Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8022 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 8022 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21851/2020 R.G. proposto da:
NOME, domiciliat a presso l’avvocato COGNOME (EMAIL), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale a margine del ricorso.
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale in calce al ricorso.
–
contro
ricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME.
–
intimato – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Brescia n. 144/2020 depositata il 04/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/12/2023 dal Consigliere AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME; udito l’avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Brescia n. 144/2020 del 4 febbraio 2020, con cui è stato rigettato il gravame da essa proposto contro la sentenza del Tribunale di Cremona del 20 marzo 2018; con tale decisione, che aveva tra l’altro ritenuto tardivamente proposta l’eccezione di cui all’art. 2901, comma 3, cod. civ., era stata accolta la domanda revocatoria proposta da RAGIONE_SOCIALE, a vario titolo creditrice di COGNOME NOME, in relazione all’atto di compravendita con cui il COGNOME aveva alienato alcuni immobili in Cremona a INDIRIZZO.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
COGNOME NOME, pur ritualmente intimato, non ha svolto difese.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza
camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1, cod. proc. civ., all’esito della quale il Collegio emetteva ordinanza interlocutoria del 19 giugno 2023, con cui riteneva opportuno riservare la decisione all’esito di una fissanda pubblica udienza e pertanto rinviava la causa a nuovo ruolo.
La causa veniva poi discussa alla pubblica udienza del 7 dicembre 2023.
Il Pubblico Ministero ha depositato le proprie conclusioni.
La ricorrente e la resistente hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.: violazione art. 2901, comma 3, cod. civ. in relazione al combinato disposto degli artt. 112, 166 e 167 cod. proc. civ.’.
Lamenta che, erroneamente ed in contrasto con gli insegnamenti di questa Suprema Corte, la corte territoriale, confermando la decisione del Tribunale di Cremona, ha qualificato la allegazione dell’esenzione da revocatoria del pagamento del debito scaduto di cui all’art. 2091, comma 3, cod. proc. civ. come eccezione in senso stretto da formulare a pena di decadenza nel termine di cui all’art. 167 cod. proc. civ., dunque pervenendo a confermare la statuizione del tribunale, che aveva ritenuto che il fatto dell’avvenuto pagamento del debito scaduto fosse stato tardivamente prospettato da NOME, in quanto dedotto nella comparsa di costituzione e risposta depositata soltanto alla prima udienza, e non entro il ventesimo giorno ad essa precedente.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘plurime violazioni … dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ.’, in relazione ai vizi di cui ai nn. 3, 4 e 5, ‘relativamente alla erronea qualifica
di ‘consumatore’ del COGNOME ed alla erronea qualificazione del debito come non scaduto’.
Precisa di aver accorpato in un unico contesto plurime distinte censure, per essere sotto vari profili viziata la medesima parte dell’impugnata sentenza (di cui a p. 10 della motivazione), che ha ritenuto il debito pagato dal COGNOME come ‘non scaduto’.
2.1. Con una prima censura la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. ‘Error in procedendo, art. 112 cod. proc. civ., vizio di extrapetizione per aver statuito su una questione di fatto, non dedotta dalle parti, né affermata dal tribunale, erroneamente qualificando il COGNOME consumatore’.
Deduce che la corte di merito ha affermato che COGNOME NOME fosse persona fisica alla stregua di un ‘consumatore’, omettendo di leggere i documenti di causa, che deponevano invece nel senso della sua attività imprenditoriale, discostandosi alla sentenza di prime cure, che menzionava <>, e dunque incorrendo in vizio di extrapetizione, dato che l’incontestato svolgimento dell’attività di azienda agricola da parte di COGNOME NOME non è stato oggetto di censure in appello.
2.2. Con una seconda censura la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., ‘Falsa/errata applicazione dell’art. 125 quater TUB’.
