Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10808 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10808 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
Contratto d’affitto Eccezione di inadempimento
ad. 21.01.2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20984/2021 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 16/2021 della CORTE d’APPELLO di Trento pubblicata l’8.2.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 21.1.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata il 5.4.2017 il Tribunale di Trento accolse l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Matteo RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto ingiuntivo n. 596/2015, con cui le era stato ordinato il pagamento di euro 25.955,10 in favore di RAGIONE_SOCIALE per canoni di affitto di un’ azienda alberghiera, giusta contratto del 26.11.2008, cessato nel settembre 2014, per essere rimasti insoluti quelli dovuti a partire dal novembre 2013.
L’opponente, contestata la pretesa azionata sul la base dell’inadeguatezza della struttura, aveva sollevato l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. ed opposti in compensazione i costi delle riparazioni effettuate.
La Corte d’Appello di Trento con sentenza pubblicata il 25.10.2017 accolse l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE e rigettò l’opposizione al decreto ingiuntivo, gravando l’appellata delle spese di entrambi i gradi.
Con ordinanza n. 7574/2020 la Corte di Cassazione accolse il ricorso proposto da Famiglia Costa di Costa RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE e rinviò alla Corte d’appello di Trento per un nuovo esame sulla base del seguente principio di diritto: ‘l’art. 1621 c.c. non è norma imperativa, bensì è derogabile dalle parti nell’ambito della concreta formazione del regolamento negoziale’ . Notò la Corte di Cassazione che l’art. 1621 cod. civ. , in tema di riparazioni nell’ambito del contratto d’affitto , erroneamente era stato ritenuto come norma inderogabile con conseguente falsa applicazione di essa e ricaduta sul piano della valutazione delle clausole contrattuali 17 e 5.
la Corte d’appello di Trento in sede di rinvio con sentenza pubblicata l ‘8.2.2021 , revocato il decreto ingiuntivo, condannò Famiglia Costa di Costa RAGIONE_SOCIALE Matteo RAGIONE_SOCIALE al pagamento di euro 24.528,70, oltre interessi, in favore di RAGIONE_SOCIALE, compensando per un ottavo le spese di lite di tutte le fasi e ponendo il resi duo a carico dell’appella nte.
La Corte d’appello osservò , nel raccogliere l’opzione interpretativa prospettata nell’ordinanza di rinvio per escludere gli effetti “contagiosi” derivanti dall’erronea interpretazione dell’art. 2561 c. c. ( recte , 1621)
contenuta nella sentenza cassata, che la rilevata ambiguità delle clausole pattuite dovesse essere risolta alla luce di una lettura sistematica facente leva sul favor accordato alla parte affittuaria, con la conseguenza che le spese di manutenzione e riparazione ordinaria (oltre che straordinaria) sarebbero state a carico – in genere – della parte affittante, come previsto dall’art. 17, spettando all’affittuaria soltanto quelle di piccola manutenzione ordinaria, salvi tuttavia quegli interventi di “ordinaria manutenzione, quale la tinteggiatura dei locali interni, la riparazione e/o la sostituzione dei vetri, serrature, nonché ogni altra piccola riparazione e manutenzione delle attrezzature, degli impianti elettrici, termici ed igienico sanitari che si rendessero necessarie nel corso della gestione’, a chiare lettere ‘isolati’ dalla disciplina generale correlata al discrimine tra piccola manutenzione e manutenzione ordinaria dei beni aziendali, e – in modo del tutto inequivoco – stabiliti a carico dell’affittuaria.
Interpretazione , quest’ultima, corroborata dal comportamento delle parti, posto che l’affittuaria non ebbe mai a richiedere all’affittante di provvedere alla tinteggiatura dei locali interni, né a chiedere il rimborso della spesa effettuata giusta fattura del 10.7.2011 nella lettera del 28.2.2014 di recesso anticipato, mentre in quella del 14.7.2013, in risposta al sollecito del pagamento del canone, l’affitt uaria lamentò la mancata effettuazione di «manutenzione straordinaria» (con riferimento ai poggioli ed alle pavimentazioni di linoleum degli stessi, per la moquette, per i pavimenti di arredi, per le condizioni di caldaia ed impianto di riscaldamento, per dotazioni di cucina “e tanto altro ancora”).
