Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1060 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1060 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13757/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
CURATELA RAGIONE_SOCIALE in persona dei Curatori, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
CURATELA FALLIMENTARE RAGIONE_SOCIALE
-intimato – avverso la sentenza n. 2028/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 29/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE convennero in giudizio RAGIONE_SOCIALE chiedendo che la convenuta, da dichiararsi inadempiente, alla quale era stata commissionata la realizzazione di strutture prefabbricate per il prezzo di € 528.929,63, fosse condannata alla riduzione del corrispettivo nella misura di € 92.000,00 e al risarcimento del danno, quantificato in € 50.000,00.
La società convenuta contestò la domanda e avanzò domanda riconvenzionale, perché le fosse corrisposto il corrispettivo residuo, ammontante a € 30.000,00.
Nelle more venne dichiarato il fallimento di RAGIONE_SOCIALE e il processo venne riassunto dalla Curatela al fine di vedersi accogliere la domanda riconvenzionale.
Il Tribunale adito, dichiarata improcedibile le domande di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE (trattandosi di pretesa creditoria da assoggettare all’accertamento del passivo fallimentare), accolse la domanda riconvenzionale.
La Corte d’appello di L’Aquila rigettò l’impugnazione proposta da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e di RAGIONE_SOCIALE Quest’ultima società, a sua volta dichiarata fallita nel corso del giudizio d’appello, non si costituirà più.
2.1. Questi in sintesi, per quel che qui rileva, gli argomenti salienti della decisione di secondo grado.
Il creditore è tenuto a chiedere l’accertamento del vantato credito in sede fallimentare, con la conseguenza che, in caso contrario, la domanda è inammissibile, se formulata prima della dichiarazione di fallimento e improcedibile, se formulata anteriormente. Ciò valendo anche nel caso in cui, il convenuto nel
giudizio promosso dal curatore fallimentare, avanzi domanda riconvenzionale.
Non sfuggiva a una tale sorte l’appellante Area 325, non assumendo rilievo la deduzione di compensazione, operabile d’ufficio <>. Va chiarito che in appello l’odierna ricorrente aveva opposto in compensazione il proprio asserito credito derivante dal contratto, che si assumeva malamente eseguito.
RAGIONE_SOCIALE ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati da memoria. L’intimata Curatela resiste con controricorso.
Fallita nelle more RAGIONE_SOCIALE, la curatela ha chiesto interrompersi il processo.
L’istanza è destituita di fondamento.
Costituisce principio fermo che il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di cassazione non determina l’interruzione del processo ex artt. 299 e ss. c.p.c., trattandosi di procedimento dominato dall’impulso d’ufficio, con la conseguenza che non vi è un onere di riassunzione del giudizio nei confronti della curatela fallimentare; questo non esclude, tuttavia, che il curatore del fallimento (dal 15 luglio 2022 il curatore della liquidazione giudiziale) possa intervenire nel giudizio di legittimità al fine di tutelare gli interessi della massa dei creditori, sia pure nei limiti
delle residue facoltà difensive riconosciute dalla legge (Sez. 2, n. 30785, 06/11/2023, Rv. 669228 -01).
Con il primo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 56 e 52 della legge fallimentare.
La ricorrente deduce che <>.
L’eccezione di compensazione, prosegue la ricorrente, poteva essere proposta validamente nel giudizio ordinario promosso dalla Curatela, sottratta, pertanto, alla procedura di accertamento in sede concorsuale, non operando il rito speciale, almeno nei limiti del credito richiesto dalla controparte.
Inoltre, la declaratoria di tardività della domanda di compensazione era erronea, in quanto <> (cita Cass. nn. 21472/2016, 16339/2015, 20178/2010, 9965/2001).
Di conseguenza, si soggiunge, la domanda di pagamento dell’appellante, nei limiti del credito richiesto dalla controparte, avrebbe dovuto qualificarsi quale eccezione, <>.
Si trattava di far luogo a un accertamento e computo di dare e avere, costituente compensazione ‘impropria’, sottratta alla disciplina sostanziale e processuale della compensazione in senso proprio. I conteggi andavano effettuati relativamente a un unico rapporto negoziale e un tal compito il giudice è chiamato a svolgere d’ufficio.
6. Il motivo è fondato.
6.1. Quanto alla sottoposizione al giudizio fallimentare dell’eccezione di compensazione il Collegio intende dare continuità al consolidato orientamento di legittimità, che in sintesi immediatamente appresso si richiama.
Nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, atteso che tale eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ottenendone il rigetto totale o parziale, mentre il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dagli artt. 93 e ss. l. fall. trova applicazione nel caso di domanda riconvenzionale, tesa ad una pronuncia a sé favorevole idonea al giudicato, di accertamento o di condanna al pagamento dell’importo spettante alla medesima parte una volta operata la compensazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva dichiarato inammissibile, qualificandola erroneamente come domanda riconvenzionale e non
come eccezione riconvenzionale, la domanda della società concedente diretta ad accertare il suo diritto ad ottenere l’equo compenso, previsto dal contratto di leasing in caso di inadempimento dell’utilizzatore, al solo fine di paralizzare la domanda svolta dal fallimento ed avente ad oggetto la restituzione dei canoni corrisposti in esecuzione del contratto) -Sez. 3, 13345, 14/05/2024, Rv. 671151 -.
Nel giudizio promosso dalla curatela per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, non operando al riguardo il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dagli artt. 93 e ss. legge fall., atteso che tale eccezione -diversamente dalla corrispondente domanda riconvenzionale, il cui “petitum” riguarda, invece, una pronuncia idonea al giudicato a sé favorevole, di accertamento o di condanna all’importo in tesi spettante alla medesima parte, una volta operata la compensazione – è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ed ad ottenerne il rigetto, totale o parziale (Sez. 1, n. 14418, 7/6/2013, Rv. 626598; conf., ex multis, Cass. nn. 12255/2022, 30298/2017).
6.2. Quanto alla natura della pretesa fatta valere dall’odierna ricorrente.
Anche in questo la Corte territoriale si è discostata dal condiviso principio di diritto più volte enunciato in sede di legittimità.
Si è, per vero, affermato che la distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale non dipende dal titolo posto a base della difesa del convenuto, e cioè dal fatto o dal rapporto giuridico invocato a suo fondamento, ma dal relativo oggetto, vale a dire dal risultato processuale che lo stesso intende con essa ottenere, che è limitato, nel secondo caso, al rigetto della domanda proposta dall’attore; di conseguenza, non sussistono limiti al possibile
ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto a mezzo di eccezioni, purché vengano allegati, a loro fondamento, fatti o rapporti giuridici prospettati come idonei a determinare l’estinzione o la modificazione dei diritti fatti valere dall’attore, ed in base ai quali si chiede la reiezione delle domande da questo proposte e non una pronunzia di accoglimento di ulteriori e diverse domande (Sez. 3, n. 21472, 25/10/2016, Rv. 642956-01).
A fortiori, si è soggiunto, con la medesima sentenza sopra richiamata, che nell’ipotesi in cui il convenuto chieda, in via riconvenzionale, accertarsi l’esistenza di un rapporto contrattuale diverso da quello prospettato dall’attore, sull’assunto che da ciò ne deriverebbe la nullità o l’inefficacia, totale o parziale, o comunque un effetto estintivo, impeditivo o modificativo dei diritti fatti valere dall’attore medesimo, domandando anche l’eventuale condanna di quest’ultimo al pagamento di quanto dovuto in base a tale differente prospettazione, qualora una siffatta domanda riconvenzionale risulti inammissibile per motivi processuali, la stessa può e deve comunque essere presa in considerazione come eccezione, con il solo e più limitato possibile esito del rigetto delle richieste di parte attrice (Rv. 642956 – 02).
Ed ancora, la distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale non dipende dal titolo posto a base della difesa del convenuto, e cioè dal fatto o dal rapporto giuridico invocato a suo fondamento, né dal relativo oggetto sostanziale (il bene della vita), ma dal petitum processuale, vale a dire dal risultato che lo stesso intende con essa ottenere in giudizio, limitato, nel secondo caso, al rigetto della domanda proposta dall’attore; di conseguenza, non sussistono limiti al possibile ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto a mezzo di eccezioni, purché vengano allegati, a loro fondamento, fatti o rapporti giuridici prospettati come idonei a determinare l’estinzione o la
modificazione dei diritti fatti valere dall’attore, ed in base ai quali si chiede la reiezione delle domande da questo proposte e non una pronunzia di accoglimento di ulteriori e diverse domande. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della Corte d’appello che aveva dichiarato inammissibile la deduzione, svolta dal convenuto per la prima volta in appello, della responsabilità esclusiva degli altri convenuti e del terzo chiamato da uno di essi, qualificando detta argomentazione difensiva come una domanda riconvenzionale, in quanto non finalizzata alla mera reiezione della domanda attrice) – Sez. 3, n. 31010, 07/11/2023, Rv. 669457 01).
