Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 5658 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U   Num. 5658  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 14391/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME,  che  la  rappresenta  e  difende  unitamente  agli  avvocati  NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE MADDALENA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 10868/2023 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 15/12/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME, il quale ha chiesto che la Corte rigetti il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. GDS RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di una struttura adibita a servizio di ristoro di spiaggia nel territorio del comune di La Maddalena, ottenne dal relativo ente civico l’ Autorizzazione Unica (AU) ad eseguire l’intervento di ‘ampliamento struttura bar ristorante ex art. 2, l.r. 4/2009’, che prevedeva la preventiva demolizione di tutti i volumi abusivamente realizzati. A seguito dell’accertamento della demolizione integrale della struttura, ovvero anche della parte legittimamente esistente, e quindi della difformità dei lavori eseguiti rispetto a quanto autorizzato, il Comune emise ordinanza di sospensione dei lavori. La società presentò quindi una nuova segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) per l’effettuazione di lavori di manutenzione straordinaria, al fine di ripristinare le parti della costruzione venute meno. Il Comune emanò tuttavia un provvedimento di inibizione, con il quale dispose il divieto di prosecuzione delle attività di cui alla SCIA, poiché le opere da realizzare erano difformi da quanto prospettato, essendo l’intervento configurabile quale ‘nuova costruzione’, non consentita nella relativa zona perché inedificabile, e non quale ‘manutenzione straordinaria’ e ‘volta al rispristino originario dei tratti murari venuti meno’, come assentito nella SCIA.
L’ ordinanza di sospensione dei lavori ed il provvedimento di inibizione e divieto di prosecuzione dei lavori vennero impugnati dalla società, ed i ricorsi vennero respinti dal Tar per la Sardegna con decisione che fu oggetto di appello della medesima GDS, rigettato dal  Consiglio di Stato con la sentenza n. 5734/2018. Successivamente,  la  società  presentò  una  nuova  SCIA  per  RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE,  ma  la  stessa  venne  rigettata  ed  avverso  tale  diniego  non  venne interposto gravame.
Con ulteriore istanza, la GDS ha chiesto poi la p roroga della validità dell’AU in precedenza già ottenuta. Tuttavia, risultando le opere realizzate (le demolizioni nella parte non prevista) ‘in totale difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato’
ed  essendo  venute  meno  le  condizioni  essenziali  sottese  al  rilascio  del provvedimento abitativo originario, il Comune, respingendo l’istanza di proroga , ha emanato la dichiarazione di decadenza della AU.
La stessa società ha inoltre presentato un ‘ istanza di accertamento di conformità, rubricata ‘ripristino stato dei luoghi ex ante con eliminazione bonus volumetrico ex l. r.4/2009’ , al fine di sanare la difformità delle opere. Anche tale pratica è stata oggetto di diniego del Comune.
2. La GDS ha impugnato sia la dichiarazione della decadenza dell’AU che il diniego dell’istanza di  accertamento di conformità ed il TAR per la Sardegna, riuniti i rispettivi ricorsi, con la sentenza 15 luglio 2022, n. 508, li ha accolti, annullando gli atti impugnati.
Avverso  tale  decisione  ha  proposto  appello  il  Comune  di  La  Maddalena  ed  il Consiglio  di  Stato,  con  la  sentenza  n.  10868/2023,    pubblicata  in  data  21 dicembre  2023,  ha  accolto  l’impugnazione  e  confermato  i  provvedimenti  in questione.
Quanto al provvedimento che ha dichiarato la decadenza del titolo autorizzatorio unico, il giudice d’appello – premesso che il provvedimento amministrativo va definito nella sua natura giuridica in relazione al proprio contenuto ed al potere esercitato, non già al nomen juris ad esso apposto – ha ritenuto che l’amministrazione avesse fatto esercizio di un potere vincolato, accertativo dell’insussistenza delle condizioni oggettive legittimanti ab origine il rilascio della stessa autorizzazione e l’esplicazione del contenuto dispositivo del titolo medesimo.