La Corte d’appello, tuttavia, notò che le molteplici inadempienze lamentate dall’affitt uario consistevano in ‘carenti od insufficienti dotazioni della struttura alberghiera’ , le cui condizioni erano note e accettate. L’affitt uaria era perfettamente in grado di apprezzare il modesto stato delle strutture dell’albergo nonché le specifiche dotazioni aziendali, essendo impresa già operante nel settore alberghiero (all’epoca la predetta gestiva un altro albergo, posto nelle immediate vicinanze, nel medesimo piccolo e rinomato centro montano di Pinzolo), e consapevole della concreta
consistenza del ‘RAGIONE_SOCIALE‘, avviato da anni ma in strutture ormai ‘datate’ e preso in affitto verso un corrispettivo annuale, non «svantaggioso» di euro 25.000.
In particolare:
-la doglianza circa l’insufficiente dotazione di uno dei due appartamenti, poiché privo di cucina, era pretestuosa e contraria alla piana interpretazione delle clausole contrattuali, trattandosi di una carenza mai lamentata fino alla missiva di recesso del 28.2.2014, dopo che il contratto nel 2011 era stato rinnovato per un secondo triennio e l’azienda era stata fin dall’inizio accettata con impianti e dotazioni così come esistenti ;
-la mancanza di un forno per colazioni, di una macchina lavabicchieri, dell’insufficiente numero di estintori e relativa segnaletica (per il cui acquisto l’opponente aveva documentato solo un preventivo) nonché l’insufficiente dotazione di teli ed asciugamani et similia (per i quali erano state prodotte due fatture, la prima delle quali, di importo più rilevante, di data 1.12.2009, risultava peraltro intestata all’albergo ‘Chalet Fiocco di Neve’, che nulla atteneva con il giudizio);
-la doglianza relativa alla condizione dei balconi, non essendo il locatore tenuto ad interventi di rifacimento delle strutture, era stata vagamente accennata solo nella raccomandata del 14.7.2013; in ogni caso l’affittuaria non aveva fatto alcuna allegazione in ordine alla gravità della condizione degli stessi e a eventuali conseguenze subite per l’impedimento anche parziale al loro uso; all’epoca del rilascio della concessione edilizia (14.6.1989) non era in vigore il D.M. 14.6.1989 imponente l’altezza minima del parapetto di un metro e l’istruttoria orale aveva permesso di accertare le non buone condizioni delle parti lignee dei balconi (non oggetto tuttavia di alcuna concreta verifica peritale), ma tali da non apparire sufficientemente circostanziate, sì che gli interventi manutentivi disposti dalla proprietà successivamente alla riconsegna (per adeguare l’altezza dei poggioli e sostituire le parti degradate a cause delle intemperie, oltre alla
tinteggiatura esterna) non potevano costituire di per sé un dato denotante un’intollerabile inadempienza alle obbligazioni contrattuali ;
-la doglianza relativa alla canalizzazione delle acque piovane sulla INDIRIZZO era inconsistente, da tempo superata, ed afferiva alla condizione di una strada pubblica come ben noto all’affittuaria in base alla missiva del 9.3.2009 , nella quale auspicava un accordo con l’amministrazione comunale di Pinzolo;
-i pannelli solari collocati sul tetto erano stati riparati dall’ impiantista COGNOME a cura e spese dell’affittante ; la staccionata del parcheggio (questione minimale e rientrante nell’ambito della piccola manutenzione ) era stata riparata , ‘tanto che in seguito non vi furono più lamentele al riguardo da parte dell’affittuaria (che anzi sul punto ebbe a rassicurare controparte: cfr. la citata missiva 14.7.2013), senza allegazione di esborsi o inconvenienti di sorta’.
In ordine all ‘impianto di riscaldamento, la Corte d’appello esclusa la rilevanza delle doglianze relative al sistema di regolazione nelle singole camere , dato che l’affittante non aveva assunto l’obbligo di modificare l’impianto esistente , in relazione alle segnalazioni fatte (per il mal funzionamento dell’impianto, della centralina, delle regolazioni impostate in alcune stanze), fu fatto reiteratamente ricorso alle prestazioni dell’impiantista COGNOME come da questi testimoniato in giudizio, per le riparazioni/regolazioni del caso, il tutto senza alcun esborso per l’affittuaria, la quale nessuna spesa aveva allegato e documentato.
