Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7526 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7526 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11117/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore, NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL, EMAIL;
-controricorrente –
e sul ricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore, NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL, EMAIL;
-ricorrente incidentale-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 3050/2020 depositata il 24/11/202, notificata in data 09/02/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto n. 18741/2016 veniva ingiunto agli RAGIONE_SOCIALE di pagare alla RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 339.468,52, oltre agli interessi di mora ex d.lgs. 231/2002 dalle singole scadenze al saldo, in forza delle fatture nn. 65833/14, 71581/14, 25117/15, 32311/15, 40151/15, 48157/15, 48158/15, 48159/15, 48160/15, 55131/15, 62629/15, 70199/15, relative a prestazioni di somministrazione di lavoro a tempo determinato, ex art. 21 d.lgs. 276/03, rimaste impagate.
Con sentenza n. 11656/2018, il Tribunale di Milano, all’esito del giudizio di opposizione promosso dagli RAGIONE_SOCIALE, respingeva l’opposizione e, per l’effetto, confermava il decreto ingiuntivo opposto. Ai fini che ancora interessano in questa sede, riteneva: i) pienamente provata la domanda monitoria sulla base dei documenti prodotti dall’opposta consistenti nei contratti di somministrazione, nei contratti di assunzione dei lavoratori e nei fogli presenza e non assolto dal debitore opponente l’onere della prova della eccezione di pagamento parziale e conseguente parziale
estinzione del debito azionato, stante l’inidoneità a tal fine dei mandati di pagamento prodotti; ii) giustificata l’imputazione dei pagamenti come indicati dall’opposta in mancanza di una dichiarazione esplicita effettuata dal debitore ex art. 1193, 1° comma, cod.civ.
Con sentenza n. 3050/2020 del 26.10.2020, pubblicata il successivo 24 novembre 2020 e notificata il 9 febbraio 2021, la Corte d’Appello di Milano, individuata la questione controversa nel se i versamenti effettuati dalla creditrice dovessero essere integralmente decurtati dall’importo complessivamente portato dalle fatture azionate, con conseguente riduzione della somma oggetto del decreto ingiuntivo, o se, stante la sussistenza di altre posizioni debitorie della somministra, ne dovesse essere scomputata solo la parte considerata dalla somministrante nel ricorso monitorio, in ragione dell’imputazione di pagamento da questa fattane, ha riconosciuto -in parziale accoglimento dell’appello proposto dagli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE – la validità, in forza del dettato di cui all’art. 1193 cod.civ., dell’imputazione di pagamento così come prospettata da parte appellante e, di contro, l’arbitrarietà di quella effettuata dalla creditrice, e, per l’effetto, ha scomputato dal dovuto l’importo di euro 68.252,36.
Segnatamente, la Corte d’Appello ha ritenuto che al momento del pagamento il debitore aveva indicato l’imputazione sui mandati di pagamento prodotti, disposti dagli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nei riguardi della RAGIONE_SOCIALE; risultava, infatti, indicato, alla voce ‘note’ che si trattava di ‘Pagamento di fatture’, alla voce ‘impegno’ vi era il riferimento al lavoro e in calce ai mandati di pagamento era riportata una stampigliatura sottoscritta dall’operatore della Tesoreria della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE che riportava la scelta ‘Accreditato come ordinato’; ciò significava che l’accredito sul conto della creditrice era avvenuto ‘per come era stato ordinato’ e che tale prova documentale contrastava con la
tesi della RAGIONE_SOCIALE, la quale sosteneva che nei bonifici ricevuti non risultava la causale dei pagamenti e che ciò l’aveva autorizzata ad effettuare in proprio l’imputazione; né la RAGIONE_SOCIALE aveva prodotto -come bene avrebbe potuto fare- i cedolini dei bonifici ricevuti per confutare il suddetto dato documentale. In ogni caso la creditrice non aveva comunicato a RAGIONE_SOCIALE come aveva imputato i pagamenti ricevuti, non assurgendo a prova il partitario prodotto dalla RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di un atto contabile interno alla società; tantomeno vi era prova dei solleciti di pagamento asseritamente rivolti agli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che, quindi, erano venuti a conoscenza dell’imputazione effettuata dalla creditrice solo con la notifica del ricorso monitorio; perciò, in applicazione del principio secondo cui ‘Quando il debitore abbia dimostrato di avere corrisposto somme idonee ad estinguere il debito per il quale è stato convenuto in giudizio, spetta al creditore/attore, che pretende di imputare il pagamento ad estinzione di altro credito, provare le condizioni necessarie per la dedotta, diversa, imputazione, ex art.1993 cod.civ.’ (Cass.sent.n.450/2020, sent.n.17102/2006), ha ritenuto arbitraria l’imputazione effettuata dalla creditrice, ha riconosciuto alla debitrice il diritto allo scomputo, rispetto al credito complessivo portato dalle fatture azionate (pari a euro 386.636,71), della somma complessiva di euro 68.252,36, come richiesto nel giudizio di primo grado, con conseguente effetto estintivo della corrispondente parte del debito rivendicato dalla creditrice con il ricorso monitorio; ha negato invece, lo scomputo della maggior somma di euro 144.315,71, rappresentando ‘l’eccedenza’ una deduzione diversa e nuova rispetto a quella oggetto dell’opposizione e non corrispondente alla domanda conclusivamente svolta.
