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Eccezione d’inadempimento al professionista: il caso

Un liquidatore di una società, successivamente fallita, ha richiesto l’ammissione del proprio compenso professionale allo stato passivo. La curatela fallimentare si è opposta sollevando un’eccezione d’inadempimento, contestando al professionista di non aver agito per recuperare i contributi dovuti dai soci. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del liquidatore, confermando che l’onere di provare il corretto adempimento dei propri doveri grava sul professionista che richiede il pagamento, una volta che la controparte abbia contestato una specifica negligenza.

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Eccezione d’inadempimento: il compenso del liquidatore a rischio se non adempie ai suoi doveri

L’ordinanza in commento affronta un tema cruciale nei rapporti professionali, specialmente quando una delle parti è una società che finisce in liquidazione e poi in fallimento. La Corte di Cassazione chiarisce i confini dell’eccezione d’inadempimento e, soprattutto, su chi grava l’onere della prova quando il compenso di un professionista viene contestato a causa di una sua presunta negligenza. Se un liquidatore non svolge diligentemente tutti i suoi compiti, come il recupero crediti verso i soci, può vedersi negato il pagamento.

I fatti di causa

Un professionista, nominato liquidatore di una società a responsabilità limitata, al momento del fallimento di quest’ultima, ha presentato domanda di ammissione al passivo per il credito relativo al suo compenso. La curatela fallimentare, tuttavia, si è opposta alla richiesta, sollevando una specifica contestazione: il liquidatore non avrebbe compiuto alcuna attività per ottenere dai soci il pagamento dei contributi dovuti secondo lo statuto societario. Tali contributi erano destinati a coprire le spese ordinarie e straordinarie della società. Secondo la curatela, questa omissione configurava un inadempimento contrattuale che giustificava il mancato pagamento del compenso.
Il Tribunale di merito ha dato ragione al Fallimento, rigettando l’opposizione del professionista. Contro questa decisione, il liquidatore ha proposto ricorso per cassazione.

La decisione della Corte e l’onere della prova nell’eccezione d’inadempimento

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato, confermando la decisione del Tribunale. Il punto centrale della pronuncia risiede nella corretta applicazione dei principi che regolano l’eccezione d’inadempimento (art. 1460 c.c.) e la ripartizione dell’onere della prova (art. 2697 c.c.).
La Corte ha stabilito che il curatore del fallimento è pienamente legittimato a sollevare, nel giudizio di verifica dei crediti, l’eccezione di inadempimento nei confronti del professionista che chiede il pagamento del proprio compenso. Secondo i giudici, per sollevare validamente tale eccezione, è sufficiente per il committente (in questo caso, la curatela) contestare in modo specifico e circostanziato la non corretta o negligente esecuzione della prestazione.
Una volta sollevata la contestazione, l’onere della prova si sposta sul professionista-creditore. È quest’ultimo, infatti, a dover dimostrare di aver adempiuto esattamente e diligentemente alle proprie obbligazioni, secondo il modello professionale e deontologico richiesto dalla natura dell’incarico. Non spetta al fallimento provare l’inadempimento, ma al professionista provare il suo esatto adempimento.

Le motivazioni

La Corte ha specificato che il motivo dell’inadempimento contestato – il mancato recupero dei contributi dai soci – era un obbligo preciso derivante dallo statuto societario, finalizzato a coprire i costi e le spese della società, e non un corrispettivo per servizi erogati ai soci. Pertanto, l’omissione del liquidatore costituiva un inadempimento diretto dei suoi doveri.
I giudici hanno richiamato consolidati principi giurisprudenziali, inclusa una pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisce per l’adempimento deve solo provare la fonte del suo diritto (il contratto) e il relativo termine di scadenza, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte. Spetta invece al debitore convenuto l’onere di provare il fatto estintivo della pretesa, cioè l’avvenuto e corretto adempimento.
Questo principio, valido per l’azione di adempimento, si applica egualmente quando il debitore si difende sollevando l’eccezione d’inadempimento. Nel caso specifico, il Fallimento ha allegato un circostanziato e inesatto adempimento (il mancato recupero dei contributi), e il liquidatore non è stato in grado di fornire la prova contraria, ovvero di aver agito correttamente.
Infine, la Corte ha sottolineato che, a differenza dell’azione per la risoluzione del contratto, l’eccezione d’inadempimento non richiede che l’inadempimento sia di particolare gravità. Può essere sollevata anche in caso di adempimento inesatto o parziale per giustificare il legittimo rifiuto di eseguire la propria controprestazione.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito a tutti i professionisti che assumono incarichi in ambito societario, come amministratori o liquidatori. La decisione ribadisce che il diritto al compenso è strettamente legato al corretto e diligente svolgimento di tutti i doveri imposti dalla legge e dal mandato ricevuto. Un’omissione, anche se apparentemente secondaria, può essere utilizzata dal committente (o dalla curatela fallimentare in sua vece) per bloccare legittimamente il pagamento attraverso l’eccezione d’inadempimento. Il professionista deve quindi essere sempre in grado di documentare e provare la correttezza del proprio operato, poiché in caso di contestazione, l’onere di dimostrare di aver fatto bene il proprio lavoro ricadrà interamente su di lui.

Chi deve provare l’inadempimento quando un professionista chiede il suo compenso in un fallimento?
Non è il curatore fallimentare a dover provare l’inadempimento del professionista. Al curatore basta allegare, cioè contestare in modo specifico, un comportamento negligente o un’omissione. A quel punto, l’onere della prova si inverte e spetta al professionista dimostrare di aver adempiuto correttamente e diligentemente ai propri doveri.

L’eccezione d’inadempimento può essere sollevata anche per un adempimento parziale o inesatto?
Sì. La Corte chiarisce che l’eccezione d’inadempimento può essere sollevata non solo in caso di totale mancanza della prestazione, ma anche per un adempimento inesatto. A differenza della risoluzione del contratto, non è richiesto che l’inadempimento sia di particolare gravità.

Il curatore fallimentare può rifiutarsi di pagare il compenso del liquidatore della società poi fallita?
Sì, il curatore può legittimamente rifiutarsi di pagare il compenso se solleva un’eccezione d’inadempimento basata su una specifica mancanza del liquidatore nell’esercizio delle sue funzioni, come l’omessa riscossione di crediti della società verso i soci. In tal caso, il liquidatore non otterrà il pagamento se non riuscirà a provare di aver agito correttamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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