Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19390 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19390 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Corato, in persona del legale rappresentante sig. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME COGNOME.
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresenta e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME
Controricorrente-Ricorrente incidentale
avverso la sentenza n. 1255/2020 della Corte di appello di Bari, depositata il 3.7.2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20.6.2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa e ragioni della decisione
Con sentenza n. 1255 del 3.7.2020 la Corte di appello di Bari, in integrale riforma della decisione di primo grado, revocò il decreto ingiuntivo che aveva intimato a RAGIONE_SOCIALE il pagamento della
somma di euro 24.896,00 in favore di RAGIONE_SOCIALE, quale saldo del corrispettivo per la fornitura di attrezzature per la lavorazione dell’uva da vino. La Corte di merito motivò la decisione sulla base della considerazione che la società opposta non aveva adempiuto all’obbligo da essa assunto, con atto del 26.11.2008, di eliminare i vizi e difetti del materiale installato e di rinviare il pagamento del saldo all’esito della riparazione, affermando, diversamente da quanto ritenut o dal tribunale, l’efficacia di tale impegno anche in assenza della accettazione espressa della controparte. Rigettò altresì la domanda avanzata dalla opponente di risarcimento dei danni consistiti nei costi dalla stessa sopportati per la realizzazione dei lavori non eseguiti da RAGIONE_SOCIALE, indicati in euro 19.235,00, e dell’ulteriore danno arrecato dal suo inadempimento.
Per la cassazione di questa sentenza, ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE affidato a tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso e ricorso incidentale condizionato, sulla base di tre motivi, cui ha replicato con controricorso la ricorrente principale.
RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
Il primo motivo del ricorso principale proposto da RAGIONE_SOCIALE, che denuncia vi olazione dell’art. 112 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere revocato il decreto ingiuntivo reputando fondata l’eccezione di inadempimento formulata dalla opponente, nonostante essa avesse dedotto in appello di avere provveduto ad affidare i lavo ri di riparazione del materiale fornito dall’opposta ad altra ditta, così manifestando il suo sopravvenuto disinteresse all’esecuzione della prestazione gravante sulla contr oparte. La proposizione dell’eccezione di inadempimento presuppone, infatti, la persistenza dell’interesse della parte all’esecuzione della prestazione, che nella specie era venuto meno. L’eccezione era altresì inconciliabile, dal punto di vista logico e giuridico, con la richiesta di risarcimento dei danni, indicati nei costi affrontati per far eseguire da un terzo la prestazione non eseguita.
La Corte di appello non avrebbe pertanto potuto revocare il decreto ingiuntivo opposto in ragione di una eccezione che aveva ormai perso la sua ragion d’essere.
Il motivo è infondato.
Dalla lettura della sentenza risulta chiaramente che la Corte di appello ha revocato il decreto ingiuntivo opposto per la ragione che la ingiungente, con la comunicazione inviata alla controparte in data 26.11.2008, aveva espressamente riconosciuto che il materiale fornito presentava vizi e difetti e si era assunta l’obbligo di provvedere alle riparazioni necessarie, s enza poi, pacificamente, provvedervi e che RAGIONE_SOCIALE aveva opposto al credito di pagamento del prezzo vantato nei suoi confronti proprio tale inadempimento. Ora, la circostanza che nel corso del giudizio, la opponente, come riferito nello stesso ricorso principale, nell’approssimarsi della vendemmia 2011 e per evitare l’aggravamento del danno, perdurando l’inadempimento dell’opposta, a vesse provveduto a far eseguire i lavori di riparazione ad altra impresa, non implicava affatto alcuna rinuncia ad opporre il dedotto inadempimento, ma semmai lo rendeva definitivo. Certamente non ne eliminava la rilevanza ai fini della risoluzione della controversia in corso, consentendo alla opposta di pretendere il prezzo nonostante il suo acclarato inadempimento, tenuto conto che la opponente aveva tenuto ferma la sua domanda di risarcimento dei danni, che quantificava negli esborsi sopportati per le suddette riparazioni. Non sussisteva, pertanto, alcuna incompatibilità tra l’eccezione di inadempimento e la richiesta di risarcimento dei danni, trovando essa causa proprio nell’inadempimento opposto.