Gli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. ricorrono per la cassazione di detta sentenza, formulando cinque motivi.
Resiste e propone ricorso incidentale, basato su quattro motivi, la RAGIONE_SOCIALE
La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ..
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
1) Con il primo motivo l’istituto ricorrente in via principale lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116 cod.proc.civ. e 2702 ss. cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 4, cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto non scomputabile la maggior somma di euro 144.315,71, ‘rappresentando l’eccedenza una deduzione diversa e nuova rispetto a quella oggetto dell’opposizione, non giustificata da successivi versamenti in quanto fondata sugli stessi mandati di pagamento prodotti nel giudizio di primo grado, e comunque non corrispondente alla domanda conclusivamente svolta’.
La tesi di parte ricorrente è che non sia vero che la maggior somma richiesta, a scomputo dal dovuto (l’eccedenza), non fosse giustificata da ulteriori (rispetto alla somma scomputata di euro 68.252,36) versamenti eseguiti e da autonomi mandati di pagamento versati in atti, né che tale ‘eccedenza’ rappresentasse una deduzione diversa e nuova rispetto a quella oggetto dell’opposizione, tantomeno che la stessa non fosse corrispondente alla domanda conclusivamente svolta; che inoltre non sia corretto defalcare la somma de qua dal credito complessivo (pari ad euro 386.636,71) piuttosto che dal credito azionato in sede monitoria (pari alla minor somma di euro 339.468,52).
La Corte d’Appello si sarebbe limitata a prendere in considerazione i soli mandati di pagamento indicati nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, omettendo di considerare il mandato di
pagamento n. 32311/2015 (citato nella prima memoria ex art. 183, VI comma, cod.proc.civ. e da essa depositato in uno con la seconda memoria ex art. 183, VI comma, cod.proc.civ. e prodotto sub I.B.4) con il quale aveva interamente saldato la fattura n. 32311/15 dell’importo 48.100,90, anch’essa azionata in sede monitoria.
Con il secondo motivo deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, I comma, n. 5 cod.proc.civ., rappresentato dal pagamento della fattura n. 32311/15, giusta mandato di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO prodotto con la seconda memoria ex art. 183, VI comma, cod.proc.civ., oggetto di discussione tra le parti atteso e decisivo.
Con il terzo motivo addebita al giudice d’appello la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183, VI comma, n. 1 cod.proc.civ. , in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ .
Avrebbe errato la Corte d’Appello allorquando ha asserito che la richiesta di scomputo dell’importo della fattura n. 32311/15 rappresentava una deduzione diversa e nuova rispetto a quella oggetto dell’opposizione, avendo chiesto lo scomputo di euro 48.100,90, oggetto di una delle fatture azionate con il decreto ingiuntivo e integralmente saldata, giusta mandato di pagamento n. 793/2015, con la memoria ex art. 183 cod.proc.civ., in modo corretto e tempestivo, atteso che, per pacifico e costante insegnamento giurisprudenziale, con tale memoria è possibile precisare e modificare la domanda già proposta (ossia precisare e modificare gli elementi identificativi oggettivi di tale domanda purché riferentesi alla stessa vicenda sostanziale dedotta in giudizio o a questa connessa; peraltro, il contenuto di detta memoria era corrispondente alla domanda conclusivamente svolta atteso che già con la prima memoria ex art. 183, VI comma, cod.proc.civ. erano state chieste (in via subordinata) la revoca del decreto ingiuntivo
opposto e la riduzione della somma eventualmente ritenuta dovuta alla società opposta, sottraendo quanto già corrisposto .
