Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 663 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 663 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30139/2022 R.G. proposto da:
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale: EMAIL
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE e, per essa, RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso con ricorso incidentale, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale: EMAIL
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Venezia n. 2089/2022, pubblicata in data 30 settembre 2022 e notificata in data 11 ottobre 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 novembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo, emesso dal Tribunale di Venezia su istanza di RAGIONE_SOCIALE, che agiva quale mandataria di Credit Agricole Friuladria RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE con cui si chiedeva il pagamento della somma di euro 99.466,82, oltre interessi, quale esposizione del conto corrente n. 46578233 intestato a Venezia-Mestre RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita, di cui gli opponenti erano fideiussori.
Eccepivano l’inefficacia della fideiussione per avere la opposta concesso alla debitrice principale finanziamenti ed aperture di credito pur nella consapevolezza della sua precaria condizione economica, la mancanza di allegazione documentale circa gli affidamenti concessi alla debitrice principale, nonché l’applicazione al conto corrent e di interessi anatocistici, usurari ab origine e di spese non pattuite.
Costituitasi la Banca opposta, interveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE in qualità di mandataria di RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito oggetto di giudizio; con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, n. 6, cod. proc. civ., gli opponenti eccepivano pure la nullità parziale della clausola di rinuncia al termine di decadenza ex art. 1957 cod. civ. e la conseguente inefficacia delle fideiussioni per spirare del termine semestrale, in quanto stipulate in violazione dell’art. 2, comma 2, lett. a) , legge n. 287/90.
Il Tribunale adito rigettava l’opposizione, accertando il carattere autonomo della garanzia, il difetto di allegazione e prova della presunta usurarietà dei tassi di interesse applicati, oltre che il difetto di prova della eccepita nullità delle garanzie per violazione della normativa antitrust , non avendo gli opponenti prodotto il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia ed il modulo di fideiussione predisposto dall’ABI.
La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia che, in sintesi, ha rilevato che:
i contratti oggetto di causa erano da qualificarsi quali fideiussioni omnibus , non essendo sufficiente a qualificare il negozio quale contratto autonomo di garanzia la presenza della clausola di pagamento ‹‹ a semplice richiesta scritta ›› ;
b) le fideiussioni erano valide ed efficaci in quanto: i) da un lato, la presenza delle tre clausole dello schema ABI censurato non determinava nullità totale delle fideiussioni, ma solo delle clausole censurate e (ii), dall’altro, che l’eccezione di cui all’art. 1957 cod. civ. , in quanto eccezione di decadenza, non era rilevabile d’ufficio e, di conseguenza, che l’allegazione di estinzione della fideiussione era stata tardivamente svolta dagli opponenti solo con la memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.;
la clausola anatocistica era stata pattuita e la commissione di massimo scoperto era stata contrattualizzata in modo determinato;
la contestazione di usurarietà degli interessi era generica e tale da rendere inammissibile la richiesta di c.t.u.;
la Banca aveva offerto prova documentale del contratto di conto corrente e degli affidamenti in relazione ai quali aveva fatto valere la propria pretesa creditoria.
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per la cassazione della suddetta decisione, affidandosi a quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, con un unico motivo.
I ricorrenti resistono con controricorso al ricorso incidentale.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale, in prossimità della quale le parti ricorrenti e la controricorrente hanno depositato rispettiva memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale è censurata la decisione impugnata, per violazione degli artt. 101, 112, 113 e 324 cod. proc. civ., per avere la corte territoriale rilevato la tardività dell’eccezione di decadenza ex art. 1957 cod. civ., perché formulata solo con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., in violazione del giudicato interno che si sarebbe formato, all’esito del giudizio di primo grado, sulla tempestività della relativa eccezione.
I ricorrenti sostengono che la valutazione della tempestività dell’eccezione di estinzione della fideiussione era preclusa al giudice del gravame, in quanto, seppure implicitamente rigettata, non era stata espressamente esaminata dal giudice di primo grado e non aveva costituito oggetto di specifico motivo di impugnazione.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. La Corte territoriale ha rilevato che l’eccezione ex art. 1957 cod. civ., che è eccezione di merito, integra eccezione di decadenza, come tale non rilevabile d’ufficio, che avrebbe dovuto essere fatta valere dagli odierni ricorrenti con il primo atto difensivo e non già con la memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., così ponendosi in linea con quanto già affermato da Cass. 17/06/1963, n. 1613 e, di recente, da Cass. 22/02/2019, n. 4373; Cass. 14011/2024 e Cass. n. 11619/2024.
Emergendo dalla stessa sentenza impugnata (v. pag. 11 della motivazione) che il giudice di primo grado si è limitato ad esaminare
l’eccezione di nullità delle fideiussioni per violazione della normativa antitrust , rigettandola per mancata allegazione e prova degli elementi costitutivi, senza pronunciarsi sulla eventuale tardività della eccezione di decadenza, non può ritenersi formato alcun giudicato implicito in relazione alla tempestività della proposizione della eccezione, che ben poteva dunque essere presa in esame dal giudice del gravame.
Soccorre, al riguardo, il principio secondo cui la tardività di un’eccezione in senso stretto, non rilevata né dalla controparte né dal giudice di ufficio nel processo di primo grado, può essere valutata di ufficio dal giudice di appello poiché la parte, vittoriosa in primo grado anche su tale eccezione, non ha l’onere di impugnazione incidentale o di riproposizione della questione, non formandosi, quindi, un giudicato implicito sul punto (Cass., sez. 3, 21/02/2020, n. 4689; Cass., sez. U, 25/05/2018, n. 13195; Cass., sez. 3, 01/12/2023, n. 33649).