L’eccezione di inadempimento si configura come un potere di autotutela che legittima, nei contratti a prestazioni corrispettive, la sospensione dell’esecuzione della prestazione della parte non inadempiente a fronte dell’inadempimento dell’altro contraente. L’inadempimento che giustifica il ricorso all’eccezione può essere anche definitivo, se la prestazione non eseguita non possa, per fatti sopravvenuti, essere più adempiuta, conservando in tale ipotesi il suo contenuto sostanziale di contestazione del fatto costitutivo del diritto di credito vantato dall’altra parte. Tanto più nel caso in cui, a fronte della insistenza dell’altro contraente di ottenere la prestazione convenuta in contratto, l’eccipiente vanti, a causa dell’inadempimento, il diritto al risarcimento dei danni. La pretesa risarcitoria, in tale evenienza, è esercitata in luogo del diritto a ricevere la
prestazione originaria, ormai non più possibile, risolvendosi nella richiesta di ottenere, quanto meno, il suo equivalente monetario. Ne discende l’interesse del convenuto a tenere ferma l’eccezione sollevata, a fronte del mancato adempimento della controparte dell’obbligo di risarcire il danno, che ha sostituito la prestazione originaria ormai non più possibile per sua colpa.
Non si rinviene pertanto, nella decisione impugnata, alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pro nunciato, sancito dall’art. 112 c.p.c. . 3. Il secondo motivo del ricorso principale, proposto in via subordinata, denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., assumendo che la Corte di appello avrebbe dovuto respingere l’eccezione di inadempimento sollevata dalla controparte, avendo essa dimostrato, con il suo comportamento successivo, di non avere più interesse all’esecuzione, da parte della appellata, dei lavori di riparazione dei beni forniti.
Il motivo, che attacca sotto un diverso profilo, la ratio della decisione impugnata investito dal motivo precedente, è infondato per le ragioni sopra esposte. Il sopravvenuto disinteresse della opponente all’adempimento tardivo manifesta solo il carattere definitivo dell’inadempimento consumato dalla controparte, ma certo non ne elimina la rilevanza sulle contrapposte pretese delle parti, tenuto conto della domanda di risarcimento dei danni avanzata dalla società acquirente.
Il terzo motivo del ricorso principale denuncia, in via di ulteriore subordine, violazione dell’art. 1460 c.c., lamentando che la Corte di appello abbia revocato il decreto ingiuntivo sulla base della mera considerazione che la società non aveva adempiuto all’obbligo assunto di riparazione dei beni, attribuendo a tale fatto effetti liberatori sulla intera obbligazione gravante sulla acquirente di pagamento del residuo prezzo, tanto più che il giudicante ha poi respinto la domanda di risarcimento dei danni della controparte. Così decidendo il giudice ha infatti conferito un indebito arricchimento alla controparte, liberandola completamente dalla obbligazione non adempiuta.
Il motivo è fondato.
La Corte di appello, accertato che società venditrice aveva espressamente assunto l’obbligo di riparare i beni forniti, così riconoscendo la sussistenza dei
vizi e dei difetti lamentati dalla acquirente, e che non vi aveva adempiuto, ha revocato in toto il decreto ingiuntivo, escludendo per l’effetto la sussistenza del credito della venditrice per un importo inferiore. La conclusione in ordine alla totale revoca del decreto ingiuntivo non appare però corretta, in quanto il giudicante avrebbe dovuto porre a raffronto la consistenza dei rispettivi crediti vantati dalle parti, quello della ingiungente di pagamento del residuo prezzo e quello della ingiunta per la diminuzione di valore dei beni, in quanto difettosi, e di ristoro delle spese sostenute per la loro eliminazione. In particolare, la revoca del decreto non appare giustificata alla luce dei dati che emergono dalla stessa sentenza, tenuto conto, da un lato, che il credito azionato dalla società RAGIONE_SOCIALE era pari a euro 24. 896,00 e, dall’altro, che la RAGIONE_SOCIALE aveva lamentato, per le riparazione, l’esborso, minore rispetto al suo debito, di euro 19.235,00. La revoca totale del decreto ingiuntivo, non seguita dalla condanna della opponente al pagamento di un importo inferiore, avrebbe infatti potuto giustificarsi se il controcredito opposto dalla ingiunta fosse stato di importo uguale o superiore, evenienza però esclusa dalla stessa Corte di appello, che ha negato l’esistenza di poste di credito ulterior i della società opponente rispetto agli esborsi sopportati, respingendo la sua domanda di risarcimento dei danni ulteriori.
La questione appare strettamente collegata al primo motivo del ricorso incidentale, che si esamina congiuntamente.
Con esso RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1460, 1218 e 1223 c.c., censurando il capo della sentenza impugnata che ha rigettato la sua domanda di risarcimento dei danni, sul presupposto che essa fosse generica e che l’esborso di euro 19.235,00 sopportato dalla odierna ricorrente per la riparazione, ad opera di altra ditta, dei riconosciuti vizi e difetti dei beni forniti dalla controparte non costituisse danno, rappresentando l’equivalente del corrispettivo che l’ acquirente avrebbe dovuto versare a fronte degli interventi che la RAGIONE_SOCIALE si era impegnata ad eseguire. Si assume l’erroneità di questa decisione, non avendo la Corte di appello considerato che i suddetti esborsi costituivano diretta conseguenza dell’inadempimento della controparte.
