Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30774 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30774 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12739/2022 R.G. proposto da :
NOME, RAGIONE_SOCIALE e COGNOME, elettivamente domiciliati in SINDIRIZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 420/2022 depositata il 24 febbraio 2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che
Il Tribunale di Venezia, con decreto ingiuntivo n. 172/2017, intimava a NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE di pagare la somma di euro 6.244.143,94 a Banca IFIS S.p.A. quali fideiussori di RAGIONE_SOCIALE in relazione a due contratti che quest’ultima aveva stipulato con la banca il 21 marzo 2005, l’uno di factoring e l’altro di conto corrente; le fideiussioni derivavano da contratti – poi modificati – stipulati con Sema il 9 maggio 2011 e con COGNOME e COGNOME il 21 marzo 2005.
Gli ingiunti si opponevano, e la banca si costituiva insistendo; il Tribunale, con sentenza n. 475/2020, rigettava l’opposizione.
COGNOME COGNOME e COGNOME proponevano appello, cui la banca resisteva, e che la Corte d’appello di Venezia rigettava con sentenza n. 420/2022.
COGNOME COGNOME e COGNOME hanno presentato ricorso, composto da due motivi, da cui la banca si è difesa con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 116, 112, 167 c.p.c. e 2697 c.c. ‘in combinato’ ( sic ) con gli articoli 1418, 1419 e 1421 c.c. ‘in relazione’ all’articolo 2697 c.c.; si denuncia altresì ‘vizio di motivazione per inesatta nozione del fatto notorio risultante dalla mera lettura della sentenza, in violazione degli artt.
115 e 112 c.p.c.’, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c.
1.1 Si sostiene che la Corte d’appello, ‘decidendo il merito della questione sottopostale <>, senza dar conto di alcuna delle argomentazioni spese al riguardo dagli odierni ricorrenti …, ha rigettato il gravame anche sulla base della predetta ambigua statuizione, che sembra negare la possibilità di documentare la nullità delle fideiussioni in grado di appello’. Pertanto la motivazione della corte territoriale, che apoditticamente afferma la ‘necessaria produzione … del provvedimento della Banca d’Italia’, risulta ‘assunta in violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 112 c.p.c., e 167 ( sic ) e 2697 c.c., in combinato ( sic ) con la disciplina in materia di nullità’ ai sensi degli articoli 1421, 1418 e 1419 c.c. in relazione all’articolo 2697 c.c., ‘ovvero carente e viziata da inesatta nozione del fatto notorio’ in violazione degli articoli 115 e 112 c.p.c. sotto il profilo di cui all’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c.
Si richiama la giurisprudenza di legittimità riguardo alla nullità (Cass. 4175/2020) e al fatto notorio (Cass. 6684/2018 e Cass. 2543/2019) per concludere – a seguito pure del richiamo della sentenza n. 1315/2020 pronunciata dalla Corte d’appello di Bari che ‘ha ritenuto di poter esaminare il provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 sia perché agevolmente consultabile attraverso il sito della Banca d’Italia, sia in quanto menzionato e descritto quanto al contenuto in precedenti decisioni’ della Suprema Corte -che la sentenza qui impugnata deve essere cassata perché la produzione per la prima volta in appello del provvedimento n. 55/2005 ‘non preclude al Giudice del merito la constatazione che gli schemi fideiussori sottoscritti e le relative clausole siano affette da nullità’, essendo ‘esaudito ogni onere di allegazione e probatorio, anche in applicazione del … fatto notorio’.
1.2 A prescindere dalla eterogeneità della rubrica e anche del contenuto del motivo, quest’ultimo risulta inammissibile per difetto di interesse: il giudice d’appello – a pagina 11 della sentenza chiaramente afferma (come nel motivo stesso subito si segnala) di prescindere ‘dalla necessaria produzione … del provvedimento della Banca d’Italia’ e quindi di tenere conto comunque del suo contenuto come valutato da S.U. 41994/2022 (pagine 11-12 della sentenza), così raffrontandolo con il caso in esame (pagine 12-13 della sentenza) per giungere a dichiarare (pagina 13 della sentenza) nullità parziale dei contratti fideiussori.
Con il secondo motivo si denuncia errata, carente e/o omessa motivazione, comunque illogica, per omessa valutazione, ai fini della valutazione di sussistenza di interesse ex articolo 100 c.p.c., ‘di un fatto, risultante dalla piattaforma probatoria’, da cui discendono le conseguenze di cui all’articolo 2697, secondo comma, c.c. in relazione agli articoli 1957, primo comma, c.c., 101 par. 2 TFUE, 2, secondo comma, lettera a), l. 287/1990 e 2969 c.c., in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c.; si denunciano altresì violazione e falsa applicazione degli articoli 2697, secondo comma, 1957, primo comma, c.c., 167, 99, 100 e 112 c.p.c., 2696 e 2966 c.c. ‘in combinato’ ( sic ) agli articoli 101 par. 2 TFUE e 2, secondo comma, lettera a), l. 287/1990, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c.