4) I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati. Essi riguardano la medesima questione, cioè il diritto alla scomputo di quella che la Corte territoriale ha ritenuto un’eccedenza, e sono infondati perché l’eccezione di pagamento di cui si discute avrebbe dovuto essere sollevata (a seguito della riforma del 2005 introdotta con D.L. n. 35 del 2005) con la comparsa di risposta, e, nel caso di specie, trattandosi di opposizione a decreto ingiuntivo, data la natura di convenuto in senso sostanziale della parte opponente, essa avrebbe dovuto essere sollevata nel primo atto difensivo, ovvero con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo.
Va osservato che, secondo il costante orientamento di questa Corte a partire da Cass., sez. un., 3/02/1998, n. 1099, la deduzione dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del diritto vantato dall’attore dà normalmente luogo ad un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio, purché risulti dagli atti del processo. Proprio perché la rilevabilità d’ufficio corrisponde al regime normale delle eccezioni (vedi anche Cass. 5/06/2014, n. 12677), sono state progressivamente ricondotte all’eccezione in senso lato l’eccezione di giudicato, la controeccezione di interruzione della prescrizione, l’eccezione di accettazione beneficiata dell’eredità.
Il fatto integratore dell’eccezione in senso stretto deve essere, invece, previsto espressamente dalla legge (come l’eccezione di prescrizione o l’eccezione di compensazione) o corrispondere all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio dal titolare o ad altra situazione in cui la manifestazione della volontà della parte sia prevista strutturalmente come elemento integrativo della fattispecie difensiva.
L’eccezione in senso stretto e la disciplina che essa evoca (artt. 167, 345, 416, 702bis , art. 709 cod.proc.civ.) sono riferibili, per ormai consolidata acquisizione, alle sole eccezioni riservate all’iniziativa della parte, per legge o perché corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva (v., in tal senso, Cass., Sez. Un. n. 1099/1988, cit.; Cass., Sez. Un., 27/07/2005,. n. 15661).
La distinzione, più precisamente, risiede in ciò che, “mentre, di regola, l’eccezione identifica una particolare difesa consistente nella contrapposizione di fatti ai quali la legge attribuisce immediatamente e direttamente una autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale si fonda la domanda (eccezione in senso lato), l’eccezione in senso stretto consiste nella contrapposizione di quei fatti che, senza escludere la sussistenza del rapporto implicato dalla domanda, sono tuttavia tali che, in loro presenza, risulti accordato al convenuto e disciplinato dal diritto sostanziale un potere rivolto ad impugnandum jus , ossia una potestà esercitabile al fine di fare venir meno il diritto dell’avversario. In questi casi il legislatore costruisce la fattispecie in modo tale che la presenza di determinate circostanze non ha una autonoma efficacia produttiva della nuova situazione sostanziale, ma la consegue solo per il tramite di una manifestazione di volontà dell’interessato, che, da sola o, a seconda delle ipotesi, previo accertamento giurisdizionale dell’avvenuta costituzione della fattispecie medesima, si inserisce all’interno di questa.
Per conseguire il risultato difensivo, non basta qui l’allegazione del fatto, ma occorre che l’interessato scelga se conservare la situazione giuridica esistente ovvero ottenere che, secondo la norma di previsione, si produca quella nuova: ciò che, in ipotesi affermativa, postula il compimento di un apposito atto di manifestazione di volontà in tale senso, non diversamente da quanto accadrebbe qualora la parte, in luogo dell’esercizio in via
di eccezione della potestà conferitagli dalla legge, vi provvedesse in via di azione.
Tanto si verifica con riguardo a tipiche azioni costitutive: si vedano ad esempio l’art. 1442 cod.civ., u.c., e art. 1449 cod.civ., comma 2, ove si prevede la facoltà del convenuto di proporre, rispettivamente, un’eccezione di annullamento e di rescissione del contratto.
Ed è opinione che analoga situazione sia configurabile con riguardo ad eccezioni di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità; revocatoria; di riduzione di disposizioni testamentarie; etc.” (così Cass. Sez. U. n. 1099 del 1998 , cit.), all’eccezione di pagamento al al creditore apparente ex art. 1189 cod.civ. ‘ (Cass. 14/02/2023, n.4589).
Posto che nessun dubbio, per le ragioni espresse, può ricorrere quanto alla qualificazione dell’eccezione di pagamento come eccezione in senso stretto, essa avrebbe dovuto, come si è già precisato, essere formulata con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo.
