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Eccezione inadempimento: l’onere prova in appalto

Un committente si oppone al pagamento di lavori edili contestando la difformità del tetto rispetto al progetto. La Corte di Cassazione, con ordinanza 4077/2024, chiarisce che se l’eccezione d’inadempimento è sollevata tempestivamente, spetta all’appaltatore dimostrare che le variazioni erano autorizzate. La Corte ha cassato la decisione d’appello che aveva erroneamente ritenuto tardiva la contestazione del committente, stabilendo un importante principio sull’onere della prova.

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Eccezione d’inadempimento: la Cassazione chiarisce l’onere della prova negli appalti

In un contratto d’appalto, cosa succede se l’opera realizzata non è conforme al progetto originale? Chi deve dimostrare che le modifiche erano autorizzate? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 4077/2024) fa luce su un punto cruciale: l’eccezione d’inadempimento e la ripartizione dell’onere della prova tra committente e appaltatore. La decisione sottolinea l’importanza di contestare tempestivamente i vizi dell’opera, fin dal primo grado di giudizio, per poter far valere le proprie ragioni.

I Fatti di Causa: Un Tetto Diverso dal Progetto

La vicenda trae origine da un contenzioso tra un committente e un’impresa edile. A seguito di un contratto d’appalto, l’impresa realizzava alcuni lavori, tra cui il tetto di un fabbricato. Il committente, tuttavia, contestava la conformità dell’opera, in particolare lamentando che il tetto fosse stato costruito con due falde anziché tre, come previsto dal progetto contrattuale.

L’impresa edile otteneva due decreti ingiuntivi per il pagamento del saldo dei lavori. Il committente si opponeva, sollevando, tra le altre cose, proprio l’eccezione d’inadempimento per la difformità del tetto. Il Tribunale di primo grado rigettava l’opposizione, mentre la Corte d’Appello, pur riducendo la somma dovuta, considerava tardiva la contestazione specifica sulla mancata autorizzazione delle variazioni al tetto, ritenendola una domanda nuova proposta solo in secondo grado.

La corretta applicazione dell’eccezione d’inadempimento in appello

Il committente ricorreva in Cassazione, sostenendo di aver sempre contestato la difformità dell’opera sin dal primo atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo. La Suprema Corte ha accolto questa tesi, ribaltando la decisione dei giudici d’appello.

Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello aveva commesso un errore nel qualificare come ‘nuova’ la doglianza del committente. La contestazione sulla realizzazione del tetto a due falde invece che a tre era stata, infatti, il fulcro della difesa del committente sin dall’inizio del processo. Pertanto, non si trattava di una questione sollevata tardivamente, ma di un punto controverso coltivato in entrambi i gradi di merito.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Cassazione ha affermato che l’affermazione della Corte di merito, secondo cui solo in appello il committente aveva dedotto che le variazioni non fossero state autorizzate, non si misurava con il complesso argomentativo fatto valere sin dal primo grado. Aver evidenziato la difformità del tetto rispetto al progetto e aver aggiunto che nessuna variante era stata autorizzata, rendeva la contestazione pienamente tempestiva.

Di conseguenza, la Corte ha stabilito un principio di diritto fondamentale: una volta che il committente ha tempestivamente eccepito la difformità dell’opera rispetto al contratto, grava sull’appaltatore l’onere di provare il fatto positivo che la variante sia stata approvata, ad esempio, dal direttore dei lavori. È un’inversione dell’onere probatorio: non è il committente a dover provare un fatto negativo (la mancata autorizzazione), ma è l’appaltatore a dover dimostrare il fatto positivo (l’avvenuta autorizzazione).

Le Conclusioni: Un Principio a Tutela del Committente

In conclusione, la sentenza impugnata è stata cassata per violazione dell’art. 345 del codice di procedura civile. La Corte d’Appello ha erroneamente escluso il grave inadempimento dell’appaltatore, giudicando inammissibile una contestazione che, invece, era stata ritualmente e tempestivamente proposta. Il caso è stato rinviato a un’altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, che dovrà riesaminare la vicenda attenendosi al principio di diritto stabilito dalla Cassazione. Questa decisione rafforza la tutela del committente, chiarendo che, di fronte a una contestazione tempestiva di vizi, spetta all’impresa edile dimostrare la legittimità delle proprie scelte costruttive difformi dal contratto.

Se un’opera edile è difforme dal progetto, chi deve provare che la modifica era autorizzata?
Secondo la Corte di Cassazione, una volta che il committente contesta tempestivamente la difformità, spetta all’appaltatore l’onere di eccepire e provare che la variante era stata approvata dal direttore dei lavori.

Una contestazione su un vizio dell’opera può essere considerata ‘nuova’ e quindi inammissibile in appello?
No, se la contestazione era già stata sollevata in primo grado. Nel caso di specie, la Cassazione ha chiarito che lamentare la difformità del tetto sin dall’atto di citazione iniziale rendeva la contestazione tempestiva e non una ‘domanda nuova’ in appello.

Cosa accade se un giudice d’appello dichiara erroneamente inammissibile una contestazione?
La sua sentenza può essere annullata (‘cassata’) dalla Corte di Cassazione. Il processo viene quindi rinviato a un altro giudice d’appello, che dovrà decidere nuovamente la questione applicando i principi di diritto indicati dalla Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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