Premesso infatti che è possibile il rilascio di un titolo autorizzatorio edilizio ‘condizionato’, sottoponendo la realizzazione dell’intervento assentito a condizioni e prescrizioni, il Consiglio di Stato ha accertato che, nel caso di specie, la previa demolizione dei soli ‘volumi incongrui’ costituiva una condizione legittimante la possibilità stessa dell’ampliamento dell’immobile. Non essendosi inverata tale condizione, a causa della sostanziale demolizione in toto dell’immobile da ampliare, l’autorizzazione doveva quindi ritenersi ab origine priva di efficacia. Inoltre, non essendo possibile ampliare ciò che non è più esistente nella consistenza considerata all’epoca dell’esercizio del potere di
autorizzazione, il sopravvenuto mutamento dello stato dei luoghi era tale da non consentire l’esplicarsi del contenuto dispositivo del provvedimento.
Quanto al diniego dell’istanza di accertamento di conformità, il giudice d’appello ha rilevato che la qualificazione dell’intervento come ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ e la possibilità di richiedere a tal fine una SCIA, di cui alla precedente sentenza n. 5734/2018 del Consiglio di Stato (resa tra le stesse parti ed avente ad oggetto l’impugnazione dell’ ordinanza di sospensione dei lavori ed il provvedimento di inibizione e divieto di prosecuzione dei lavori) costituivano un mero obiter e non integravano un giudicato esterno.
Ha poi aggiunto che l’intervento proposto – di ricostruzione della parte demolita in eccesso- non può prescindere, nella sua considerazione complessiva ai fini della qualificazione della fattispecie, dalla previa attività di demolizione, per cui non è catalogabile come mera RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ma, a tutto concedere, come RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con demolizione e ricostruzione, tuttavia inibita, come affermato nello stesso provvedimento di diniego impugnato, dall’art. 27, comma 2, lett. d2, delle norme tecniche di attuazione (NTA) del piano di assetto idrogeologico (PAI).
3. La GDS ha infine proposto ricorso, affidato a due motivi, per la  cassazione, per  motivi  attinenti  alla  giurisdizione,  ex  art.  362,  comma  1,  della  predetta sentenza d’appello.
Il Comune di  La Maddalena si è difeso con controricorso.
È stata comunicata alle parti proposta di decisione accelerata ex art. 380-bis c.p.c. della Prima Presidente di questa Corte, che evidenzia l’inammissibilità del ricorso alla luce della giurisprudenza consolidata di legittimità in materia. A seguito di istanza di fissazione proposta dalla ricorrente, il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi degli artt. 375 e 380bis .1 c.p.c., in vista della quale l’istante  ha depositato memoria.
Il  Pubblico  Ministero,  nella  persona  del  AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia « Eccesso di potere giurisdizionale ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, D.Lgs. n. 104 del 2010, artt. 91, 110 e 133, artt. 832 c.c. e ss., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c.: per avere il Consiglio di Stato effettuato uno sconfinamento nella sfera di competenza riservata al legislatore con riferimento alle ipotesi di decadenza del titolo edilizio per aver deciso sulla base di una fattispecie non coperta di nessuna disposizione di legge». Sostiene, in sintesi, la società che il giudice a quo , usurpando il potere che compete al legislatore, avrebbe creato ad hoc , ed applicato, la fattispecie normativa astratta, non già esistente, consistente nella « figura ibrida» della «’revoca sanzionatoria’» dell’ autorizzazione ad eseguire l’intervento di ampliamento della struttura di barristorante in questione.
2. Con il secondo motivo si denuncia « Eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento  nella  sfera  riservata  alla  legge;  sconfinamento  nella  sfera riservata alla p.a., ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, D.Lgs. n. 104 del 2010, artt. 91, 110 e 133, artt. 832 c.c. e ss.».
Lamenta la ricorrente che il giudice a quo , a proposito del diniego opposto dal Comune all’ accertamento di conformità, ha sostenuto che l’intervento proposto sarebbe, di fatto, una RAGIONE_SOCIALE con demolizione e ricostruzione (vietata dalla disposizione del PAI), in quanto si sarebbe dovuto provvedere prima a demolire le parti di muro oggi presenti (perché realizzate in forza di un titolo revocato e quindi ‘abusivo’) e poi ricostruire l’intero edificio. Tuttavia, secondo la ricorrente, la valutazione della necessità di procedere alla previa demolizione non era stata effettuata dal Comune nel diniego, con il quale aveva ritenuto che l’intervento proposto in accertamento di conformità fosse da qualificare come intervento di ‘RAGIONE_SOCIALE‘ attraverso la ‘demolizione e ricostruzione’.