Né rispetto a tale conclusione costituisce un ostacolo l’intervento delle Sezioni Unite di cui alla sentenza n. 12310 del 15/06/2015, secondo la quale la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod.proc.civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (” petitum ” e ” causa petendi “), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali, atteso che la domanda così modificata deve sostituirsi a quella originariamente proposta, e non anche aggiungersi alle altre domande dell’attrice rimaste pacificamente in piedi.
È stato infatti chiarito che (cfr. Cass. 26/06/2018, n. 16807) l’introduzione di una domanda in aggiunta a quella originaria
costituisce domanda “nuova”, come tale implicitamente vietata dall’art. 183 cod.proc.civ., atteso che il confine tra quest’ultima e la domanda “modificata” -che, invece, è espressamente ammessa nei limiti dell’udienza e delle memorie previste dalla norma citata – va identificato nell’unitarietà della domanda, nel senso che deve trattarsi della stessa domanda iniziale modificata, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, o di una domanda diversa che, comunque, non si aggiunga alla prima ma la sostituisca, ponendosi, pertanto, rispetto a quella, in un rapporto di alternatività.
Ne deriva che trattandosi di domanda nuova (in assenza anche dell’allegazione da parte della ricorrente che si tratti di modifica di una precedente domanda), la stessa risulta tardiva ancorché proposta nella memoria di cui all’art. 183 cod.proc.civ.
Con il quarto motivo viene denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ. , in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.
La Corte d’Appello di Milano avrebbe erroneamente defalcato la somma già corrisposta dal credito complessivo vantato da parte avversa (pari ad euro 386.636,71) piuttosto che dal credito azionato in sede monitoria (pari alla minor somma di euro 339.468,52).
L’ingiungente aveva chiesto, in sede monitoria, il pagamento della somma di ‘euro 339.468,52 (IVA compresa) in linea capitale …’ ed anche nel costituirsi, peraltro, nel giudizio di opposizione, aveva insistito per il pagamento della sola somma azionata in via monitoria, pertanto, prendendo in considerazione una somma più alta rispetto a quella richiesta ed azionata dalla parte, il giudice dell’appello avrebbe violato il dettato di cui all’art. 112 cod.proc.civ.
Il motivo è infondato.
L’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione esteso, come tale, non solo alle
condizioni di ammissibilità e validità del procedimento monitorio, ma anche alla fondatezza della domanda del creditore in base a tutti gli elementi offerti e incontestati.
In questo giudizio di cognizione la posizione sostanziale di attore è assunta dal creditore opposto, mentre quella del convenuto è assunta dall’opponente.
L’opposizione a decreto ingiuntivo, pertanto, non può ritenersi come un’impugnazione del decreto, che si esaurisce nell’accertare l’esistenza o meno di vizi o di originarie invalidità del procedimento monitorio, ma comporta l’obbligo del giudice di accertare se la domanda di merito, che in ogni caso è oggetto del ricorso per decreto ingiuntivo, sia fondata o meno (Cass. 22/02/2002, n. 2573).
Né può ritenersi che la domanda dell’opposto sia solo quella di convalida del decreto opposto, avanzata nell’atto di costituzione, come pare ritenere parte ricorrente, poiché, come detto, il giudizio di opposizione non si risolve in un’impugnazione dello stesso e quindi in un esame delle sole condizioni di ammissibilità e di validità del procedimento monitorio (Cass. 06/08/2004, n.15186).
Non avendo, dunque, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo natura meramente impugnatoria, ma implicando il completo esame del rapporto dedotto in giudizio, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto provata, data la mancanza di specifica contestazione dell’opponente, la sussistenza di un debito complessivo di euro 386.636,71, rinveniente dal complesso delle fatture insolute, e da esso ha detratto le somme oggetto dei mandati di pagamento nei termini di cui all’imputazione.
5) Con il quinto motivo parte ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 348, 2° comma, cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.
Parte ricorrente, con memoria di trattazione scritta per l’udienza del 30.06.2020, aveva evidenziato di non aver potuto presenziare alla prima udienza di trattazione tenutasi il 24.09.2019, in occasione della quale era stata fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni per il 10.03.2020, successivamente rinviata, stante l’emergenza sanitaria legata all’infezione da COVID, dapprima al 05.05.2020 successivamente al 30.06.2020, e che la fissazione di tale nuova udienza non gli era stata comunicata (ex art. 348, II comma, cod.proc.civ.), avendo appreso della stessa solo a seguito delle comunicazioni per il differimento d’ufficio dell a medesima udienza; pertanto, la Corte d’Appello avrebbe dovuto fissare una nuova udienza per la precisazione delle conclusioni.
