Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34671 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34671 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13769/2023 R.G. proposto da :
STUDIO ASSOCIATO COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di BRESCIA in n. 5151/2022 depositato il 25/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto citato in epigrafe, comunicato il 25.5.2023, il Tribunale di Brescia ha rigettato l’opposizione ex art. 98 legge fall. proposta dallo studio associato COGNOME e COGNOME avverso il decreto con cui il G.D. del fallimento RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE aveva rigettato la sua domanda di insinuazione in chirografo del credito di € 18.609,49, vantato a titolo di compenso spettante ai propri associati NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali componenti effettivi del collegio sindacale di RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALEp.a. in bonis per il periodo compreso tra l’1.1.2020 e il 5.11.2020.
Il giudice di primo grado ha ritenuto fondata l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., sollevata dalla curatela allo scopo di paralizzare la pretesa creditoria, sul rilievo che il Collegio Sindacale non aveva ritenuto di dare alcuna rappresentazione dell’operazione da parte della fallita di acquisto/retrocessione delle azioni in RAGIONE_SOCIALE, avvenuta nel luglio 2010, nonostante l’approvazione del bilancio, inizialmente fissata per il 10.6.2010, fosse stata differita al 30.10.2020.
Il giudice di primo grado ha evidenziato che la società poi fallita si era determinata a cedere il pacchetto in oggetto in data 29.11.2019 -prossima alla chiusura dell’esercizio -così ‘guadagnando’ a conto economico, per competenza, la posta attiva di € 1.900.023,00, salvo poi, a distanza di soli due mesi deliberare (alla seduta del 28.2.2000, cui erano presenti i componenti del Collegio Sindacale) un percorso di riacquisizione del medesimo
pacchetto azionario, conclusosi con il riacquisto del 2.7.2020, il tutto senza che, dal punto di vista finanziario, fosse intervenuta alcuna movimentazione in entrata o in uscita. Proprio grazie all’appostazione a conto economico 2019 della voce attiva di € 1.900.023, la RAGIONE_SOCIALE aveva potuto chiudere l’anno con l’esposizione di un significativo utile, mentre, in realtà, alla data di approvazione dello stesso bilancio (30.10.2020), si era già verificato un evento (la retrocessione delle azioni) che, pur di competenza dell’anno 2020, aveva completamente azzerato la portata della posta attiva fondante il risultato positivo dell’esercizio 2019.
Ad avviso del giudice di primo grado, di fronte ad un’operazione con queste caratteristiche (connotata dalla sua collocazione in prossimità della chiusura dell’esercizio e dalla celerità della stipula di due atti di cessione di contenuto eguale e contrario), i sindaci, posti a conoscenza del progetto della Fondermat di riacquisto delle azioni in oggetto, avrebbero dovuto darne rappresentazione nella loro relazione al bilancio, che era aggiornata al 10.6.2020, e però silente circa gli accadimenti successivi, i quali, pur di competenza dell’esercizio 2020, sarebbero necessariamente dovuti essere illustrati ai fini di una corretta comprensione dei risultati di bilancio 2019.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione lo studio associato COGNOME e COGNOME, affidandolo a sei motivi.
La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2423 c.c., del principio contabile OIC n. 29,
del principio di revisione internazionale ISA Italia 560, nonché degli artt. 11 e 14 del d.lgs. n. 39/2010. Lamenta lo studio ricorrente che la decisione impugnata si pone in aperto contrasto con i principi che la vigente normativa detta in merito ai doveri che gravano sui sindaci chiamati a svolgere la revisione contabile del bilancio.
Evidenzia, in particolare, che, a norma dell’art. 2429 co. 3 c.c. e dell’art. 14 co. 5 d.lgs. n. 39/2010, la relazione al bilancio deve essere redatta e depositata dai sindaci nei quindici giorni precedenti alla celebrazione dell’assemblea (prevista per la fallita il 27.6.2020) chiamata ad approvare il bilancio, con termine per tale approvazione nel 2020 fissato al 30.6.2020.
Ne consegue che il non aver menzionato nella relazione sindacale l’operazione di riacquisto delle azioni, perfezionata il 2.7.2020 (registrata il 27.7.2020), non aveva integrato una condotta poco diligente, dato che nessuna norma prevede, che, in caso di ritardo nell’approvazione del bilancio, le relazioni dei sindaci o degli amministratori debbano essere riviste o aggiornate.