2. Con il secondo motivo, denunziando la nullità della sentenza e la violazione e falsa applicazione dell’art. 101, secondo comma, c od. proc. civ., i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello ha rilevato d’ufficio la tardività dell’eccezione di decadenza ex art. 1957 cod. civ., senza assegnare alle parti un termine per contraddire su tale specifica questione.
La censura è infondata.
Invero, l’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio, stabilito dall’art. 101, secondo comma, od. proc. civ., non riguarda quelle di solo diritto, ma quelle di fatto ovvero quelle miste di fatto e di diritto, che richiedono non una diversa valutazione del materiale probatorio, bensì prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti ovvero una attività assertiva in punto di fatto e non già mere difese (Cass., sez. 3, 09/01/2024, n. 822; Cass., sez. L, 19/07/2023, n. 21314; Cass., sez. 3, 05/05/2021, n. 11724; Cass., sez. U, 30/09/2009, n. 20935).
La questione rilevata d’ufficio dal giudice d’appello è una questione processuale di puro diritto e, non implicando l’accertamento di alcuna circostanza di fatto, non imponeva l’obbligo di stimolare il contraddittorio.
Con il terzo motivo, censurando la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1957, primo comma, 2697, secondo comma, 2969 cod. civ., 112 cod. proc. civ., i ricorrenti contestano alla Corte d’appello di avere qualificato l’eccezione di decadenza ex art. 1957 cod. civ. come eccezione in senso stretto, sancendone la tardività in quanto proposta solo con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., senza avere valutato che detta eccezione poteva essere utilmente sollevata solo previa declaratoria di nullità di specifica clausola del contratto di fideiussione.
La accertata natura di eccezione di decadenza propria di quella prevista dall’art. 1957 cod. civ. non muta per il solo fatto che essa possa essere invocata quale conseguenza della declaratoria di nullità parziale della clausola contrattuale che vi deroga e, pertanto, non toglie che l’eccezione di decadenza soggiace alle preclusioni processuali proprie delle eccezioni in senso stretto.
La declaratoria di nullità di una clausola contrattuale ha natura di accertamento meramente dichiarativo e non ha effetti costitutivi e, pertanto, l’eccezione di decadenza poteva e doveva essere sollevata prima che fosse eventualmente dichiarata la nullità.
Con il quarto motivo, rubricato: art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. -Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 117 t.u.b. e 1346 cod. civ. e dell’art. 1418 c od. civ. in relazione all’art. 1325 c od. civ. -i ricorrenti attingono la statuizione di ritenuta validità della pattuizione della commissione di massimo scoperto contenuta nel contratto di conto corrente. Rimarcano come detta pattuizione
dovesse, al contrario, ritenersi nulla per assenza di causa, in quanto si sostanziava in un ulteriore e non pattuito addebito di interessi corrispettivi rispetto a quelli convenzionalmente pattuiti per l’utilizzazione dell’apertura di credito, e assolutamente indeterminata, visto che non consentiva al cliente di avere esatta contezza del suo effettivo contenuto e del suo ‘peso’ economico.
4.1. Il motivo è inammissibile.
4.2. I ricorrenti fanno riferimento al contenuto di clausola contrattuale che non riportano debitamente nel ricorso, in spregio del principio espresso dalle Sezioni Unite in base al quale sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamarli, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469).
4.3. Per come formulata, la censura si traduce altresì in un ‘ inammissibile richiesta di nuova valutazione da parte di questa Corte di legittimità dei fatti già vagliati ed accertati dal giudice di merito.
N ell’esaminare il testo della clausola la corte d’appello ha disatteso la censura svolta così motivando: ‹‹ Quanto alla lamentata genericità della commissione di massimo scoperto, in quanto non indicante la percentuale, la base ed i criteri di calcolo, la doglianza è priva di pregio perché nel contratto è prevista l’applicazione della
commissione trimestrale sul massimo scoperto di conto corrente, con l’indicazione dell’aliquota (0,99%) e dei giorni di scoperto nel trimestre solare anche non consecutivi, che ne consentono l’agevole determinazione ››; in tal modo conformandosi all’orientamento di questa Corte, secondo cui deve considerarsi nulla per indeterminatezza dell’oggetto la clausola che preveda la commissione di massimo scoperto indicandone semplicemente la misura percentuale, senza specificare le modalità di calcolo e di quantificazione della stessa, posto che, in tal caso, il correntista non è, invero, in grado di conoscere quando e come sorgerà l’obbligo di dover corrispondere la suddetta commissione alla banca (Cass., sez. 1, 20/06/2022, n. 19825).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso principale.
5. Per effetto delle conclusioni raggiunte relativamente al ricorso principale deve ritenersi assorbita la doglianza prospettata con l’unico motivo del ricorso incidentale, sostanziantesi nella denunzia della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la c orte d’appello ritenuto affette da nullità parziale le clausole delle fideiussioni omnibus, stipulate dai ricorrenti in data 25 settembre 2008, in quanto riproduttive del modello ABI sanzionato per violazione della normativa antitrust , senza accertare anche se tali garanzie, stipulate ad oltre tre anni di distanza dal provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia e ad oltre sei anni di distanza dal modello ABI 2002, fossero l’estrinsecazione di un’intesa anticoncorrenziale.
Anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il
ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass., sez. U, 6/3/2009, n. 5456; Cass., Sez. Un., 25/3/2013, n. 7381; Cass., sez. 1, 6/3/2015, n. 4619; Cass., sez. 3, 14/3/2018, n. 6138; Cass., sez. 3, 25/9/2024, n. 25694).
Il ricorso incidentale va, dunque, dichiarato assorbito.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 dl 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione