Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1290 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1290 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8829/2022 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, CASU LIA (CODICE_FISCALE -ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 330/2021 depositata il 02/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2023 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato il 22.11.2021, ai sensi della L. n.89 del 2001, art.2 e 3, COGNOME COGNOME adiva la Corte d’appello di Brescia, al fine di vedersi riconoscere l’equo indennizzo spettante per la durata non ragionevole della procedura concorsuale relativa al fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dichiarato dal Tribunale di Brescia con sentenza del 18 maggio 2001 e chiuso il 15.11.2019 con il deposito del riparto finale.
Al riguardo, precisava di essere stato ammesso allo stato passivo del fallimento in data 21.9.2001 per un credito di € 10 .587,37, ammesso in privilegio e soddisfatto all’esito del primo piano di riparto; che per il credito chirografario di € 2 . 626,66 era stato soddisfatto per € 13,74 in occasione del terzo riparto e di € 9,89 nel riparto finale.
Con ricorso depositato il 22.11.2021, proponeva opposizione avverso tale decreto emesso dal Consigliere designato, che aveva rigettato il ricorso.
Si costituiva il Ministero della Giustizia, il quale rilevava l’infondatezza dell’opposizione e insisteva per la conferma del decreto opposto.
La Corte d’appello di Brescia, in composizione collegiale, con il decreto di cui in epigrafe, respingeva l’opposizione e, per l’effetto, confermava il decreto monocratico di rigetto dell’istanza di liquidazione dell’indennizzo per durata non ragionevole della procedura fallimentare.
A sostegno della decisione, la Corte territoriale evidenziava per quanto interessa in questa sede che il superamento del termine di sei anni non integrava gli estremi della durata irragionevole, attesa la complessità della procedura per la massa di documenti da esaminare,
la consistenza dell’attivo e del passivo, il numero delle insinuazioni al passivo, le opposizioni, il contenzioso generato dalla procedura fallimentare, l’entità del patrimonio immobiliare da alienare ed il numero dei riparti parziali. Secondo la Corte d’appello, il termine di sei anni previsto per il completamento della procedura costituiva una presunzione di ragionevolezza della durata del procedimento che poteva essere superata con la prova contraria. Inoltre, l’attività posta in essere dal curatore aveva consentito al ricorrente di recuperare quasi per intero il credito privilegiato ed era irrisoria la parte residua del credito non soddisfatta, sicché era applicabile l’art.2 comma 2 septies L.89/2001, attesi i vantaggi conseguiti dalla parte per effetto dell’irragionevole durata .
Avverso il decreto della Corte d’appello NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi ed ha sollevato questione di legittimità costituzionale.
Ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la nullità del decreto per illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte d’appello ha giustificato la complessità della procedura fallimentare con i tentativi di vendita dei vari compendi mentre emergerebbe per tabulas che le operazioni di vendita erano terminate entro i termini di legge (sei anni) mentre alcuni esperimenti sarebbero stati effettuati nel 2012 quando il ritardo era già maturato.
Il motivo è infondato.
La censura svolta presuppone come ancora esistente (ed applicabile nella concreta fattispecie) il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza nei termini in cui esso era possibile prima della modifica dell’art.360, comma 1, n.5 c.p.c., apportata dal D.L. n.83 del 2012, convertito nella L. n.134 del 2012, mentre, con la citata novella, è denunciabile soltanto l’omesso esame di uno specifico fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, rimanendo esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza, illogicità o contraddittorietà della motivazione, salvo che non si tratti di assenza assoluta o apparenza della motivazione (Cass. Civ., Sez. Unite, n. 8053 del 2014).
Nel caso di specie la motivazione non presenta profili di illogicità che possano sfociare nell’apparenza della motivazione, ovvero in affermazioni assolutamente inconciliabili ma esprime una soluzione giuridica, che, per quanto non condivisibile, è coerentemente argomentata.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5. c.p.c., l’omesso esame afferente il progetto secondo riparto parziale da cui risulterebbe che la curatela aveva promosso un inutile contenzioso contro l’Agenzia delle Entrate per ben tre gradi di giudizio, oltre al giudizio di riassunzione, con esito infausto in tutti i gradi di giudizio; ciò avrebbe allungato i termini della procedura fallimentare senza nessun vantaggio e senza che il curatore si fosse premurato di attivare azioni cautelari volte a salvaguardare i beni aggredibili.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha preso in esame la procedura fallimentare al fine di valutarne la complessità e la censura non ha per oggetto un fatto storico decisivo per il giudizio, ma intende sottoporre a questa Corte la correttezza dell’operato e delle scelte degli organi del fallimento, che sono estranee al giudizio di equa riparazione.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art.2 comma 2 bis L. 89/20001 e dell’art.2, comma 2 sexies lett. g) L.89/2001, in relazione agli art.4 e 35 Cost, per avere la Corte di merito sostenuto che, sebbene vi fosse stata una durata irragionevole del procedimento, protrattosi per 18 anni e 7 mesi, rispetto alla durata ragionevole di sei anni, da una siffatta procedura fallimentare non potesse derivare una sofferenza indennizzabile per il ricorrente per l’irrisorietà della posta in gioco. Secondo il ricorrente, il credito vantato, pari ad € 2626,66 non sarebbe, invece, affatto irrisorio .
Il motivo è fondato.
L’art.2, comma 2 della L.89 del 2001 prevede che, nell’accertare la violazione, il giudice valuta la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento, nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione.
Ancora, ai sensi dell’art.2, comma 2-bis della citata legge, si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni.
Ne consegue che, in tema di equa riparazione per la violazione del termine di durata ragionevole del processo, la durata delle procedure fallimentari deve rispettare la soglia di sei anni.
E secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte Edu, si può tenere conto della particolare complessità della procedura concorsuale solo ai fini di un temperamento di detta soglia.
Al riguardo, secondo i richiami della Corte Edu, la durata tollerabile delle procedure concorsuali sarebbe stata di cinque anni nel caso di media complessità e, in ogni caso, per quelle notevolmente complesse – a causa del numero dei creditori, della particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, ecc.), della proliferazione di giudizi connessi o della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti – non avrebbe potuto superare la durata complessiva di sette anni.
Sicché i summenzionati indici rivelatori della precipua complessità del caso possono al più giustificare uno slittamento della procedura concorsuale da sei a sette anni, non già una durata ulteriore, addirittura protrattasi nella fattispecie sino a circa 18 anni (Cass. Sez. II, 24.10.2022, n. 31274; Sez. 2, Ordinanza n. 16753 del 24/05/2022; Sez. 2, Sentenza n. 20508 del 29/09/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 23982 del 12/10/2017; Sez. 6-1, Sentenza n. 9254 del 07/06/2012; Sez. 61, Sentenza n. 8468 del 28/05/2012).
Tale durata massima di sette anni – rispetto alla durata ragionevole “ordinaria” di sei anni stabilita dalla L. n.89 del 2001, art. 2, comma 2- bis comma 2-bis, per la procedura concorsuale – deve essere dunque osservata anche in caso di proliferazione di giudizi connessi, inerenti alla liquidazione dell’attivo, atteso che nella durata complessiva delle procedure fallimentari devono essere inclusi anche i tempi impiegati per la risoluzione di vicende processuali parallele o incidentali (siano esse di natura cognitiva o esecutiva), che costituiscono fasi ed attività processuali eventuali, che comunque
ineriscono all’unico processo concorsuale, dovendosi la durata ulteriore ragionevolmente attribuire a disfunzioni o inadeguatezze del sistema giudiziario (Cass.. Civ., Sez. II , 6.3.2023, n. 6577; Sez. 2, Ordinanza n. 6576 del 06/03/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 16745 del 24/05/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 13275 del 28/04/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 13274 del 28/04/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 13273 del 28/04/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 39564 del 13/12/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 976 del 17/01/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 7 del 03/01/2019; Sez. 1, Sentenza n. 28858 del 27/12/2011; Sez. 1, Sentenza n. 18686 del 23/09/2005).
Ne discende che, a fronte dell’ampio superamento del limite di sette anni, decorrente per i creditori ammessi dall’approvazione dello stato passivo la complessità del caso non avrebbe potuto giustificare la radicale esclusione dell’indennizzo, in deroga ai casi tassativi nei quali la L. n.89 del 2001, art.2 comma 2-quinques, riconosce la non spettanza del relativo diritto (Sez. 2, Ordinanza n. 16745 del 24/05/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 12861 del 22/04/2022; Sez. 62, Ordinanza n. 34762 del 16/11/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 34761 del 16/11/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 4440 del 20/02/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 964 del 16/01/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 23568 del 28/09/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 21200 del 27/08/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 7864 del 29/03/2018).
E tanto perché, oltrepassato tale termine, il danno non patrimoniale per l’irragionevole durata del processo, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, nel rispetto dei principi cardine che la Corte Edu ritrae dall’art. 6 CEDU, si intende come conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, a
causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle parti del processo.
Ne consegue che, una volta accertata e determinata l’entità della stessa durata irragionevole, il giudice avrebbe dovuto ritenere tale danno esistente, sempre che non fosse risultata la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari idonee, in termini positivi, ad escludere che tale danno fosse stato subito dal ricorrente (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 7034 del 12/03/2020; Sez. 2, Sentenza n. 26497 del 17/10/2019; Sez. 1, Sentenza n. 2246 del 02/02/2007; Sez. 1, Sentenza n. 7145 del 29/03/2006).
Ha, pertanto, errato la Corte d’appello di Brescia, in presenza di una procedura fallimentare durata oltre 18 anni, a negare l’ an del diritto alla equa riparazione al creditore ammesso al passivo, non bastando ad escludere l’indennizzabilità, per una procedura concorsuale protrattasi secondo i tempi anzidetti, la constatazione della particolare complessità della procedura.
Non vi è nel decreto impugnato alcun richiamo all’avvenuta soddisfazione di una consistente quota del credito ammesso, all’esito del primo riparto, avvenuto nei tempi ragionevoli, quale condizione inibitoria della spettanza del diritto all’indennizzo – come invece ha osservato il controricorrente -, che invece ha escluso la fondatezza della pretesa azionata sotto il profilo della complessità della procedura concorsuale in concreto.
In ultimo, nessun riferimento vi è nel decreto impugnato alla consapevolezza del creditore circa l’incapienza del patrimonio fallimentare, circostanza addotta dal Ministero senza alcun collegamento con la motivazione del provvedimento contestato.
Vanno dichiarati assorbiti il quarto motivo di ricorso (in ordine alla mancata corresponsione degli interessi e rivalutazione sull’indennizzo liquidato) ed il quinto motivo di ricorso (in ordine alla mancata soddisfazione dell’intero credito).
Va dichiarato inammissibile il sesto motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione dell’art.3, comma 1 della Cost . e dell’art.11 perché, in altri casi la Corte d’appello avrebbe riconosciuto l’irragionevole durata della procedura – in quanto non afferente al provvedimento in oggetto e non rientrante tra i vizi previsti dall’art.360 c.p.c . che legittimano il ricorso per cassazione.
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto nei limiti di cui in motivazione; il decreto impugnato va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo ed il secondo motivo, dichiara inammissibile il sesto, cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità innanzi alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione