetto retroattivo. Per i contratti risolti in precedenza, si continua ad applicare la disciplina precedente, basata sull’interpretazione analogica dell’art. 1526 c.c.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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