Deduce che, sul presupposto della invero erronea considerazione di COGNOME NOME come ‘consumatore’, la corte di merito ha escluso che il debito fosse scaduto, erroneamente ritenendo necessario un recesso in forma scritta imposto a tutela del consumatore, mentre nel caso di specie era applicabile la norma contrattuale, di cui all’atto notarile stipulato tra il COGNOME e l’istituto bancario, che riconosceva alla banca la facoltà di recedere in qualsiasi momento, anche con comunicazione
verbale, dall’apertura di credito.
2.3. Con la terza censura la ricorrente denuncia, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., ‘Omessa valutazione di documentazione rilevante ai fini della decisione, sempre in tema di qualifica di consumatore’.
Deduce che la corte di merito è incorsa nella erronea qualificazione del COGNOME come consumatore per aver omesso di valutare la copiosa documentazione prodotta da entrambe le parti sin dal primo grado di giudizio.
2.4. Con la quarta censura la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ‘Errata valutazione della prova testimoniale, estrapolata in modo frammentario ed incompleto: travisamento dei fatti sulla qualifica di ‘consumatore’ del COGNOME‘.
Deduce che la corte territoriale non ha compreso, ovvero ha ignorato, le risultanze della prova testimoniale, da cui era emerso che il COGNOME era un imprenditore agricolo.
2.5. Con la quinta censura la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. ‘Errore di diritto, violazione di legge per disapplicazione degli art. 1845 cod. civ., art. 3 Contr. Finanziamento del 22.11.2005 e suo allegato C, art. 6 lettera C (Norme Bancari Uniformi)’.
Lamenta che la corte di merito è incorsa in errore di diritto rilevando la cessazione ( rectius : chiusura) del conto corrente, mentre nel caso di specie vi era stata revoca dell’affidamento al COGNOME, cui giuridicamente consegue l’obbligo di restituzione, rendendo così il debito scaduto, senza che sia necessaria la chiusura del conto corrente, peraltro neppure mai richiesta dalla banca.
2.6. Con una sesta censura la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ‘Errata valutazione della prova testimoniale, estrapolata in modo
frammentario ed incompleto: travisamento dei fatti in tema di debito scaduto’.
Lamenta, sempre in relazione alla questione del debito scaduto, che la corte territoriale ha travisato la deposizione del direttore della banca, il quale ha dichiarato di aver richiesto a COGNOME NOME di rientrare negli interessi e nel rientro nella posizione affidata.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., ‘violazione ed errata applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e art. 13, comma 1 quater d.p.r. 115/2002 mod. L. 228/2012 art. 1, comma 17’.
Deduce, quale conseguenza dell’accoglimento dei precedenti motivi, l’erronea valutazione ed applicazione del principio di soccombenza, da parte della corte d’appello, nel regolamento delle spese del proposto gravame.
Il primo motivo, in disparte il pur non marginale rilievo per cui risulta dedotto in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., dato che offre una descrizione meramente discorsiva del contesto processuale, senza trascrivere il contenuto dell’eccezione proposta ex art. 2901, comma 3, cod. civ. e senza riprodurre i passaggi motivazionali censurati per violazione della suddetta disposizione normativa, non può essere accolto.
Occorre premettere: 1) che, confermando sul punto la sentenza di primo grado, la corte territoriale ha espressamente affermato che la prospettazione, ex art. 2901, comma 3, cod. civ., dell’avvenuto impiego da parte del disponente COGNOME della somma ricavata dalla compravendita immobiliare in favore della NOME quale mezzo per l’estinzione un debito scaduto costituisce eccezione in senso stretto, espressamente richiamando i principi posti da questa Corte con la sentenza n. 16793 del 2015, già previamente citata nella sentenza del tribunale; 2) che pertanto la corte d’appello, come già il tribunale, ha affermato che la
prospettata esenzione, costituendo eccezione in senso proprio e stretto, dunque non rilevabile d’ufficio, avrebbe dovuto essere proposta dai convenuti COGNOME e COGNOME nel termine perentorio di cui al combinato disposto degli artt. 166 e 167 cod. proc. civ., e cioè non oltre il ventesimo giorno a ritroso a partire da quello fissato dall’attore per l’udienza di prima comparizione; le parti convenute si sono invece costituite alla prima udienza, in tal modo introducendo tardivamente l’eccezione, e dunque incorrendo nella relativa decadenza.
