Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19909 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19909 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27760/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE difesa da ll’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME difeso da ll’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 749/2020 depositata il 30/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2006 la società RAGIONE_SOCIALE concludeva con NOME COGNOME un contratto preliminare per l’acquisto di un terreno edificabile, in zona sottoposta a piano particolareggiato. Il prezzo era di € 1.300.000 e Archinaut versava, al momento della stipula, una caparra confirmatoria di € 100.000. L’art. 5 del contratto prevedeva
che l’efficacia dell’accordo fosse subordinata all’approvazione, entro tre anni, del Piano particolareggiato. In mancanza, il contratto si sarebbe risolto di diritto, con restituzione della caparra. Nei tre anni successivi, il piano non risultava approvato. Tuttavia, nel periodo 2009-2010, si registravano da parte di COGNOME sollecitazioni a concludere il contratto definitivo, convocazioni presso notaio, e richieste al promittente venditore di attivarsi per il frazionamento catastale. Secondo COGNOME, COGNOME non collaborava, non produceva la documentazione necessaria e non si presentava agli appuntamenti notarili. Tali condotte, unitamente alla mancata cooperazione per il rilascio dei permessi, venivano considerate da COGNOME inadempimenti gravi. Nel 2010 COGNOME comunicava formalmente il recesso per inadempimento e richiedeva la restituzione della caparra, sostenendo che la clausola risolutiva era stata superata per fatto concludente delle parti e che il contratto doveva ritenersi efficace. COGNOME contestava la validità del recesso e affermava che il contratto si era invece risolto di diritto per mancato avveramento della condizione risolutiva, con effetto automatico alla scadenza del termine triennale.
La promissaria acquirente RAGIONE_SOCIALE conveniva così dinanzi al Tribunale di Tivoli il promittente venditore NOME COGNOME per ottenere l’accertamento della legittimità del suo recesso -per inadempimento del convenuto – dal contratto preliminare di compravendita stipulato del 2006. Il convenuto proponeva una riconvenzionale di risoluzione per mancato avveramento di condizione risolutiva.
Il Tribunale dichiarava risolto il contratto per mutuo consenso.
La Corte distrettuale accoglieva l’appello incidentale del convenuto e rigettava quello principale dell’attrice, ritenendo che l’inadempimento non fosse grave e che il contratto fosse divenuto privo di effetti per l’avveramento della condizione risolutiva. Riformava statuizione del Tribunale quanto alla risoluzione consensuale e con-
fermava il rigetto della domanda di legittimità del recesso esercitato dall’attrice. La Corte affermava che, non essendo intervenuta l’approvazione del piano particolareggiato entro i termini previsti, il contratto si fosse risolto di diritto e non sussistesse più obbligo in capo a COGNOME di attivarsi per il frazionamento o per il rilascio di autorizzazioni.
Ricorre in cassazione COGNOME con cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste COGNOME con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo lamenta la violazione degli artt. 99, 112, 167 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto sussistente, sulla base di elementi acquisiti agli atti, l’avveramento della condizione risolutiva. Sostiene che si tratta di una pronuncia resa ultra petita, in violazione del principio della domanda, atteso che nessuna delle parti ha proposto ritualmente tale questione. Rileva che COGNOME ha semmai proposto, in primo grado, una domanda riconvenzionale tardiva, dichiarata inammissibile dal Tribunale, e che in ogni caso la volontà successiva delle parti dimostra l’intenzione di dare comunque esecuzione al contratto, dunque precludendo ogni rilievo officioso della condizione risolutiva. La Corte avrebbe quindi impropriamente qualificato l’eccezione del convenuto come rilevabile d’ufficio, senza che gli elementi istruttori lo consentissero.
Il secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 112 c.p.c., 1372 co. 1 e 1385 c.c. per avere il giudice di primo grado dichiarato la risoluzione del contratto per mutuo dissenso. Si osserva che essa presuppone un accordo delle parti a tal fine. Assume che nessun elemento acquisito dimostra la volontà concorde di sciogliere il vincolo. Si rileva che la volontà negoziale delle parti, come desunta dalla corrispondenza e dalle condotte successive alla scadenza del termine triennale (proroghe, convocazioni per il rogito, attivazione per il frazionamento), è nel senso della prosecuzione del rapporto.