La Corte d’appello ritenne che, non essendo ipotizzabile l’apertura di un albergo montano durante la stagione invernale, in una località sciistica, senza un adeguato riscaldamento in tutte le stanze, doveva presumersi che l’impianto fosse regolarmente funzionante: l’affittuaria non aveva in alcun modo documentato spese di riparazione e, sostanzialmente, chiedeva il risarcimento del danno per il maggior costo di esercizio sulla base di una sommaria consulenza di parte.
Conclusivamente , la corte evidenziò che erano addebitabili all’affittante ‘ alcuni modesti interventi omessi che ben avrebbero potuto trovare ristoro in via compensativa nell’ambito di una normale rendicontazione di dare ed avere al termine dell’affittanza’ : sostituzione del televisore della sala bar (euro 806,60); sostituzione della moquette «alquanto rovinata» (euro 124,80); sostituzione di alcune reti rotte (euro 188); sostituzione della scheda di una lavatrice (euro 310), esclusa la sostituzione di una guarnizione quale piccola riparazione a carico dell’affittuaria .
Tali modeste spese, peraltro, mai pretese prima del giudizio, non avrebbero mai potuto giustificare la sospensione dell’obbligo del pagamento del canone, non apparendo la dedotta eccezione ex art. 1460 cod. civ. supportata dalla buona fede e dalla proporzionalità tra le contrapposte inadempienze. Secondo la corte territoriale ‘ l’eccezione di inesatto adempimento si appalesa assolutamente sproporzionata alle carenze -non certo gravi -dovute a mancate riparazioni/sostituzioni (in gran parte ovviate dall’affittuaria stessa con esborsi estremamente contenuti) da parte della società concedente, a fronte di un godimento pieno e senza limitazioni dell’azienda (mai è stata ipotizzata ad esempio l’inagibilità dei su citati balconi, pur malandati e non «a norma») ‘ . Aggiunse ancora la Corte d’appello che il rifiuto di adempiere, adombrato nella comunicazione di recesso del 28.2.2014, ‘fu subito attuato in vista dell’anticipata scadenza del rapporto, con l’effetto di lasciare del tutto insoluti i canoni maturati fin dal novembre 2013’ .
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre RAGIONE_SOCIALE Costa RAGIONE_SOCIALE Costa RAGIONE_SOCIALE Matteo RAGIONE_SOCIALE, sulla base di cinque motivi. Risponde con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciat o, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatti decisivi e risultanze istruttorie (documentali e orali) al fine di valutare la situazione dell’impianto termico alla luce del principio espresso dalla Corte.
La ricorrente, quanto alla valutazione in merito al funzionamento dell’impianto di riscaldamento, lamenta che la Corte d’appello ‘se avesse esaminato alcuni fatti decisivi (documentali e testimoniali) sarebbe dovuta giungere a conclusioni diverse’. Il contratto d’affi tto fu stipulato il 26.11.2008 quando l’albergo era chiuso , per essere terminata la stagione turistica estiva, mentre quella invernale sarebbe ripresa non prima di Natale, sì che il regolare funzionamento dell’impianto non era riscontrabile e , quand’anche fosse stata fatta una prova, non sarebbero state sufficienti alcune ore di esercizio.
La Corte d’appello ha sostenuto che la prima lamentela sarebbe stata fatta nella missiva del 2013, ma non aveva considerato quanto comunicato il 9.3.2009 ed il 7.11.2009 e le dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME a proposito dei continui blocchi della caldaia e delle lamentele riguardo al consumo di gasolio. La Corte d’appello, inoltre, aveva omesso di considerare la perizia circa le deficienze riscontrate quale elemento concordante con le prove orali, mentre avrebbe dovuto dar corso ad una C.T.U. sulla funzionalità dell’impianto , attribuendo, invece, rilievo alle dichiarazioni del teste ( realizzatore dell’impianto ) COGNOME il quale aveva ammesso di non aver avuto con il COGNOME un buon rapporto.
La vetustà dell’impianto, sostenuta dalla Corte d’appello, oltre che priva di riscontri, era stata contraddetta dal COGNOME, il quale aveva riferito che la caldaia era stata montata solo 45 anni prima dell’a rrivo del Costa. Con il che non si sarebbe potuto prescindere da quanto indicato nell’art. 4 del contratto di affitto: ‘l’azienda viene affittata funzionante e funzionale’ . Del tutto irrilevante era la circostanza che non fossero stati prodotti documenti di esborsi per la manutenzione, dato che essa era carico dell’affittante, salva la piccola manutenzione . La presunzione di funzionamento dell’impianto,
ammessa e non concessa, non aveva alcuna attinenza con la questione del maggior consumo di gasolio.
