Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22385 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22385 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9235/2024 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in NAPOLI CENTRO DIREZIONALE INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che li rappresenta e difende
-controricorrenti-
avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2126/2023 depositata il 13/02/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art.3 L.24.3.2001, n.89 innanzi alla Corte d’appello di Napoli, COGNOME NOME chiese la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento del danno per irragionevole durata del giudizio riguardante, a sua volta, altra richiesta di indennizzo per l’irragionevole durata, ex art. 3 della legge n. 89/2001, svoltosi dinnanzi alla Corte d’Appello di Napoli, iniziato in data 14. 3.2018 e definito con decreto del 10/07/2018, cui era seguito il giudizio di ottemperanza innanzi al TAR , iniziato l’8.5.2019 e definito in data 27.10.2020, con sentenza del Tar Campania.
Il Consigliere Delegato accolse, per quanto di ragione, il ricorso e condannò il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di € 600,00 in favore di COGNOME NOME
L’ opposizione da parte del Ministero della Giustizia venne accolta dalla Corte d’appello di Napoli.
La Corte di cassazione, decidendo sul ricorso principale proposto da COGNOME NOME e sul ricorso incidentale proposto dal Ministero della Giustizia, con ordinanza n. 23132/23, accolse il ricorso incidentale, con il quale il Ministero della Giustizia aveva dedotto il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto la richiesta indennitaria riguardava anche il giudizio di ottemperanza svoltosi dinanzi al TAR, in relazione al quale la legittimazione passiva spettava esclusivamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
La Corte di Napoli, sulla premessa che il giudizio presupposto era durato un anno, 9 mesi e 15 giorni, sommando tra di loro la fase di cognizione e quella di ottemperanza, determinò la durata del giudizio in un anno, sei mesi e cinque giorni, individuando, quindi, un’eccedenza rispetto al termine di ragionevole durata di tre mesi e 15 giorni, non indennizzabile poiché inferiore a sei mesi.
Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale ritenne che non dovesse essere considerato come ‘tempo del processo’ quello intercorso tra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva; affermò che qualora, come nel caso specifico, il privato abbia ottenuto un decreto di condanna, seguito dal successivo giudizio di ottemperanza, il termine ragionevole di durata di tale processo, deve essere individuato, se non ricorrono circostanze eccezionali, in un anno e sei mesi, alla stregua della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Peraltro, secondo la corte di merito, non poteva applicarsi l’art. 2 comma 2bis della legge 89/2001, come richiesto dal ricorrente, in quanto norma dichiarata costituzionalmente illegittima ed i termini previsti dalla citata legge termini non avevano natura perentoria ma solo sollecitatoria; in ogni caso, essi risultavano incompatibili con le pronunce CEDU, che avevano individuato in un anno e sei mesi la durata ragionevole della fase di cognizione comprensiva di quella esecutiva, da considerare unitariamente.
Ne conseguiva che il processo presupposto, ex lege n. 89/2001, era durato un anno, nove mesi e quindici giorni, da cui detrarre un anno e sei mesi di durata ragionevole, di talché il residuo periodo di tre mesi non poteva ritenersi indennizzabile perché inferiore al limite stabilito dall’art. 2 bis, comma 1, l. n. 89/2001, essendo indennizzabile ogni anno o frazione di anno superiore a sei mesi.
Avverso il decreto della Corte d’appello NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.
Il Ministero della Giustizia ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza in camera di consiglio, il ricorrente ha depositato memoria illustrativa
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione – in relazione all’accoglimento del motivo di opposizione del Ministero della Giustizia, alla rilevazione della durata ragionevole e irragionevole del giudizio presupposto di merito unitariamente inteso (di cognizione e di ottemperanza) e al conseguente rigetto della domanda di equa riparazione del ricorrente – degli artt. 2, commi 2 e 2 bis, 3, commi 4, 5 ter e comma 5, L. n. 89/2001, 46, comma 1, 75, comma 1, 87, commi 2 lett. d) e 3, 114, comma 3, D.lgs. 2/7/2010 n. 104, 111, 117 Cost., 6, paragrafo 1, Convenzione EDU e 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Sostiene il ricorrente che il termine per ex art.3 comma 4., comma 1 ex L. 89/2001 per emettere il decreto, pari a trenta giorni, ed il termine di quattro mesi per la pronuncia, ex art.5 ter , comma 5, siano perentori. Tanto si evincerebbe da diverse pronunce del giudice di legittimità, dalle quali emergerebbe univocamente l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la durata ragionevole di un processo instaurato ai sensi della cosiddetta legge Pinto è ragionevole ove non ecceda il termine di un anno per grado e che l’anno è comprensivo
del processo di cognizione e di ottemperanza, attesa la natura unitaria del procedimento.
Avrebbe, pertanto, errato la Corte d’appello nell’affermare che la durata ragionevole del giudizio di cognizione e del giudizio di ottemperanza sia pari ad anni uno e mesi sei, dovendo individuarsi il termine di ragionevole durata in cinque mesi o, in via gradata, in un anno.
Il ricorso è fondato.
Deve essere ribadito l’orientamento di questa Corte, secondo cui la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all’indennizzo a carico dello Stato-debitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti dello Stato” (Cass. Sez. U, n. 19883/19 e, da ultimo, ord. n. 18397/23).
In esito alla sentenza n. 36/16 della Corte costituzionale ed ai principi enunciati da Cass. Sez.S.U. n. 19883/19, la durata ragionevole della fase di cognizione di equa riparazione e della correlata esecuzione è di un anno (cfr. da ultimo Cass. Civ. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 2469 del 2023, che richiama il precedente Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10182 del 30/03/2022).
Una volta rilevati i tempi di svolgimento delle due fasi (cognizione ed ottemperanza) del giudizio presupposto di equa riparazione la durata (del processo presupposto) va calcolata avendo riguardo all’intero pendenza del processo medesimo, e non verificando se ciascuno dei suoi singoli gradi o fasi si sia, o meno, protratto oltre il rispettivo “standard” di ragionevolezza.
Applicando i suddetti principi al caso in esame, e tenendo conto delle risultanze riportate nel decreto impugnato, il giudizio di cognizione,
iniziato in data 14.3.2018 e definito il 10.7.2018, ha avuto una durata di quattro mesi.
Al contrario, il giudizio di ottemperanza ha avuto inizio in data 8.5.2019 e si è concluso il 27.10.2020 per una durata di 1 anno e 5 mesi.
Complessivamente, il giudizio di cognizione ed il giudizio di ottemperanza hanno avuto una durata di 1 anno, nove mesi e 15 giorni.
La domanda è, pertanto, fondata in riferimento alla fase di ottemperanza, sicché l’importo dell’indennizzo grava sul MEF (cfr. Cass. 33764/2022), perché il ritardo irragionevole del giudizio presupposto è attribuibile unicamente al giudizio di ottemperanza svoltosi innanzi al TAR Campania, per una durata superiore alla ragionevole durata di un anno, mentre il giudizio svoltosi innanzi alla Corte d’Appello di Napoli nella fase monitoria è durato quattro mesi.
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto nei limiti di cui in motivazione.
Il decreto impugnato va cassato con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che provvederà alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/06/2025.