Il motivo è inammissibile.
Costituisce ius receptum che la parte che alleghi la nullità della sentenza per vizio radicale del procedimento è tenuta a dimostrare che da tale vizio sia conseguita in concreto una lesione del suo diritto di difesa, allegando il pregiudizio che gli sia derivato, essendo altrimenti il gravame inammissibile per difetto di interesse; ciò in quanto non è dato configurare un generico e astratto diritto di difesa, necessitando -invece -la prospettazione, a fondamento dell’impugnazione, delle ragioni per le quali la dedotta lesione di detto diritto abbia comportato l’ingiustizia del processo, causato dalla impossibilità di difendersi a tutela di quei diritti o di quelle posizioni giuridicamente protette ( ex plurimis , cfr., in tal senso, Cass. 16/09/2022, n.27324).
L’istituto ricorrente si è limitato a lamentare la sussistenza del vizio del procedimento, ma non ha allegato alcun concreto pregiudizio al suo diritto di difesa.
Il ricorso principale va, dunque, rigettato.
Con il primo motivo la ricorrente in via incidentale denuncia la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.
La Corte d’Appello avrebbe portato in detrazione l’importo di euro 68.252,36, rispetto al credito complessivamente azionato in sede monitoria, rilevando che i mandati di pagamento prodotti dagli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE riportavano la dicitura accreditato come ordinato, cioè l’accredito sul conto della creditrice era avvenuto come da indicazione riportata sulle fatture, il che rendeva superflua l’acquisizione della quietanza rilasciata da parte del creditore; detto ragionamento si sarebbe sviluppato -ad avviso della ricorrente – in totale assenza di difese articolate sul punto da parte di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, perciò la Corte d’appello sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione.
Il motivo è infondato.
Il vizio di ultrapetizione ricorre soltanto quando il giudice attribuisce alla parte un bene non richiesto, o maggiore di quello richiesto, pronunciando oltre i limiti i della domanda e delle eccezioni non rilevabili d’ufficio, ma detto vizio non comporta l’obbligo di attenersi all’interpretazione prospettata dalle parti in ordine ai fatti, agli atti ed ai negozi giuridici posti a base delle loro domande ed eccezioni. La valutazione degli elementi documentali e processuali, necessaria per la decisione, è pur sempre devoluta al giudice, indipendentemente dalle opinioni, ancorché concordi, espresse in proposito dai contendenti. Nel caso di specie il giudice del merito ha fondato il suo convincimento traendo gli elementi conoscitivi necessari per provare il fatto incerto dai mandati di pagamento versati in atti. Non è dato comprendere, pertanto, in quale passaggio motivazionale si annidi il vizio di ultrapetizione, considerato che lo stesso non può essere integrato dalla censura riguardante la valutazione dei mezzi di prova dedotti dalle parti, relativamente ai fatti sui quali permanga la contestazione. Dal motivo di ricorso non si evincono deduzioni che sorreggano la presunta violazione della norma processuale, tanto da rendere evidente che la doglianza, sotto le apparenze di un inesistente vizio
di ultrapetizione, celi null’altro che la non condivisione di un apprezzamento di fatto, che in quanto tale compete unicamente al giudice di merito, restandone insindacabile in sede di legittimità il relativo esito.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 cod.civ. e del principio del contraddittorio ex art 101, 2° comma, cod.proc.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.
Secondo il giudice a quo , non erano stati prodotti i cedolini dei bonifici ricevuti per confutare il dato documentale che deponeva a favore della tesi della debitrice di avere messo a conoscenza la creditrice all’atto del pagamento dell’imputazione fatta, ma prospetta la ricorrente -l’onere di provare la intervenuta comunicazione delle imputazioni effettuate con i mandati di pagamento prodotti era a carico della debitrice; peraltro, la sentenza impugnata dovrebbe essere sanzionata con la nullità, perché il giudice a quo non aveva assegnato alle parti un termine non inferiore a 20 e non superiore a 40 per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione -quella della causale contenuta nei mandati di pagamento rilevata d’ufficio.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale non ha affatto invertito l’onere della prova, come sostiene la ricorrente; ha deciso, invece, la controversia sulla scorta delle prove versate in atti, ritenendo non controverso -non avendo la RAGIONE_SOCIALE dimostrato il contrario -il fatto che i mandati di pagamento indicassero la fattura cui facevano riferimento, consentendo alla RAGIONE_SOCIALE di avere conoscenza dell’imputazione.