Lo stesso Tribunale aveva riconosciuto che l’operazione di riacquisto delle azioni era ‘contabilmente di competenza dell’esercizio 2020’, sicché sarebbe stato un grave errore imputare l’esborso all’anno precedente, ovvero tenere conto di un costo certamente estraneo all’esercizio 2019.
Anche il richiamo al principio contabile OIC 29 non confortava la tesi del Tribunale, atteso che, essendosi l’evento del riacquisto delle azioni verificato dopo che il progetto di bilancio era stato redatto e prima dell’approvazione, lo stesso avrebbe potuto essere considerato solo se fosse stato di entità tale ‘ da avere un effetto rilevante sul bilancio ‘, ma così non era, dato i risultati di bilancio non sarebbero, comunque, variati in alcun modo, essendo l’operazione indubbiamente di competenza dell’esercizio 2020.Infine, anche i principi che disciplinano la revisione contabile
non impongono di modificare la relazione predisposta o di assicurare particolari informazioni quando si venga a conoscenza di un fatto sopravvenuto al deposito della relazione.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2427 e 2428 c.c. e dell’art. 14 d. lgs. n. 39/2010.
Espone lo studio ricorrente che i fatti successivi alla chiusura dell’esercizio non devono essere considerati dal redattore del bilancio, e ciò in forza di quanto previsto dall’art. 2423 bis n. 4 c.c., che impone di tenere conto solo dei fatti di competenza dell’esercizio. Se, peraltro, l’art. 2427 n. 22 quater) c.c. stabilisce come la nota integrativa debba indicare ‘la natura e l’effetto patrimoniale, finanziario ed economico dei fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio’, la collocazione della previsione chiarisce che tale onere ricade non certo su sindaci o revisori contabili, ma sugli amministratori. Il Tribunale aveva, inoltre, erroneamente affermato che l’operazione del 2.7.2020 avesse impattato sul risultato di esercizio 2019, essendo la stessa di competenza dell’esercizio 2020, né era di particolare importanza sia per la sua incontestata neutralità finanziaria, sia perché il virtuale esborso aveva come contropartita l’incremento dell’attivo patrimoniale, ove andava iscritta la partecipazione riacquisita.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2364 c.c., 2405 c.c., 2409 bis c.c., 14 d. lgs. n. 39/2010.
Espone lo studio ricorrente che i propri associati, nella loro qualità di revisori contabili, non avevano l’obbligo di partecipare alle assemblee sociali, unico modo in cui avrebbero potuto venire a conoscenza del fatto sopravvenuto di cui è causa. Né poteva replicarsi che i sindaci di cui è causa cumulavano entrambi i ruoli, dato che le obbligazioni connesse alle cariche sono distinte ed autonome.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1455, 1460 e 2236 c.c. nonché l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti. Espone lo studio ricorrente che l’eccezione di inadempimento, in caso di contratto a prestazioni corrispettive, può considerarsi giustificata solo qualora sia formulata con criteri di proporzionalità e buona fede.
Nel caso di specie, non vi era stata alcuna proporzione tra l’omissione di cui è causa e la decisione di negare qualsiasi compenso per l’attività svolta, anche perché lo stesso Tribunale aveva osservato che ‘da un punto di vista finanziario’ l’operazione non segnalata non aveva comportato ‘alcuna movimentazione in entrata o in uscita’, con la conseguenza che, sotto il profilo patrimoniale, non vi era stato alcun depauperamento o pregiudizio. In ogni caso, la questione era di elevata difficoltà, con la conseguenza che i professionisti potevano rispondere dei danni, a norma dell’art. 2236 c.c., solo in caso di dolo e colpa grave. Il profilo soggettivo non era stato, invece, considerato dal Tribunale. Rileva, infine, il ricorrente che avendo sottoposto all’esame del giudice di merito la questione dell’insussistenza della gravità dell’inadempimento contestato, gravava sullo stesso giudice uno specifico onere motivazionale.
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1455, 1460, 2402, 2403 e 2409 bis c.c. e 1 s. d. lgs. n. 39/2010.