La odierna ricorrente non contesta la tardività della sua costituzione rispetto alla prima udienza del giudizio di merito, ma sollecita un intervento nomofilattico di questa Corte, finalizzato a riqualificare l’eccezione di esenzione dalla revocatoria, di cui al comma 3 dell’art 2901 cod. civ. in termini di eccezione in senso lato, anziché in senso stretto.
4.1. Va osservato che, secondo il costante orientamento di questa Corte (vedi Cass., Sez. Un. 1099/1998; Cass., Sez. Un., 15661/2005; Cass., Sez. Un., 10531/2013), a partire dalle S.U. n. 1099/1998, la deduzione dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del diritto vantato dall’attore dà normalmente luogo ad un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio, purché risulti dagli atti del processo.
Il fatto i ntegratore dell’eccezione in senso stretto deve essere, invece, o previsto espressamente dalla legge (come l’eccezione di prescrizione o l’eccezione di compensazione) oppure corrispondere all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio dal titolare o ad altra situazione in cui la manifestazione della volontà della parte sia prevista strutturalmente come elemento integrativo della fattispecie difensiva (v., da ultimo, Cass., 14/02/2023, n. 4589).
Orbene, questa Corte ha già avuto modo di affermare che ‘L’esenzione dalla revocatoria ordinaria, prevista per
l’adempimento di un debito scaduto, integra un’eccezione in senso stretto, presupponendo l’allegazione in giudizio di fatti impeditivi non rilevabili d’ufficio, sicché non incorre nel vizio di omessa pronuncia il giudice di merito che ometta l’esame di documenti prodotti ai sensi dell’art. 345, c.p.c., a sostegno dell’eccezione di cui all’art. 2901, comma 3, c.c., sollevata per la prima volta in grado di appello e, pertanto, preclusa’ (Cass., 13/08/2015, n. 16793).
Il principio è stato, ed ancora di recente, ribadito da arresti successivi (Cass., 12/07/2023, n. 19963; Cass., 13/08/2015, n. 16793; Cass., 28/02/2019, n. 5806).
Questa Corte ha quindi ritenuto appartenere alla categoria delle eccezioni in senso stretto anche quella di cui all’art. 2901 , comma 3, cod. civ., ovvero l’esenzione dell’azione revocatoria ordinaria prevista per l’adempimento di un debito scaduto, avendo in tale fattispecie osservato che l’esenzione in parola deve essere allegata e provata, nella sua esistenza, dall’acquirente convenuto in revocatoria , non già, nella sua inesistenza, dall’attore.
Il che, del resto, ben si comprende in ragione sia della natura impeditiva della fattispecie di esenzione, sia del principio di vicinanza della prova; potendo risultare, per il creditore che agisca per la revocatoria, estremamente difficile, se non del tutto impossibile, fornire la prova del fatto negativo della ‘ non destinazione ‘ del prezzo al pagamento di debiti scaduti del disponente (Cass., 14/02/2023, n. 4589; Cass. n. 11764/02; Cass. n. 14420/13).
Ne consegue che tale fatto estintivo del diritto fatto valere dal creditore, richiedendo necessariamente l’allegazione (e la prova) di elementi che appartengono alla sfera soggettiva del debitore, non può essere rilevato d’ufficio dal giudice.
L’impugnata sentenza è pertanto conforme a diritto, in
quanto la c orte d’appello ha ritenuto preclusa l’eccezione fatta valere ex art. 2901, comma 3, cod. civ., e si è così conformata al l’esistente orientamento di legittimità, rispetto al quale il ricorso non offre elementi idonei a determinarne il mutamento.