1.1. Il motivo è inammissibile poiché riferito a ll’asserito omesso esame degli esiti dell’istruttoria documentale ed orale, sulla cui base la Corte d’appello ‘sarebbe dovuta giungere a ben diverse conclusioni’.
Il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. nella sua attuale formulazione, invece, presuppone la sussistenza di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, non considerato dal giudice del gravame. La ricorrente non indica un fatto, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (e in tal senso va inteso, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, v., tra le molte, Cass., sez. VI-1, ord., 26 gennaio 2022, n. 2268, il fatto cui fa riferimento il n. 5 dell’art. 360 come novellato).
La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo ormai unanime, ha chiarito come non rientrino nella nozione di fatto: (a) le argomentazioni o deduzioni difensive; (b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti; (c) una moltitudine di fatti e circostanze o il vario insieme dei materiali di causa (v. Cass. civ., sez. I, ord., 29 febbraio 2024, n. 5375; Cass., sez. V, ord., 23 febbraio 2024, n. 4942; Cass., sez. III, ord., 15 febbraio 2024, n. 4163; Cass., sez. lav., ord., 22 gennaio 2024, n. 2226; Cass., sez. III, ord., 14 dicembre 2023, n. 35106). Da questo punto vista, pertanto, non avendo la ricorrente indicato il fatto decisivo pretermesso, tale intendendosi un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, v. Cass. 24 gennaio 2020, n. 12387; 16 gennaio 2020, n. 791; 8 settembre 2016, n. 1776; 26 luglio 2017, n. 18391.), nei sensi sopra precisati, il motivo si configura come inammissibile in quanto piega
verso un riesame del merito della decisione ben al di là del possibile controllo della motivazione limitato entro il «minimo costituzionale» ammesso dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass. civ., sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053/8054 ‘ è denunciab ile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione’ ).
La Corte d’appello , contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ha preso in esame la missiva del 9.3.2009 (mentre della missiva del 7.11.2009 la ricorrente ha omesso di procedere alla debita localizzazione ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ.) e a pagina 23 e seguenti si è soffermata, in modo puntuale, sul ‘più rilevante vizio lamentato, relativo alle carenze dell’impianto di riscaldamento’ , dando atto dei reiterati interventi fatti eseguire dall’impiantista tutti a carico dell’affittante , né ha ignorato il problema del «blocco» dell’impianto , rispetto al quale l’affittante non aveva assunto l’obbligo di modifica dell’impianto esistente .
La Corte d’appello, inoltre, non ha pretermesso la valutazione della consulenza di parte, in relazione alla quale ha riferito essere stata ‘redatta con metodo sbrigativo e sulla base di elementi nemmeno approfonditi dal perito, che si limitò ad analizzare la centrale termica, come dal medesimo dichiarato in sede testimoniale’ . Il giudice di seconde cure, premesso che l’affittante non aveva assunto un obbligo di modifica, la vetustà dell’impianto (e non della caldaia) realizzato a servizio della struttura era tale che ‘non vi è motivo per imputare alla parte concedente eventuali maggiori costi di gestione, rapportati al parametro di un consumo teorico ottimale, non essendo
ravvisabile uno specifico inadempimento, al riguardo, in capo a quest’ultima’ (v. pagina 25 della sentenza).
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
La ricorrente si duole che la decisione impugnata riporti che la struttura presentava uno stato modesto, era datata e l’affittuaria , che già svolgeva attività nello stesso settore, non poteva ignorare la vetustà dell’impianto di riscaldamento , ma in assenza di ‘domande od asserzioni’ sul punto da parte dell’affittante che aveva sempre sostenuto la perfetta efficienza dei beni aziendale invocando l’art. 4 del contratto. La Corte d’appello, pertanto, aveva rigettato ‘la maggior parte delle domande’ della (ora) ricorrente sulla base di un non dedotto stato precario dei beni e ‘su una sorta di tolleranza nel tempo di detta situazione di precarietà, modestia dei beni e vetustà’.
2.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, comma primo, n. 6, cod. proc. civ.
Quando sia denunciato un error in procedendo , come nel caso di specie, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di specificità del ricorso ex art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (v. Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771; 4 marzo 2005, n. 4741; 23 gennaio 2004, n. 1170).
Infatti, al fine del rispetto del principio di specificità, è necessario che il ricorso contenga l’indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il motivo e l’illustrazione del contenuto rilevante, provvedendo alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16 marzo 2012, n. 4220).