3. Preliminarmente,  deve  rilevarsi  che  nel  controricorso  il  Comune  di  La Maddalena  dà  atto  dell’intervenuta  notificazione  in  data  14  giugno  2024  di ricorso per revocazione ex art. 106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 5, c.p.c., proposto dalla  ricorrente  avverso  la  sentenza  qui  impugnata  e  depositato  avanti  al Consiglio di Stato con RG n. 4839/2024. Non è stata prodotta documentazione relativa a tale procedimento, né comunque è stata dedotta la pendenza, in sede
di  legittimità,  di  un  ricorso  per  cassazione  avverso  l’eventuale  sentenza  che avesse  nel  frattempo  concluso  il  giudizio  di  revocazione  (ove  effettivamente pendente e vitale), per cui non vi è alcun provvedimento da adottare al riguardo.
4. Va premesso che i motivi di ricorso non difettano di autosufficienza e non violano l’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., per cui va respinta  la relativa eccezione del controricorrente.
5. Per la loro connessione, i due mezzi possono essere trattati congiuntamente.
Deve premettersi che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (che trova conforto anche in Corte cost., sent. n. 6 del 2018), il ricorso per cassazione contro la decisione del Consiglio di Stato è consentito soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione, sicché́ il controllo delle Sezioni Unite è circoscritto all’osservanza dei limiti esterni della giurisdizione, non estendendosi ad asserite violazioni di legge sostanziale o processuale concernenti il modo di esercizio della giurisdizione speciale. Ne consegue che, anche a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella nuova formulazione dell’art. 111 Cost., l’accertamento in ordine a errores in procedendo o ad errores in iudicando rientra nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione, trattandosi di violazioni endoprocessuali rilevabili in ogni tipo di giudizio e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui è stata esercitata ( ex plurimis Cass., Sez. Un., 26 agosto 2019, n. 21692; Cass., Sez. Un., 19 marzo 2020, n. 7457;Cass., Sez. Un., 14 settembre 2020, n. 19085 ; Cass., Sez. Un., 22 gennaio 2024, n. 2166).
I motivi inerenti alla giurisdizione – in relazione ai quali soltanto è ammesso il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato o della Corte dei conti – vanno identificati con le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia
attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici) (così Cass., Sez. Un., 9 luglio 2024, n. 18722; nello stesso senso, ex multis , Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2021, n. 2605; Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2023, n. 30147). Rientrano dunque nell’ambito dei motivi inerenti alla giurisdizione: a) l’invasione della sfera riservata ad altri poteri (esecutivo e legislativo); b) l’invasione della sfera altrui di giurisdizione; c) l’esplicazione da parte del giudice amministrativo di un sindacato di merito, allorquando la potestas iudicandi comprenda il solo sindacato di legittimità; d) il mancato esercizio da parte del giudice amministrativo o contabile della sua giurisdizione, anche quando derivante dall’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto di funzione giurisdizionale (Cass., Sez. Un., 9 luglio 2024, n. 18722, cit.).
5.1. Con particolare riferimento all’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera legislativa, denunciabile con il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, queste Sezioni Unite hanno più volte chiarito che si tratta di fattispecie eccezionale, ipotizzabile solo ove si possa distinguere un’inammissibile attività di produzione normativa, da parte del giudice, da un’attività interpretativa della norma, che per sua natura si sostanzia in un’opera creativa della volontà della legge nel caso concreto (Cass., Sez. Un., 30 dicembre 2004, n. 24175; Cass., Sez. Un., 28 gennaio 2011, n. 2068; Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2012, n.22784). Non è infatti ravvisabile una questione involgente la giurisdizione là dove si sia in presenza di una attività interpretativa, senza che assuma rilievo, a tali fini, l’esito dell’interpretazione (Cass., Sez. Un., 9 luglio 2024, n. 18722, cit., in motivazione).
Considerata inoltre l’interdipendenza tra le attività del giudice amministrativo di interpretazione e qualificazione giuridica degli atti impugnati e di interpretazione ed applicazione delle relative norme, giova ricordare che esula dal sindacato di questa Corte l’attività di interpretazione degli atti amministrativi oggetto di impugnazione per come operata dal Consiglio di Stato, esegesi che risponde al proprium dell’attività giurisdizionale, in quanto mirata solo ad accertare il contenuto dell’atto e non a sostituire la scelta effettuata dall’Amministrazione
con  autonome  valutazioni  di  opportunità  o  convenienza  (Cass.,  Sez.  Un.,  20 giugno 2024, n. 17097, in motivazione).