5.1. Per altro verso, poi, deve essere rilevato che la corte di merito ha confermato la sentenza di prime cure sul condiviso rilievo nel merito per cui, a prescindere alla questione di diritto relativa alla qualificazione dell’eccezione sollevata ex art. 2901, comma 3, cod. civ., il debito di COGNOME NOME fosse stato solo parzialmente estinto con il corrispettivo ricevuto da COGNOME NOME e non potesse qualificarsi come ‘debito scaduto’ per l’assenza in atti della prova di tale circostanza.
Il secondo motivo è parimenti infondato, in tutte le censure in cui si articola.
Premesso che il motivo, pur presentandosi come ‘composito’ o ‘misto’, è stato formulato in modo da poterne discernere i differenti profili, nei termini di cui di seguito ulteriormente specificati (sui limiti di ammissibilità del motivo c.d. ‘ misto ‘ o ‘ composito ‘ , si vedano, ex plurimis : Cass., Sez. Un., 06/05/2015, n. 9100; Cass., 17/03/2017, n. 7009; Cass., 23 gennaio 2019, n. 1783), tutte le censure, dedotte sotto la formale invocazione della violazione di legge, mirano sostanzialmente a sollecitare un riesame del fatto e della prova, precluso nella presente sede di legittimità.
Nello specifico, poi, è infondata la censura svolta ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc., per prospettata extrapetizione, dato che, secondo costante orientamento di questa Corte, il giudice di appello incorre nel vizio di extrapetizione allorché’ pronunci oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni non dedotte e che non siano rilevabili d’ufficio, attribuendo alle parti un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato. Non è precluso, invece, allo stesso
giudice l’esercizio del potere -dovere di attribuire al rapporto controverso una qualificazione giuridica diversa da quella data in prime cure con riferimento alla individuazione della causa petendi , dovendosi riconoscere a detto giudice il potere-dovere di definire l’esatta natura del rapporto dedotto in giudizio , onde precisarne il contenuto e gli effetti in relazione alle norme applicabili, con il solo limite di non esorbitare dalle richieste contenute nell’atto di impugnazione e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell’ambito delle questioni sottoposte al suo esame (cfr., tra le tante, Cass., 28/09/2022, n. 28181; Cass. n. 4744/2005 e Cass. n. 12943/2012).
Infine, la censura svolta ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. viola il disposto dell’art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., ricorrendo nel caso di specie l’ipotesi di cd. ‘doppia conforme’ e non avendo la ricorrente neppure indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, al fine di dimostrare che esse sono fra loro diverse (Cass., 09/08/2022, n. 24508.; Cass., 10/03/2014, n. 5528).
Il terzo motivo è inammissibile, sia là dove censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha statuito sul regolamento delle spese di lite tra le parti, sia là dove lamenta la condanna al pagamento del doppio del contributo ex art. 13, comma 1 quater d.p.r. 115/2002 succ. mod. int.
In primo luogo, perché espressamente dedotto in conseguenza dell’accoglimento dei precedenti motivi, che vengono invece rigettati.
In secondo luogo, perché costante orientamento di questa Corte ha già avuto modo di affermare, sotto il primo profilo, che il regolamento delle spese di lite è rimesso alla valutazione ed alla discrezionalità del giudice di merito, con l’unico limite di non poterle addebitare alla parte totalmente o parzialmente vittoriosa
(nel senso che la sua domanda viene accolta, seppure per un importo inferiore a quello indicato nel petitum ), rispetto alla quale è possibile disporre la compensazione, in presenza degli altri presupposti dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. (Cass., 11/10/2016, n. 20374; Cass., Sez. Un., 31/10/2022, n. 32061; Cass., 22/04/2020, n. 8036).
Infine, quanto al secondo profilo, perchè come affermato dalle Sezioni Unite Civili di questa Corte (Cass., Sez. Un., 20/02/2002, n. 4315), il versamento di un importo ‘ulteriore’ rispetto all’ammontare del contributo unificato è riconducibile ad un obbligo normativo, dei cui presupposti il giudice si limita a dare atto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza