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Eccezione di inadempimento sindaco: compenso negato

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del rigetto della domanda di ammissione al passivo del compenso di un sindaco di una società fallita. Il curatore ha sollevato con successo l’eccezione di inadempimento, basata sulla grave omessa vigilanza del professionista riguardo la perdita del capitale sociale. La Corte ha ribadito che, a fronte dell’allegazione di uno specifico inadempimento da parte del fallimento, spetta al sindaco dimostrare di aver adempiuto correttamente ai propri doveri, prova che nel caso di specie non è stata fornita.

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Eccezione di inadempimento: Compensi del Sindaco a Rischio in Caso di Fallimento

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 3819/2024 offre un’importante lezione sul rapporto tra compenso professionale e responsabilità del collegio sindacale. La pronuncia chiarisce che il curatore fallimentare può legittimamente sollevare l’eccezione di inadempimento per negare il pagamento delle spettanze al sindaco che abbia omesso di vigilare diligentemente sulla gestione societaria, in particolare sulla perdita del capitale sociale. Questo principio rafforza il ruolo cruciale dei sindaci come garanti della legalità e della corretta amministrazione, legando indissolubilmente il loro diritto al compenso all’effettivo e corretto svolgimento del mandato.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla richiesta di un professionista, ex membro del collegio sindacale di una società per azioni quotata, di essere ammesso al passivo del fallimento della stessa per i compensi maturati e non riscossi. Il giudice delegato aveva respinto la domanda, una decisione poi confermata dal Tribunale.

La curatela fallimentare si era opposta alla richiesta del professionista sollevando un’eccezione di inadempimento. Secondo il fallimento, il sindaco non aveva diritto ad alcun compenso in quanto si era reso gravemente inadempiente ai propri doveri di vigilanza. Nello specifico, gli veniva contestato di non aver rilevato e segnalato la causa di scioglimento della società, ovvero la perdita del capitale sociale, che gli amministratori avevano occultato attraverso la falsa rappresentazione nei bilanci di valori fittizi degli asset immobiliari. Il professionista, dal canto suo, si era difeso sostenendo che tali addebiti non erano mai stati accertati in sede giudiziale.

La Decisione della Corte e l’Eccezione di Inadempimento

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del sindaco, ritenendo infondato il suo motivo principale e assorbiti gli altri. Il cuore della decisione risiede nella corretta applicazione dell’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) e dei principi che regolano l’onere della prova in materia contrattuale.

I giudici hanno stabilito che il curatore fallimentare, per paralizzare la pretesa creditoria del professionista, ha il solo onere di allegare in modo circostanziato l’inadempimento di quest’ultimo. Nel caso specifico, il fallimento aveva dettagliatamente descritto le manchevolezze del sindaco, supportandole con la documentazione prodotta in atti.

A fronte di tale contestazione, l’onere della prova si sposta sul professionista-creditore. Spettava, infatti, al sindaco dimostrare di aver esattamente e diligentemente adempiuto alle proprie obbligazioni, ovvero di aver vigilato attivamente sulla gestione e di aver adottato tutte le misure necessarie per reagire alle irregolarità degli amministratori. Il ricorrente, invece, si era limitato a eccepire la mancanza di un accertamento giudiziale del suo inadempimento, una difesa ritenuta insufficiente dalla Corte.

Il Ruolo e la Responsabilità del Sindaco di Società Quotate

La Corte ha colto l’occasione per ribadire la portata dei doveri del collegio sindacale, specialmente in una società quotata. Il dovere di vigilanza sancito dall’art. 2403 c.c. non è un mero adempimento formale, ma richiede un controllo sostanziale e proattivo. I sindaci devono ricercare gli strumenti più idonei per reagire a eventuali violazioni di legge o dello statuto da parte degli amministratori.

In particolare, di fronte alla perdita del capitale sociale – una delle cause di scioglimento della società – il sindaco ha il dovere di vigilare affinché gli amministratori procedano tempestivamente agli adempimenti di legge (art. 2484 e 2485 c.c.). Se gli amministratori sono inerti, i sindaci sono legittimati ad agire in giudizio. L’inosservanza di tale dovere costituisce un inadempimento contrattuale che legittima la società (o il curatore, in caso di fallimento) a rifiutare il pagamento del compenso.

Le Motivazioni

La Cassazione ha motivato la sua decisione basandosi su consolidati principi in tema di onere della prova nell’inadempimento contrattuale. Quando il debitore (il fallimento) solleva l’eccezione di inadempimento, non deve provare l’inadempimento altrui, ma solo allegarlo, cioè contestarlo in modo specifico e dettagliato. Spetta poi al creditore che agisce per il pagamento (il sindaco) dimostrare il fatto estintivo dell’eccezione, ossia di aver adempiuto correttamente la propria prestazione.

Il Tribunale, secondo la Suprema Corte, ha fatto corretta applicazione di questo criterio. Ha ritenuto che le allegazioni del fallimento fossero precise e documentate, mentre ha accertato che il sindaco non aveva fornito alcuna prova di aver agito con la diligenza richiesta dalla sua carica. Il sindaco non può esaurire i suoi compiti in un mero espletamento burocratico delle attività previste dalla legge, ma deve adottare un ruolo attivo di controllo, ponendo in essere tutta la gamma di atti, dalle sollecitazioni alle richieste, fino alle denunce alle autorità competenti, per assicurare una vigilanza efficace.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per tutti i professionisti che ricoprono cariche negli organi di controllo societari. Il diritto al compenso non è automatico, ma è strettamente condizionato all’esatto adempimento dei doveri imposti dalla legge e dal mandato ricevuto. Un’omessa o negligente vigilanza, anche se non ha ancora prodotto un danno risarcibile o non è stata accertata in un giudizio di responsabilità, può essere sufficiente a fondare un’eccezione di inadempimento e a far perdere al professionista il diritto a percepire i propri onorari. Questo principio assume una valenza ancora maggiore nel contesto di una procedura fallimentare, dove la tutela della massa dei creditori è prioritaria.

Un curatore fallimentare può rifiutarsi di pagare il compenso a un sindaco della società fallita?
Sì, il curatore può legittimamente sollevare l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) per bloccare la richiesta di pagamento del compenso se è in grado di allegare, in modo specifico e circostanziato, che il sindaco è venuto meno ai suoi doveri di vigilanza.

In caso di eccezione di inadempimento, su chi ricade l’onere della prova?
L’onere della prova è ripartito. Il curatore fallimentare che solleva l’eccezione deve solo allegare l’inadempimento del sindaco. A quel punto, l’onere si sposta sul sindaco, il quale deve provare di aver eseguito esattamente e diligentemente la propria prestazione e di aver adempiuto a tutti i suoi doveri di vigilanza.

L’omessa vigilanza del sindaco sulla perdita del capitale sociale è un inadempimento grave?
Sì, la Corte ha confermato che l’omessa vigilanza sulla tempestiva rilevazione di una causa di scioglimento, come la perdita del capitale sociale, e sui conseguenti obblighi degli amministratori, costituisce un inadempimento contrattuale del sindaco. Tale inadempimento è sufficiente a giustificare il rigetto della sua domanda di compenso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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