Espone lo studio ricorrente che, essendo le funzioni di controllo previste dagli artt. 2403 s. c.c. e quello di effettuare la revisione dei conti, a norma degli artt. 1 s. d. lgs. n. 39/2010, diverse e distinte, tanto è vero che, nel caso di specie, al momento di conferimento dell’incarico, in sede di delibera assembleare, per ciascuna è previsto un compenso separato, la prestazione che si assume inadempiuta o non esattamente adempiuta attiene
all’attività che gli associati dovevano prestare quali revisori legali dei conti. Ne consegue che sarebbero dovute essere almeno compensate le attività svolte nella qualità di sindaci.
Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1460 c.c., 1218 e 1458 c.c., 112 c.p.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.
Espone il ricorrente che, anche a voler ritenere fondata l’eccezione svolta dal fallimento, questo non potrà avere come effetto quello di estinguere l’obbligazione di pagamento, potendo, eventualmente, il giudice, ove sia accertata la sussistenza di un pregiudizio arrecato alla società, ed effettuata la liquidazione, dar corso ad una compensazione tra il credito dei sindaci e quello risarcitorio vantato dalla società. Tuttavia, il Fallimento non ha svolto alcuna domanda risarcitoria, né ha eccepito la sussistenza di un credito da risarcimento del danno in grado di essere compensato con l’altrui credito.
Infine, il Tribunale, nel pronunciarsi su di un’eccezione di compensazione mai sollevata, ha violato l’art. 112 c.p.c., e nel pronunciare l’estinzione del credito vantato dai professionisti, e azionato mediante istanza di ammissione al passivo, ha omesso totalmente la motivazione su di una questione decisiva che aveva formato oggetto di discussione tra le parti.
Tutti i motivi del ricorso, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, presentano concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità. Ritiene questo Collegio che, ove il sindaco di una società fallita proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell’esclusione di un credito (al compenso maturato) del quale abbia chiesto l’ammissione, il Fallimento, dinanzi alla pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per paralizzarne l’accoglimento in
tutto o in parte, l’eccezione di totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da parte dello stesso ai propri obblighi contrattuali, e ciò in applicazione dei principi in tema di onere della prova nell’adempimento delle obbligazioni (nei contratti a prestazioni corrispettive) enunciati da questa Corte a partire dalla sentenza a Sezioni Unite n 13533/2001 (conf. 8615/2006, n. 15659/2011, n. 826/2015, n. 98/2019), che vanno modellati in relazione alla peculiarità delle funzioni del sindaco, che svolge un’attività di vigilanza dell’operato altrui.
In particolare, ove sia sollevata l’eccezione di inesatto adempimento, è, in primo luogo, onere del curatore provare quei fatti storici, attinenti alla gestione ovvero al concreto assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, sui quali si innesta la deviazione della condotta di generale vigilanza esigibile dal sindaco, nonchè l’allegazione di un comportamento specifico e negligente integrante l’inesatto adempimento del sindaco al suo dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società (cfr. Cass. n. 2343/2024, Cass. n. 3922/2024); spetta poi a quest’ultimo il compito di provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri inerenti alla carica (art. 2407, comma 1°, c.c.); questi ultimi, in effetti e a loro volta, non si esauriscono nel mero burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge, ma comportano l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai
fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e delle relative operazioni gestorie (vedi sul punto, recentemente, Cass. n. 3459/2024, punto 4.7., pag. 9; vedi anche Cass. n. 18770/2019; Cass. 32397/2019; Cass. n. 16314/2017).
Il dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2403 c.c. è, infatti, configurato dalla legge con particolare ampiezza poiché non è circoscritto all’operato degli amministratori, ma si estende al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello concorrente dei creditori sociali (vedi, recentemente, Cass. n. 2350/2024, punto 4.12, Cass. n. 2772 del 1999; Cass. n. 5287 del 1998; più di recente, in tema di sanzioni amministrative, Cass. n. 1601 del 2021): né, d’altra parte, riguarda solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo conferito ai componenti del relativo collegio il potere dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione, e, ove di tale scelte degli amministratori ne siano specificamente a conoscenza, di rappresentarle adeguatamente nelle proprie relazioni, nell’interesse dei creditori, della società, e di tutti i terzi che con la stessa vengono in contatto.