6.3. Quanto alla natura di compensazione impropria o atecnica e alle conseguenze che ne derivano.
Sul punto, anche in questo caso, va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte, la quale ha avuto modo di precisare che, quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico – ancorché complesso – rapporto, non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione “propria”, bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l’eccezione di parte o la domanda riconvenzionale. Tale accertamento, che si sostanzia in una compensazione “impropria”, pur producendo risultati analoghi a quelli della compensazione “propria”, non è sottoposto alla relativa disciplina tipica, sia processuale sia sostanziale (Sez. 2, n. 4825, 19/2/2019, Rv. 652692).
Ed ancora, la compensazione in senso tecnico (o propria) postula l’autonomia dei contrapposti rapporti di debito/credito e non è configurabile allorché essi traggano origine da un unico rapporto. In questi casi (compensazione c.d. impropria) il calcolo delle somme a credito e a debito può essere compiuto dal giudice
anche d’ufficio, in sede di accertamento della fondatezza della domanda, mentre restano inapplicabili le norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle relative eccezioni (Sez. 3, n. 17390, 08/08/2007, Rv. 598660 -01; conf. Cass. n. 11030/2006).
Ed infine, l’applicabilità delle disposizioni degli articoli 1241 e segg. c.c. (riguardanti l’ipotesi della compensazione in senso tecnico-giuridico) postula l’autonomia dei rapporti dai quali nascono contrapposti crediti delle parti, mentre quando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto si tratta di accertare semplicemente le reciproche partite di dare e avere, e a ciò il giudice può procedere senza che sia necessaria l’eccezione di parte o la proposizione della domanda riconvenzionale, purché tale accertamento si fondi su circostanze tempestivamente dedotte in giudizio, in quanto diversamente si verificherebbe un -non consentito – ampliamento del “thema decidendum”, né rileva il carattere ufficioso dell’eccezione anche in grado d’appello in difetto delle necessarie allegazioni (Sez. 6-2, n. 28469, 15/12/2020, Rv. 659998-01).
Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 111, 24, 3, co. 2, Cost., 2697, 2727, 2729, 1668, 1460, 1218 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto controverso e decisivo.
In sintesi, la ricorrente sostiene che la Corte locale aveva disatteso i motivi d’impugnazione diretti a ottenere la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva accolto la domanda riconvenzionale della controparte, supponendo erroneamente che i lavori di riparazione fossero stati svolti e avessero risolto il lamentato inconveniente delle infiltrazioni.
La decisione, prosegue la ricorrente, si fondava sugli erronei presupposti che l’effettuazione e l’idoneità degli anzidetti lavori non
fossero stati contestati. Per giungere a una tale conclusione la sentenza aveva omesso <>.
Il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità per il concorrere di più ragioni.
8.1. È del tutto evidente che la ricorrente in questa sede miri a un’impropria rivalutazione del complesso degli apprezzamenti di merito e, in particolare della conclusione tratta dalla Corte territoriale da plurime emergenze di causa (raccomandata anticipata via fax del 27/9/2010, con la quale per conto dell’esponente veniva comunicata l’effettuata manutenzione della copertura dello stabile; le dichiarazioni rese all’udienza dell’11/10/2010 dal procuratore della stessa parte; le valutazioni del c.t.u.).
A tutto concedere, va ricordato che in presenza di ‘doppia conforme’, sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
8.2. La denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che
l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
8.3. L’evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile. La critica, in sostanza, presuppone che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito sia tale da integrare il rivendicato inquadramento normativo, e che, quindi, ancora una volta, l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, risulti tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 11775/019, 6806/019).
8.4. La ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte
dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
8.5. La violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459; conf., Cass. nn. 15879/2018, 3709/2014).
In conclusione, cassata la sentenza impugnata in relazione al primo motivo, il Giudice del rinvio procederà a nuovo esame facendo applicazione dei principi di diritto sopra richiamati; inoltre regolerà anche il capo delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione all’accolto motivo e rinvia alla Corte d’appello di L’Aquila, altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso nella camera di consiglio del 27 novembre 2024