5.2 Venendo dunque al caso di specie, il fulcro della ratio decidendi della sentenza impugnata si snoda, progressivamente, prima nell’interpretazione del titolo autorizzatorio edilizio concretamente emesso come ‘condizionato’; poi nella considerazione che l’ordinamento consente che il rilascio di tale titolo sottoponga la realizzazione dell’intervento assentito a condizioni e prescrizioni; infine nella qualificazione della natura giuridica sostanziale del provvedimento di ‘decadenza’ impugnato ( a prescindere dal nomen conferitogli) come atto vincolato, accertativo sia dell’insussistenza delle condizioni oggettive legittimanti ab origine il rilascio dell’autorizzazione, sia della sopravvenuta inesistenza dello stesso oggetto materiale dell’esercizio del potere autorizzatorio (il manufatto da ampliare), ragioni impedienti l’esplicazione del contenuto dispositivo del medesimo titolo.
Si tratta, con evidenza, di accertamenti, qualificazioni ed interpretazioni, della fattispecie  giudicata  e  della  relativa  disciplina  giuridica,  che  esprimono  il proprium della  giurisdizione  esercitata  e  non  esorbitano  i  limiti  esterni  di quest’ultima, né quindi configurano l’eccesso denunziato, tanto meno riguardo alla pretesa invasione della sfera legislativa.
Il primo motivo è quindi inammissibile.
6. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Nel decidere in ordine alla legittimità del provvedimento di diniego della nuova SCIA per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il giudice a quo ha infatti innanzitutto escluso che la precedente sentenza n. 5734/2018 del Consiglio di Stato, resa tra le stesse parti, costituisca giudicato esterno, nella parte in cui qualifica l’eventuale successivo intervento edilizio della società come ‘RAGIONE_SOCIALE‘, possibile oggetto di una SCIA, trattandosi di un’argomentazione dichiaratamente espressa dalla sentenza in questione incidenter tantum e costituente quindi un mero obiter dictum .
Ha  poi aggiunto  che l’intervento proposto con la  nuova  SCIA  dovesse legittimamente  qualificarsi,  nella  sua  complessità,  come  comprensivo  della previa attività di demolizione, e che non fosse invece qualificabile come mera
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, potendo a tutto concedere presentarsi come RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con demolizione e ricostruzione. Contestualmente, ha rilevato che -così come affermato dal provvedimento di diniego impugnatol’attività di RAGIONE_SOCIALE con demolizione e ricostruzione risultava, nel caso di specie, inibita dall’art. 27, comma 2,lett. d2, delle NTA del PAI, osservando che tale disposizione sarebbe altrimenti aggirata, ove si realizzasse dapprima una demolizione a sé stante e poi una RAGIONE_SOCIALE senza demolizione.
Ha inoltre solo incidentalmente (« In disparte che […] ) considerato che, per effetto della legittimità del provvedimento  di decadenza  (accertata con l’accoglimento del primo motivo d’appello), l’intervento già autorizzato non era comunque più legittimato da alcun titolo, per cui la possibilità di presentare una SCIA  finirebbe  per  costituire  una  impropria  sanatoria  di  attività  RAGIONE_SOCIALE  non previamente autorizzata.
Ebbene, richiamate qui integralmente le argomentazioni già esposte, in ordine al sindacato dell’eccesso di potere giurisdizionale, a proposito del primo motivo, deve rilevarsi che, anche con riferimento alla decisione sul diniego della nuova SCIA, il Consiglio di Stato ha compiuto accertamenti, qualificazioni ed interpretazioni – della fattispecie giudicata e della relativa disciplina giuridica, nonché circa l’esistenza o meno del giudicato esterno- che non esorbitano i limiti esterni della sua giurisdizione e sfuggono, pertanto, all’ammissibile sindacato in questa sede.
Per quanto poi riguarda, in particolare, il preteso sconfinamento nella sfera riservata alla pubblica amministrazione, è consolidato orientamento di queste Sezioni Unite che « L’eccesso di potere giurisdizionale, in forma di sconfinamento nella sfera del merito, ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost., è configurabile soltanto quando l’indagine svolta dal giudice amministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, diviene strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprime la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, procedendo il giudice ad un sindacato di merito con una pronunzia avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del
provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità  amministrativa.»  (Cass.,  Sez.  Un.,  8  luglio  2024,  n.  18559; conformi, tra le più recenti, Cass., Sez. Un., 21 agosto 2020, n. 17580; Cass., Sez. Un., 3 marzo 2020, n. 5904; Cass., Sez. Un., 24 maggio 2019, n.14264; Cass., Sez. Un., 26 novembre 2018, n. 30526; Cass., Sez. Un., 2 febbraio 2018, n. 2582; Cass., Sez. Un.,  29 dicembre 2017, n. 31226).
Si è quindi ritenuto che «l’àmbito riservato alla p.a. viene indebitamente invaso dal  giudice  nel  caso  in  cui  questi  dia  luogo  ad  apprezzamenti  di  merito,  che concernono, quindi, il se, il quando e il come, non limitandosi (salvo i casi in cui la giurisdizione sia estesa alla valutazione di merito) a verificare la legittimità dell’atto» (Cass., Sez. Un., 8 luglio 2024, n. 18559, cit., in motivazione).
Nel caso di specie, non si è verificata tale intrusione, atteso che la ratio decidendi fondante la sentenza impugnata ha valutato la legittimità del diniego opposto dall’Amministrazione, in ragione del contenuto specifico di quest’ultimo, del quale ha infatti espressamente richiamato la motivazione, con particolare riferimento alla considerazione che l’intervento edilizio prospettato non sarebbe stato consentito dall’art. 27 delle NTA del PAI, poiché l’area in esame era stata nel frattempo classificata in zona di rischio idraulico.
Premesso che l’ individuazione di tale contenuto essenziale del provvedimento di diniego risulta non solo dalla sentenza impugnata, ma dallo stesso ricorso e dal  controricorso,  è  dunque  palese  che  il  giudice a  quo ,  nell’individuare  ed apprezzare la legittimità dell’atto amministrativo impugnato, non ha travalicato i limiti esterni della propria giurisdizione.
A conferma di tale conclusione, del resto, milita lo stesso contenuto sostanziale del motivo in esame, il cui nucleo effettivo consiste nella riaffermazione della tesi della ricorrente, già accolta dal TAR, in ordine alla illegittimità del diniego, in quanto l’intervento in esame non avrebbe dovuto  essere qualificato come “demolizione  e  ricostruzione”,  vietata  dalla  disposizione  del  PAI.  La  censura attinge  quindi  proprio  la  legittimità  della  qualificazione  giuridica  operata  già
dall’Amministrazione ed apprezzata dal Consiglio di Stato e si colloca all’interno del perimetro della giurisdizione di quest’ultimo.
Pertanto, come questa Corte ha rilevato in un caso similare, ‘La pronuncia di rigetto del giudice amministrativo si esaurisce, del resto, nella conferma del provvedimento impugnato e non si sostituisce ad esso – conservando l’autorità che lo ha emesso tutti i poteri che avrebbe avuto se il provvedimento non fosse stato impugnato, eccetto la possibilità di ravvisarvi i vizi di legittimità ritenuti insussistenti dal giudice -, sicché non è ipotizzabile in tale tipo di pronuncia uno sconfinamento nella sfera del merito e quindi della discrezionalità e opportunità dell’azione amministrativa (Cass. Sez. Unite, n. 32619 del 2018; n. 7207 del 2019)’ (Cass., Sez. Un., n. 29842 del 2024).
7. Entrambi  i  motivi  di  ricorso  sono  quindi  inammissibili,  così  come  già rilevato nella proposta di decisione accelerata ex art. 380-bis c.p.c..
Le spese di legittimità seguono la soccombenza.
Ai  sensi  dell’art. 380bis ,  comma  3,  cod.  proc.  civ.,  la  parte  ricorrente  e soccombente va condannata a pagare:
la  somma  di  euro  2.500,00,  equitativamente  determinata,  a  favore  della controparte, ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.
la somma di euro 2.500,00, a favore della cassa delle ammende, ex art.  96, quarto comma, cod. proc. civ.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento:
a favore della controricorrente, delle  spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura  del  15  per  cento,  agli  esborsi  liquidati  in  Euro  200,00  ed  agli accessori di legge; nonché di euro 2.500,00 ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.;
di euro 2.500,00 a favore della cassa delle ammende ex art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello  dovuto  per  il  ricorso,  a  norma  del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 18 febbraio 2024