La ricorrente, tuttavia, non ha specificato, riportandone il contenuto, né localizzato con riferimento alle diverse fasi del giudizio, il contenuto delle allegazioni svolte da RAGIONE_SOCIALE in ordine alla condizione della struttura tenuto conto dell’epoca di realizzazione (in sentenza si legge di una concessione edilizia del 1989, v. pagina 22), e della complessiva strutturazione del sinallagma contrattuale.
Con il terzo motivo si denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame delle risultanze istruttorie al fine di valutare lo stato dei poggioli alla luce del principio espresso dalla Corte.
La ricorrente, premesso che le censure relative ai poggioli non erano state denunciate solo con la raccomandata del 14.7.2013, ma già con le lettere del 9.3.2009 e del 20.3.2010, lamenta che La Corte d’appello non avrebbe considerato quanto riportato in sede testimoniale e l’intervento di manutenzione straordinaria effettuato dopo la cessazione del contratto del costo di euro 11.000 per il rifacimento del parapetto, non a norma di legge, e per la presenza di parti ‘totalmente marce’.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Richiamato quanto detto nel paragrafo 1.1. in ordine alla modalità di deduzione del vizio ex art. 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ., dallo stesso tenore del motivo emerge pianamente come non sia oggi dedotto l’omess o esame di un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, ma si tenda ad un riesame della questione di fatto operata dal giudice del merito, tanto che si riporta nel corpo del motivo la motivazione espressa in sentenza, al fine di esprimere una censura afferente al merito della questione della eccepita inadempienza a carico dell’affittante riguardo allo stato dei poggioli.
Con il quarto motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 1621 cod. civ.
La ricorrente sempre con riferimento ai poggioli si duole della decisione della Corte d’appello, la quale erroneamente, in base all’art. 1621 cod. civ. e all’art. 17 del contratto, avrebbe ritenuto di escludere dal novero della manutenzione straordinaria gli interventi di rifacimento necessari in base alle
risultanze della prova testimoniale e di adeguamento della normativa edilizia (D.M. 14.6.1989).
4.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, 4, cod. proc. civ.
La ricorrente ha censurato la decisione della corte, là dove a pagina 21 ha precisato che il locatore non era tenuto a realizzare interventi di rifacimento delle strutture (dei poggioli), nonostante lo stato di degrado descritto dai testi ed il mancato adeguamento dell’altezza minima d ei parapetti prevista dal D.M. 14.6.1989.
La ricorrente, tuttavia, non si è confrontata con l ‘intera ratio decidendi enunciata dalla Corte d’appello a pagina 21 e s., là dove si legge: ‘ anche in tal caso va notato che la segnalazione di problemi ai poggioli fu vagamente accennata, dopo anni, con la lettera raccomandata del 14 luglio 2013 sopra ricordata, non apparendo dunque decisivo il fatto che la società concedente intese procedere agli occorrenti lavori di manutenzione non appena conseguito il rilascio dell’albergo (come documentato). In ogni caso, va aggiunto che l’Opponente non ha svolto alcuna specifica allegazione in ordine alla gravità delle condizioni dei poggioli in esame, e ad eventuali conseguenze dannose subite (di qualsivoglia natura: ad esempio per un impedimento anche parziale all’uso dei medesimi), in presenza di una problematica denunciata – come già detto – solo nell’ultimo periodo dell’affittanza, quando i rapporti tra le parti avevano preso una piega critica, essendosi verosimilmente ormai guastati. Si osserva, per completezza di motivazione, che all’epoca del rilascio della concessione per la costruzione dell’immobile, in data 14 giugno 1989, non era ancora in vigore il d. m. 14/6/1989, che imponeva il rispetto dell’altezza minima del parapetto di un metro (l’altezza del parapetto dei poggioli risultava inferiore); va aggiunto che le dichiarazioni testimoniali si sono limitate ad una conferma delle non buone condizioni delle parti lignee dei balconi (non oggetto tuttavia di alcuna concreta verifica peritale), ma non appaiono sufficientemente circostanziate, di tal che gli interventi manutentivi disposti dalla proprietà successivamente alla riconsegna (per adeguar e l’altezza dei
poggioli e sostituire le parti degradate a cause delle intemperie, oltre alla tinteggiatura esterna: v. doc. 19 Opponente) non possono costituire di per sé un dato che denota un’intollerabile inadempienza alle obbligazioni contrattuali ‘.