2.1 ‘In ogni caso’ – si osserva il giudice d’appello ha rilevato che le clausole nn. 3, 7 e 11 delle fideiussioni de quibus corrispondono agli articoli 2, 6 e 8 dello ‘schema ABI’ e ha affermato la nullità parziale dei contratti fideiussori, ‘ovvero di quelle clausole in contrasto con la normativa antitrust ‘, decisione non censurata dai ricorrenti. Nonostante ciò, tuttavia, il giudice d’appello, violando gli articoli 99 e 112 c.p.c., ‘ha omesso la … relativa pronuncia’, ritenendo che non rilevasse la dichiarazione di nullità parziale perché l’appellante avrebbe dovuto comunque eccepire
tempestivamente l’intervenuta estinzione delle fideiussioni ai sensi dell’articolo 1957 c.c., e invece non lo avrebbe fatto tempestivamente ‘nell’atto introduttivo del primo grado’, non essendo eccezione rilevabile d’ufficio. La sentenza sarebbe pertanto nulla per omessa dichiarazione, ex articolo 100 c.p.c., della nullità parziale delle fideiussioni non tenendo conto della (pacifica, perché affermata dalla banca nella comparsa di risposta in primo grado e nella comparsa d’appello) ‘circostanza … della mancata intrapresa di azioni giudiziali’ per recuperare i crediti verso i debitori. Il ‘rilievo’ di ciò avrebbe originato gli effetti di cui all’articolo 2697, secondo comma, in relazione all’articolo 1957, primo comma, c.c.: norme violate, ‘non potendosi … ritenere applicabili le preclusioni … per le eccezioni in senso proprio’, anche in applicazione degli articoli 2696 c.c. e 101 par. 2 TFUE in relazione all’articolo 2, secondo comma, lettera a), l. 287/1990.
2.2 La Corte d’appello avrebbe dovuto ‘in ogni caso’ dichiarare la nullità, anche parziale, delle fideiussioni, ‘permanendo comunque … ai ricorrenti la legittimazione ad una successiva azione risarcitoria che senza tale dichiarazione sarebbe preclusa. Su ciò i ricorrenti intendono ‘confutare l’opinione’ per cui l’estinzione del diritto del creditore per decorso del termine ex articolo 1957 c.c. è eccezione in senso proprio, come è stato affermato dalla risalente Cass. 1613/1963 (si veda la sentenza impugnata, nelle pagine 1314), in contrasto con la giurisprudenza della stessa Suprema Corte sulla rilevabilità d’ufficio di fatti estintivi, impediti di modificativi come Cass. ord. 20317/2019.
Pur se si afferma che la norma di cui all’articolo 1957, primo comma, c.c. ‘non è sottratta alla disponibilità delle parti’, che possono concordare di derogarla, ad avviso dei ricorrenti non vi è norma che renda necessaria l’iniziativa di parte ‘entro i termini esclusivi prescritti in rito’ (qui si invoca S.U. 2099/1998).
Nel caso in esame, la stessa banca ha dichiarato, nella comparsa di risposta di primo grado e nella comparsa d’appello, di ‘non aver intrapreso azioni giudiziali per il recupero dei crediti’ dai debitori, così ammettendo l’attuazione della deroga dell’articolo 1957 c.c., e pertanto ‘di aver profittato’ della clausola nulla. Ciò equivarrebbe ‘ad ammissione del fondamento dell’accertamento negativo del credito invocato dai pretesi debitori, posto che il verificarsi del fatto estintivo’ -cioè l’inerzia protrattasi almeno dal deposito della comparsa di risposta di primo grado del 19 settembre 2017 ‘ad oggi’ – verrebbe a coincidere con il riconoscimento suddetto della banca. I ricorrenti non sarebbero quindi incorsi in decadenza, anche in applicazione dell’articolo 2966 c.c. Perciò il giudice di merito avrebbe potuto e dovuto rilevare il fatto estintivo.
2.3 I ricorrenti, inoltre, hanno sostenuto le nullità delle fideiussioni, ovvero delle note clausole ricalcanti lo schema ABI, così mostrando la volontà di avvalersi delle cause estintive ai sensi dell’articolo 1957 c.c. Dunque, avendo il giudice d’appello rilevato ‘la coincidenza delle censurate clausole delle fideiussioni con quelle di … <>’, la possibilità di rilievo d’ufficio della estinzione ex articolo 1957 c.c. (sussistendone i presupposti: l’inerzia del creditore e il decorso del termine ‘risultanti dalla piattaforma probatoria’) è connessa alla proposta domanda di nullità ‘ovvero al rilievo officioso di quella nullità’. E non incidono comunque il fatto che l’articolo 1957 c.c. è norma derogabile e il fatto che è ‘opinione comune’ (non condivisa dai ricorrenti per quanto detto) che l’estinzione del diritto del creditore alla decorrenza del termine non sia rilevabile d’ufficio. La clausola di rinuncia del fideiussore al termine di cui all’articolo 1957 c.c. rientra tra quelle ABI che la Banca d’Italia ha ritenuto lesive della concorrenza, per cui, se si escludono le ‘ricadute … della nullità’, introducendo forzosamente la deroga all’articolo 1957 c.c. si manterrebbero gli effetti dell’intesa vietata, vanificando la
protezione degli interessi sottesi alla nullità e ‘ogni difesa del fideiussore/consumatore’.