2. Nel caso di specie, il fatto storico, attinenti alla gestione ovvero al concreto assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società – da cui è scaturita la contestazione della curatela di un comportamento specifico e negligente dei sindaci, integrante l’inesatto adempimento al loro dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società -è pacifico e non contestato.
Lo studio ricorrente non contesta la ricostruzione del decreto impugnato, ovvero che, in prossimità della chiusura dell’esercizio 2019 (fine novembre 2019), la società poi fallita aveva ceduto il
pacchetto azionario RAGIONE_SOCIALE, così iscrivendo a conto economico la posta attiva di € 1.900.023,00, che le aveva consentito di chiudere l’anno sociale con l’esposizione di un significativo utile, salvo poi, a distanza di soli due mesi deliberare (alla seduta del 28.2.2000, cui erano presenti i componenti del Collegio Sindacale) un percorso di riacquisizione del medesimo pacchetto azionario, conclusosi con il riacquisto del 2.7.2020, il tutto senza che, dal punto di vista finanziario, fosse intervenuta alcuna movimentazione in entrata o in uscita.
Lo studio non contesta quindi che, alla data di approvazione del bilancio 2019 (30.10.2020), si era già verificato, nel luglio 2020, un evento (la retrocessione delle azioni) che, pur di competenza dell’anno 2020, aveva completamente azzerato la portata della posta attiva fondante il risultato positivo dell’esercizio 2019. Ciò che lo studio ricorrente invoca è che i sindaci fossero tenuti a segnalare tali fatti, sul rilievo che le norme di legge che regolano la loro attività (soprattutto con riferimento al contenuto della relazione da redigere in occasione dell’approvazione del bilancio), così come, del resto, quella dei revisori contabili (gli associati cumulavano entrambe le cariche) non imponessero ai sindaci un dovere di segnalazione dell’operazione, che, come detto, aveva avuto una così grande incidenza sul conto economico del 2019, e, conseguentemente, sulla esposizione di un utile significativo di gestione di una società, che si trovava in una situazione finanziaria già deteriorata.
Tale impostazione è erronea.
Come sopra evidenziato, i doveri dei sindaci non si esauriscono nel mero burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge, ma comportano l’obbligo di adottare, in relazione alle circostanze del caso concreto, ogni atto ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza
sull’amministrazione della società e delle relative operazioni gestorie.
Ne consegue che se gli amministratori hanno l’obbligo, ex art. 2427 n. 22 quater c.c., di indicare nella nota integrativa al bilancio ‘la natura e l’effetto patrimoniale, finanziario ed economico dei fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio’ e l’evento di cui è causa rientrava senz’altro in tali fatti, determinando in modo significativo una diversa lettura dell’utile di gestione conseguito nell’esercizio 2019 i sindaci, proprio perché il dovere di vigilanza loro imposto dall’art. 2403 c.c. si estende al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello concorrente dei creditori sociali, non possono sottrarsi, a loro volta, al dovere di segnalare i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio, soprattutto in una situazione, come ricostruito dal decreto impugnato, in cui gli stessi ne erano sin dall’inizio specificamente a conoscenza.
Inoltre, proprio per l’ampiezza del dovere di vigilanza imposto al sindaco dall’art. 2403 c.c., che riguarda l’adeguatezza dell’intero assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, non può lo studio ricorrente invocare, a difesa della posizione dei propri associati, che le funzioni di vigilanza il cui inesatto adempimento è stato contestato dalla curatela, riguardando il bilancio, attenevano alle sole mansioni svolte dagli stessi ma come revisori contabili.
Il dovere di segnalazione rimasto inadempiuto – gravante, nel caso di specie, a maggior ragione sui sindaci, in quanto presenti all’assemblea in cui era stato rappresentato l’evento che avrebbero dovuto segnalare – doveva essere dagli stessi sindaci adempiuto a prescindere dal rilievo se cumulassero o meno le funzioni di revisori contabili.
Quanto alla questione della gravità dell’inadempimento, va preliminarmente osservato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (vedi Cass. 10449/2020; Cass.
12182/2020; Cass. n. 6401/2015), in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.