Di qui l’inammissibilità del motivo svolto, giusta il principio di diritto consolidato affermato da Cass. n. 359 del 2005 (Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.), ribadito, ex multis , da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017; da ultimo da Cass. n. 1341 del 2024.
La ricorrente, invece, avrebbe dovuto spiegare più dettagliatamente la ragione in base alla quale l’interpretazione della fattispecie astratta dell’art. 1621 cod. civ., alla luce del D.M. 14.6.1989, che solo incidentalmente viene evocato, avrebb e reso necessario a carico dell’affittante un intervento di «riparazione straordinaria» e non di «rifacimento delle strutture» come sostenuto dalla corte territoriale. A ciò si aggiunga come, nel contesto del prospettato inadempimento, la ricorrente avrebbe dovuto aggredire la decisione nella parte in cui è stata esclusa l’esistenza di un danno, a fronte dell’incidenza del lamentato inadempimento sul sinallagma contrattuale,
mentre quest’oggi si riferisce del disagio della clientela nell’uso dei poggioli e della cattiva pubblicità ‘foriera di perdite di clientela futura’, la cui deduzione si palesa come del tutto nuova.
Con il quinto motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 1460 cod. civ.; errato e omesso esame di risultanza istruttorie al fine di valutare l’eccezione di inadempimento.
La ricorrente rileva che l’eccezione di inadempimento fu accolta in primo grado e poi rigettata dalla Corte d’appello, ‘mentre non fu esaminata dalla Corte di Cassazione e della Corte d’Appello del rinvio perché ritenuta assorbita dalle rispettive decisioni …’ (pagina 15 del ricorso). Tuttavia, il rifiuto di adempiere da parte della ricorrente era stato coerente con le finalità dell’eccezione di inadempimento dovendosi accertare, sulla base del principio di buona fede oggettiva, se la condotta della parte inadempiente, abbia influito sull’equilibrio contrattuale , e quindi legittimato proporzionalmente la sospensione dell’adempimento dell’altra.
Sul piano temporale l’inadempienza dell’affittante , reiteratamente segnalata per iscritto, si era protratta per 69 mesi, mentre quella dell’affittuari a era stata di 10 mesi . Sul piano economico l’inadempimento dell’affittuari a , al netto dell’iva, era di euro 20.000 , mentre quello dell’affittante andava da un minimo di euro 25.000 ad un massimo di euro 90.000.
5.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
In disparte il profilo che la doglianza prospetta una omessa pronuncia, che, se tale fosse stata, avrebbe imposto la deduzione della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., il motivo, nonostante la sua lunga e complessa articolazione da pagina 15 a pagina 18 , è privo dell’identificazione della motivazione criticanda.
Nuovamente viene in rilievo il sopra riferito principio di diritto enunciato dalla citata Cass. 11 novembre 2005, n. 359.
La ricorrente ha in questo caso addirittura omesso di indicare la motivazione criticanda, così delegando inammissibilmente questa Corte ad individuare a che cosa dovrebbe riferirsi, mentre è onere del ricorrente provvedervi, atteso che per svolgere qualsiasi motivo di impugnazione, che si correli alla motivazione della decisione impugnata, è necessario identificare quest’ultima. Per contro, la ricorrente ha ricostruito, peraltro senza procedere alla debita localizzazione ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., delle riferite numerose contestazioni fatte per iscritto nel corso degli anni, i termini per il riesame del merito, che chiede quest’oggi di effettuare, per la valutazione comparata dei pretesi reciproci inadempimenti, ma lo ha fatto senza indicare la motivazione oggetto di censura.
Si consideri, ancora, che con riguardo all’eccezione di inadempimento in esordio del motivo la ricorrente così si è espressa : ‘La nostra eccezio ne di inadempimento fu accolta in primo grado e disattesa in secondo, mentre non fu esaminata dalla Corte di Cassazione e da lla Corte d’appello del rinvio perché ritenuta assorbita dalle rispettive decisioni . Viene quindi da noi riproposta’ (pagina 15 del ricorso).
Erroneamente si parla di ‘riproposizione’ come se essa fosse possibile in questa sede, mentre sarebbe stato necessario, al fine del rispetto del principio di specificità, dire se e dove la questione era stata mantenuta davanti al giudice del rinvio, il quale, peraltro, a pagina 28 si è occupato dell’eccezione di inesatto adempimento.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma
del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della