Il terzo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per avere la Corte territoriale omesso l’esame della documentazione -in particolare scambi epistolari e comportamenti concludenti -che attesta la volontà delle parti di dare esecuzione al contratto anche dopo il decorso del termine previsto dalla clausola risolutiva. Indica come fatto decisivo trascurato il comportamento di COGNOME successivo al 6 aprile 2009 (scadenza triennale), tra cui la richiesta di proroga, le interlocuzioni tra legali, l’accettazione da parte di COGNOME di una nuova data per il rogito. Questo dimostra, secondo la ricorrente, l’avvenuta deroga pattizia alla condizione risolutiva negativa.
Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1353, 1358, 1362 ss. c.c. per avere la Corte distrettuale mal governato i criteri legali di interpretazione del contratto. Sostiene che la Corte non ha attribuito il giusto significato alla condizione risolutiva inserita nel contratto, che avrebbe dovuto essere interpretata tenendo conto della volontà concreta delle parti, anche alla luce della loro condotta successiva. La decisione ha dato rilievo formalistico alla scadenza triennale, omettendo di considerare che la condizione era inserita nel contratto a tutela esclusiva dell’acquirente, il quale ha manifestato volontà di rinunciarvi proseguendo nel contratto.
Il quinto motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per avere la Corte territoriale omesso di esaminare i fatti rilevanti ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento del promittente venditore, tra cui: l’inerzia nel promuovere il frazionamento dell’area nonostante le sollecitazioni dell’acquirente; il rifiuto di sottoscrivere i documenti necessari alla presentazione agli uffici pubblici; la mancata comparizione al rogito definitivo nonostante le convocazioni. La ricorrente sostiene che la Corte ha trascurato circostanze storiche decisive, che, se considerate, avrebbero imposto un accertamento della gravità dell’inadempimento e quindi la legittimità del recesso da essa esercitato. In particolare, evidenzia co-
me la somma versata a titolo di caparra (€ 100.000) sia rimasta vincolata per oltre tre anni, senza che vi sia stata alcuna seria cooperazione del venditore nell’attuazione del contratto.
-Il primo motivo è accolto.
La Corte di appello ha ritenuto che l’eccezione fondata sulla clausola risolutiva non costituisca domanda riconvenzionale ma eccezione in senso lato, quindi rilevabile anche d’ufficio. Ha affermato che il giudice può pronunciarsi anche in assenza di specifica istanza, trattandosi di fatto estintivo del diritto azionato. Ha ritenuto pacifico in atti che il piano particolareggiato non sia stato approvato entro tre anni dalla stipula, con conseguente effetto risolutivo automatico del contratto.
L’argomentazione contrasta con la giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. 17463/2021) secondo cui l’eccezione con cui una parte fa valere l’avvenuto scioglimento del contratto per l’avverarsi di una condizione risolutiva costituisce un’eccezione in senso stretto , in cui l’effetto estintivo è subordinato all’esercizio di un potere unilaterale di parte di conferire rilevanza al verificarsi dell’ evento oggetto della condizione risolutiva. In quanto eccezione in senso stretto, essa non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma deve essere tempestivamente sollevata dalla parte interessata.
Nel caso di specie, è pacifico che il promittente venditore avesse formulato tardivamente le proprie difese in primo grado e che il Tribunale avesse correttamente dichiarato inammissibile la relativa domanda di risoluzione. La Corte di appello, riqualificando erroneamente tale difesa come eccezione rilevabile d’ufficio, ha violato il regime delle preclusioni. Non aveva il potere di prendere in esame una difesa che era stata ritualmente e definitivamente esclusa dal thema decidendum per la tardività con cui era stata proposta.
-L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei restanti motivi.
– In sintesi, la Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto, rinvia alla Corte di appello di Roma,