Anche questo motivo è fondato.
Le spese che l’acquirente ha affrontato o deve sopportare per l’eliminazione di vizi e difetti del bene venduto a fronte dell’inadempimento del venditore dell’obbligo da lui assunto di eliminarli costituiscono infatti un danno che consegue direttamente dall’inadempimento, risolvendosi in esborsi di denaro, cioè in perdite patrimoniali, che rientrano nella categoria del c.d. danno emergente, ai sensi dell’art. 1223 c.c.. La decisione impugnata, che ha rigettato la relativa richiesta, negando alla perdita subita natura di danno risarcibile, è pertanto giuridicamente errata.
In realtà, dalla lettura della sentenza e in particolare dalla considerazione che la Corte di appello ha motivato il rigetto affermando che tale esborso ‘ rappresenta sostanzialmente l’equivalente (ancorché più vantaggioso rispetto al saldo prezzo spettante all’appellata) del corrispettivo che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe comunque dovuto versare alla Sidercamma a fronte degli interventi che quest’ultima si era impegnata ad eseguire ‘ , potrebbe anche ricavarsi la conclusione che tale controcredito non sia stato affatto disconosciuto, ma di esso si sia tenuto conto ai fini della revoca del decreto ingiuntivo. La motivazione sul punto appare peraltro non priva di incertezze. A parte la motivazione sopra esposta, ciò che non è dato comprendere è quale sia stata effettivamente la conclusione accolta, se vale a dire la Corte di appello abbia respinto la domanda di rimborso dei costi di riparazione considerandola inclusa nella già disposta revoca del decreto ingiuntivo ovvero per avere negato a tali esborsi natura risarcitoria . In ogni caso il capo della decisione impugnato ripete l’errore già evidenziato nell’esame del terzo motivo del ricorso principale, per non avere la Corte proceduto, ai fini della decisione, ad un raffronto tra i crediti che le parti si sono reciprocamente opposti.
6. Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione circa il difetto di prova del danno di cui la parte aveva chiesto di essere risarcita, prova che invece risulterebbe dalle fatture relative ai lavori sostitutivi eseguiti da altra impresa.
Il motivo va dichiarato assorbito stante l’incertezza sopra evidenziata delle conclusioni accolte dalla Corte di appello.
Merita aggiungere che l’ affermazione con cui la Corte di appello ha respinto la domanda dell ‘ appellante di risarcimento dei danni, quantificati, per intero, nell’importo di euro 25.350,00 , ritenendola generica e non sostenuta da prova, non appare chiaramente formulata con riguardo alla domanda di rimborso dei costi di riparazione, che del resto era determinata con riguardo alla causa petendi ed al petitum , ma appare riferibile esclusivamente alla richiesta di risarcimento del danno ulteriore, per inutilizzabilità temporanea dei beni. Dalla lettura della sentenza risulta, infatti, che la Corte ha valutato separatamente le due domande e che la prima, concernente il rimborso dei costi sostenuti, è stata respinta specificatamente per avere la Corte escluso che l’esborso di cui si tratta configurasse un danno risarcibile, mentre il giudizio sulla genericità della pretesa e della mancanza di prova è ripetuto esclusivamente con riguardo alla richiesta di risarcimento del danno ulteriore.
Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione dell’art. 1226 c.c., censurando il capo della sentenza che ha respinto la domanda del l’ appellante di risarcimento del danno ulteriore rispetto ai costi di riparazione dei beni, quantificato in euro 6.000,00. La Corte di appello ha motivato il rigetto rilevando che la domanda era generica e comunque del tutto sfornita di prova, laddove avrebbe dovuto tener conto del pregiudizio consistito nella inutilizzabilità dei beni per un lungo periodo e ricorrere, quanto alla liquidazione, ad una valutazione equitativa.
Il motivo è inammissibile.
Innanzitutto perché la censura è generica, non indicando esattamente gli elementi di fatto posti a fondamento della domanda di danni, con riguardo all’incidenza dei vizi sulla dedotta inutilizzabilità dei beni, il periodo in cui essa si sarebbe protratta ed i criteri utilizzabili per la liquidazione in via equitativa del danno.
In secondo luogo, in quanto investe valutazioni di fatto, di competenza esclusiva del giudice, come tali sottratte al controllo del giudice di legittimità
8. In conclusione, sono accolti il terzo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, dichiarato assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale e rigettati gli altri motivi. La sentenza va pertanto cassata in
relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 giugno 2025.