Né può essere rimproverato alla Corte d’appello di aver adottato una decisione a sorpresa in violazione dell’art. 101, 2° comma, cod.proc.civ. La norma sancisce il dovere di evitare sentenze cosiddette “a sorpresa” o della “terza via”, poiché adottate in
violazione del principio della “parità delle armi”, principio già enucleabile dall’art. 183 cod.proc.civ., che fa carico al giudice di indicare, alle parti, “le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione”.
Questa Corte ha affermato (Cass. 12/06/2020, n. 11308) che l’omessa indicazione alle parti di una questione di fatto oppure mista di fatto e di diritto, rilevata d’ufficio, sulla quale si fondi la decisione priva le parti del potere di allegazione e di prova sulla questione decisiva e perciò comporta la nullità della sentenza (cd. “della terza via” o “a sorpresa”) per violazione del diritto di difesa tutte le volte in cui la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato.
Tale evenienza non si è verificata nella fattispecie in esame, atteso che la questione su cui si fonda la decisione (prova della imputazione delle somme oggetto dei mandati di pagamento ) ha costituito oggetto del contraddittorio.
9) Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione degli artt. 1193 e 1195 cod.proc.civ. , ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Il creditore -secondo la Corte d’appello avrebbe comunque dovuto rilasciare quietanza, da accettarsi da parte del creditore, ex art. 1195 cod.civ., e non avrebbe dovuto procedere ad una imputazione arbitraria, con conseguente scomputo dei pagamenti di controversa imputazione. La ricorrente oppone che quand’anche si ritenga che l’art. 1195 cod.civ. sanzioni l’imputazione arbitraria operata dal creditore, la conseguenza trattane dalla Corte d’appello sarebbe sbagliata, perché avrebbe dovuto accertare -e tale accertamento nel caso di specie avrebbe avuto esito positivo – che l’imputazione era avvenuta seguendo i criteri di imputazione legale.
Premesso che la ratio decidendi della sentenza qui impugnata non è stata colta dalla ricorrente – come già si è detto, il decreto
ingiuntivo era stato emesso sulla scorta di un’imputazione di pagamento ritenuta arbitraria; accolta, dunque, l’opposizione, il provvedimento emesso in sede monitoria andava revocato e non essendo in discussione solo la validità della pretesa monitoria, ma la complessiva situazione debito/credito per come accertata, la Corte d’appello ha correttamente individuato il debito complessivo e da esso ha scomputato i parziali pagamenti effettuati – ciò che la ricorrente lamenta neppure assume i caratteri del fatto omesso. Il vizio motivazionale previsto dal n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico. Non costituiscono un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 cod.proc.civ., comma 1, n. 5, una “questione” o un “punto”, argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass. 18/10/2018, n. 26305; Cass. 14/06/2017, n. 14802), elementi istruttori (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053), una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa , ma solo un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 14/09/2022, n.27076; Cass. 6/09/2019, n. 22397; Cass. 8/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 4/04/2014, n. 7983; Cass. 5/03/2014, n. 5133).
Né può farsi a meno di rilevare, in aggiunta, che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 cod.proc.civ., comma 1, n. 6 e art. 369 cod.proc.civ., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti.
10) Con il quarto motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ., costituito
dall’avvenuta imputazione di tutti i pagamenti a sorte capitale anziché ad interessi sulle fatture insolute azionate in INDIRIZZO; se lo avesse fatto avrebbe rilevato che a prescindere dal criterio utilizzabile ai fini della imputazione di cui ai mandati prodotti da RAGIONE_SOCIALE a carico di quest’ultimo residuava un debito pari ad euro 339.468,52, cioè l’importo azionato in sede monitoria.
Anche questo motivo è inammissibile, per le medesime ragioni di cui al § 9, cui si rinvia.
Anche il ricorso incidentale va rigettato.
Data la reciproca soccombenza, le spese del giudizio di cassazione tra la ricorrente principale e quella incidentale possono essere compensate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra la ricorrente principale e quella incidentale.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.pr. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 20/02/2024 dalla Terza