Ne consegue che, pur riconoscendo che è ‘norma non dettata da ragioni di ordine pubblico’, questa è una nullità ‘speciale’, diretta a tutelare ‘interessi generali, quali la concorrenza del mercato del credito’, che non solo travolge il modello ABI con il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia, ma anche impone di travolgere i suoi effetti; e ciò sarebbe attuabile rilevando l’estinzione fideiussoria se è provato (e l’asserito creditore in questo caso lo ammette) che della clausola violante la l. 287/1990 ‘l’asserito creditore abbia illecitamente profittato’.
Cass. 41994/2021 avrebbe qui riconosciuto una ‘nullità speciale’ a presidio dell”ordine pubblico economico’, e dunque ‘nullità ulteriore a quelle che il sistema già conosceva’. La rilevabilità d’ufficio dell’estensione della garanzia fideiussoria per l’attuazione dell’intesa ABI nel rapporto ‘a valle’ deriverebbe quindi pure dall’articolo 101 par. 2 TFUE, da cui a sua volta deriva la l. 287/1990. Pertanto ‘anche le ragioni di ordine pubblico processuale … cedono innanzi all’esigenza di salvaguardia dell’ordine pubblico economico’; e sarebbe un ‘ossimoro’ ammettere la proponibilità di eccezione di nullità di clausole ricalcanti il modello ABI in ogni stato e grado e ‘correlativamente negare la possibilità di rilevare l’estinzione della fideiussione’ proprio ai sensi dell’articolo 1957, primo comma, c.c. Dunque il giudice, riconosciuta la nullità parziale che investe anche l’articolo 1957 c.c., ‘dovrà altresì indagare, sulla base degli atti e delle emergenze probatorie, se il creditore abbia rivolto le proprie istanze contro il debitore entro i sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale’ e, se non le ha rivolte, ‘ritenere cessata l’efficacia della garanzia’. Poi, accertata la nullità parziale del contratto di fideiussione, ‘il Giudice del merito dovrà procedere comunque alla relativa declaratoria, permanendo in ogni
caso l’interesse del contraente debole all’esercizio di azioni risarcitorie’.
2.4.1 In sintesi, nel motivo si lamenta dapprima che, pur essendo nulla per conformità allo schema ABI una clausola di fideiussione derogante l’articolo 1957 c.c., il giudice d’appello ha vagliato la questione dell’eccezione prevista dall’articolo stesso, ritenendola oggetto di eccezione stricto sensu e quindi, per difetto di proposizione dell’eccezione (pur sussistendo, secondo i ricorrenti, il superamento dei sei mesi presupposto della sua applicazione) in primo grado, ha disatteso; in secondo luogo si sostiene che l’ammissione della banca di non avere agito avrebbe comunque supplito; in terzo luogo che, lasciando vigente la clausola che prevede la rinuncia all’articolo 1957 c.c., si crea una nullità avverso l’ordine pubblico economico e si contraddice rendendo impossibile il rilievo della nullità perché si nega il rilievo d’ufficio della fideiussione.
2.4.2 Sul primo aspetto, questa Suprema Corte (Cass. 8023/2024) ha confermato la remota giurisprudenza seguita dal giudice d’appello (Cass. 1613/1963): l’eccezione è stricto sensu .
Non è superabile tale interpretazione, perché si tratta in effetti del governo di un diritto disponibile, in quanto il mancato sollevamento dell’eccezione costituisce una rinuncia al proprio diritto di ‘uscire’ dal vincolo fideiussorio, e quindi in ultima analisi costituisce riconoscere/confessare la propria posizione sostanziale di debitore.
2.4.3 Il secondo profilo ‘sposta’ la situazione sulla banca, deducendo che sarebbe essa, in sostanza, a rinunciare a quello che è in realtà diritto di controparte, cioè il diritto di far valere che è scaduta la garanzia e pertanto eccepirlo: è un’argomentazione insostenibile, che tenta di ‘tradurre’ il primo motivo in quello seguente.
2.4.4 Il terzo profilo è infondato: la nullità, per contrasto con la normativa unionale trasfusa in quella nazionale per tutelare la
concorrenza, toglie solo la ‘espunzione’ che lo schema ABI operava con la relativa ‘rinuncia’; ma se poi la rinuncia non è valida, ciò non incide sul contenuto della norma la cui tutela era stata rinunciata, quindi vige di nuovo la decadenza dei sei mesi per farla valere. Che poi la normativa sulla concorrenza investa anche l’articolo 1957 c.c. togliendo tale termine è un asserto privo di basi concrete; e infatti detta normativa non ha ‘fatto cadere’ l’articolo 1957 c.c., bensì, in sostanza (come si evince pure dall’intervento della Banca d’Italia), una clausola che lo derogava.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna dei ricorrenti a rifondere -in solido per il comune interesse processuale -alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in un totale di € 11 .700,00, di cui euro 11.500,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 16 ottobre 2024