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Doppio della caparra: recesso per inadempimento

La Corte d’Appello di Cagliari, in sede di rinvio, ha condannato i promittenti venditori di quote societarie a restituire il doppio della caparra confirmatoria. La decisione si fonda sul grave inadempimento dei venditori, che avevano taciuto l’esistenza di vincoli e finanziamenti agevolati gravanti sulla società, legittimando così il recesso della parte acquirente e la sua richiesta di ottenere il doppio della caparra versata, per un totale di 200.000 euro.

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Diritto al doppio della caparra: quando la mancata trasparenza costa caro

Comprare quote di una società è un’operazione complessa che richiede massima trasparenza. Ma cosa succede se, dopo aver firmato un preliminare e versato una cospicua caparra, si scopre che la realtà è ben diversa da quella promessa? Una recente sentenza della Corte d’Appello di Cagliari, decidendo in sede di rinvio, ha ribadito un principio fondamentale: chi nasconde vincoli essenziali è gravemente inadempiente e deve pagare il doppio della caparra ricevuta. Analizziamo questa vicenda che ha attraversato tutti i gradi di giudizio.

I fatti del caso: la vendita di quote societarie con ‘sorpresa’

Una società decide di acquistare il pacchetto di maggioranza di un club sportivo. Le parti firmano un contratto preliminare e l’acquirente versa una caparra confirmatoria di 100.000 euro. Successivamente, però, l’acquirente scopre che le quote societarie sono gravate da oneri e vincoli significativi, derivanti da contributi e finanziamenti agevolati concessi dalla Regione. Tali vincoli, mai dichiarati dai venditori, limitavano la trasferibilità delle quote e imponevano requisiti soggettivi stringenti per i soci, pena la decadenza dai benefici e la restituzione delle somme erogate. Di fronte a queste scoperte, la società acquirente esercita il diritto di recesso per grave inadempimento dei venditori e agisce in giudizio per ottenere la restituzione del doppio della caparra.

Il lungo percorso giudiziario

La controversia ha avuto un iter processuale lungo e complesso.

Dal primo grado alla Cassazione

Inizialmente, il Tribunale dà torto all’acquirente. La Corte d’Appello, in un primo momento, riforma la decisione, riconoscendo l’inadempimento dei venditori ma condannandoli solo alla restituzione della caparra semplice (100.000 euro), ritenendo la richiesta del doppio una ‘domanda nuova’ e quindi inammissibile in quella fase. La questione arriva fino in Corte di Cassazione, la quale chiarisce un punto cruciale: la richiesta di recesso e del conseguente doppio della caparra era stata formulata sin dall’inizio e non costituiva una domanda nuova. La Suprema Corte cassa quindi la sentenza d’appello e rinvia la causa alla stessa Corte d’Appello, in diversa composizione, per una nuova valutazione.

La decisione finale: legittimo il recesso e condanna al pagamento

Nella sentenza in commento, la Corte d’Appello, attenendosi ai principi stabiliti dalla Cassazione, accoglie pienamente la domanda dell’attrice. Viene dichiarato legittimo l’esercizio del diritto di recesso a causa del grave inadempimento dei promittenti venditori. Di conseguenza, questi ultimi vengono condannati in solido al pagamento di 200.000 euro, ovvero il doppio della caparra confirmatoria, oltre agli interessi legali dalla data della domanda giudiziale.

Le motivazioni

La decisione si fonda sull’articolo 1385 del Codice Civile, che disciplina la caparra confirmatoria. La Corte ha stabilito che la mancata comunicazione dell’esistenza di vincoli derivanti da finanziamenti pubblici, che incidevano pesantemente sul valore e sulla libera trasferibilità delle quote, costituisce un inadempimento di non scarsa importanza. I venditori avevano garantito la piena proprietà e libera disponibilità delle quote, una garanzia che si è rivelata falsa. Questo comportamento ha violato il principio di buona fede contrattuale e ha legittimato pienamente la reazione dell’acquirente, che ha scelto di recedere dal contratto e chiedere la sanzione prevista dalla legge: la restituzione del doppio di quanto versato come caparra.

Le conclusioni

Questa sentenza è un monito importante per chi vende quote o partecipazioni societarie: la trasparenza è un obbligo, non una cortesia. Omettere informazioni cruciali che possono influenzare la decisione della controparte non solo espone alla risoluzione del contratto, ma anche a conseguenze economiche severe come la condanna al pagamento del doppio della caparra. Per gli acquirenti, invece, emerge la conferma che lo strumento della caparra confirmatoria offre una tutela forte e immediata di fronte all’inadempimento altrui, consentendo di uscire dal contratto e ottenere una somma predeterminata a titolo di risarcimento senza dover provare l’esatto ammontare del danno subito.

Quando si ha diritto a chiedere il doppio della caparra confirmatoria?
Si ha diritto a esigere il doppio della caparra confirmatoria quando la parte che l’ha ricevuta (in questo caso, i venditori) si rende inadempiente agli obblighi contrattuali. L’altra parte (l’acquirente) può legittimamente recedere dal contratto e richiedere il pagamento del doppio della somma versata a titolo di caparra, come previsto dall’art. 1385 del Codice Civile.

La mancata comunicazione di vincoli su quote societarie costituisce grave inadempimento?
Sì, secondo la sentenza, nascondere l’esistenza di vincoli di destinazione e trasferibilità derivanti da finanziamenti pubblici, che diminuiscono il valore delle quote e ne limitano la circolazione, rappresenta un grave inadempimento contrattuale. Questo perché viola la garanzia di piena proprietà e libera disponibilità dei beni promessi in vendita e lede l’affidamento della parte acquirente.

È possibile che una domanda di recesso e doppio della caparra, sebbene formulata nell’atto iniziale, venga considerata ‘nuova’ in appello?
No. La Corte di Cassazione, in questo caso, ha chiarito che se la domanda di accertamento del recesso e di condanna al pagamento del doppio della caparra è stata avanzata sin dal primo atto del giudizio, anche se in via subordinata, non può essere considerata una domanda nuova e inammissibile nelle fasi successive del processo, come l’appello. La sua riproposizione è pienamente legittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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