Lo studio ricorrente contesta, inammissibilmente, la gravità dell’adempimento dei sindaci e la mancanza di proporzione tra l’omissione di cui è causa e la decisione del Tribunale di negare qualsiasi compenso per l’attività svolta, deducendo, in modo generico e apodittico, senza un’idonea illustrazione della propria doglianza (limitata all’evidenziazione del passaggio censurato del decreto impugnato), che il giudice di merito si sarebbe sottratto al ‘proprio specifico onere motivazionale’.
Il ricorrente si è limitato, altresì, ad invocare, inammissibilmente, che la prestazione dei sindaci implicava la soluzione di problemi di speciale difficoltà. Di tale problematica, tuttavia, non risulta traccia nel decreto impugnato, né lo studio associato ha dedotto di averla sottoposta all’esame del giudice di merito. Tale questione non può essere neppure prospettata per la prima volta in sede di legittimità, non essendo di mero diritto, ma implicando accertamenti di fatto estranei al giudizio di cassazione.
In ogni caso, va osservato che, come recentemente affermato da questa Corte (vedi Cass. n. 18587/2024; Cass. n. 12719/2021) l’eccezione di inadempimento non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione, in quanto la gravità dell’inadempimento è un requisito specificamente previsto dalla legge per la risoluzione e trova ragione nella radicale definitività di tale rimedio, mentre l’eccezione d’inadempimento non estingue il contratto, pur potendo il creditore avvalersi dell’eccezione anche nel caso di inesatto inadempimento.
Lo studio ricorrente lamenta che il Tribunale, nel pronunciare l’estinzione del credito vantato dai professionisti, ha totalmente omesso la motivazione su una questione decisiva che aveva formato oggetto di discussione tra le parti, ovvero che l’operazione di riacquisto della partecipazione in RAGIONE_SOCIALE non aveva avuto effetto sotto il profilo finanziario, non avendo arrecato un concreto pregiudizio alla società fallita.
Questo Collegio non condivide tale impostazione.
Come già sopra evidenziato, l’eccezione d’inadempimento, che può essere dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto, si limita a consentire alla parte che la solleva il legittimo rifiuto di adempiere (in tutto o in parte) in favore dell’altro contraente che a sua volta non ha adempiuto (o ha adempiuto inesattamente) la propria obbligazione, e, dunque, (salvo il limite della buona fede: Cass. n. 1690 del 2006) non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione del contratto e per l’azione di risarcimento dei danni conseguentemente arrecati, e cioè, rispettivamente, la gravità e la dannosità dell’inadempimento dedotto (cfr. Cass. n. 12719/2021; Cass. n. 2350/2024).
Infine, lo studio ricorrente si duole che la curatela, nel sollevare l’eccezione di inadempimento, abbia inteso paralizzare completamente la pretesa creditoria e negare integralmente il compenso dei due professionisti per l’anno 2020.
Anche tale censura presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.
In primo luogo, questa Corte (vedi Cass. n. 29252/2021) ha già enunciato, in tema di responsabilità dell’amministratore tale ragionamento può estendersi al sindaco -il principio di diritto secondo cui, in tema di compenso spettante all’amministratore di società a responsabilità limitata, la società può far valere in via di eccezione riconvenzionale, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l’inadempimento o il non corretto adempimento degli obblighi
assunti dall’amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costituivo, la cui violazione integra la responsabilità di tipo contrattuale ex art. 2476, primo comma, c.c.. A tal fine, il giudice è tenuto a procedere ad una valutazione comparativa dei comportamenti delle parti contrapposte tenendo conto dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute, e della loro incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto (sempre Cass. 29252/2021 in motivazione; Cass. 12978/2002).
Trattasi, anche questa, di valutazione di fatto sindacabile in sede di legittimità ma nei soli stretti limiti già sopra illustrati.
Nel caso di specie, dunque, il giudice di merito, nel negare l’ammissione al passivo di qualunque credito, ha ritenuto che l’inesatto adempimento dei sindaci non abilitasse gli stessi a chiedere alcun compenso. Tale valutazione, oltre a non essere sindacabile in sede di legittimità, in quanto apprezzamento di fatto, è stata compiuta facendo corretto uso dei principi enunciati da questa Corte (anche Cass. 2343/2024 e 3922/2024, S.U. n.13533/2001).
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 3.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 6.11.2024
Il Presidente
NOME COGNOME