Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14712 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14712 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23144/2022 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE spa , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME
OGGETTO:
cessione di ramo d’azienda dichiarata inefficace -conseguenze
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME elett. dom.ti presso il domicilio digitale del difensore, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrenti -ricorrenti incidentali
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Brescia n. 149/2022 pubblicata in data 16/05/2022, n.r.g. 316/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 03/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME e gli altri avevano chiesto ed ottenuto dal Tribunale di Mantova decreti ingiuntivi nei confronti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE spa, a titolo di retribuzioni maturate successivamente alla sentenza del 13/09/2016 (confermata poi in appello e divenuta giudicato a seguito di Cass. n. 18949/2021, che aveva confermato la sentenza d’appello), con cui lo stesso Tribunale aveva dichiarato inefficace nei loro confronti la cessione di ramo d’azienda intervenuta tra la banca e RAGIONE_SOCIALE ed aveva ordinato alla prima di ripristinare i rapporti di lavoro. In particolare i provvedimenti monitori avevano ad oggetto le retribuzioni spettanti dalla messa in mora del 14/10/2016 fino al 31/08/2019 e per alcuni fino al 31/03/2020.
2.- Con due sentenze nn. 99/2021 e 182/2021 il Tribunale rigettava le opposizioni proposte da RAGIONE_SOCIALE e compensava le spese di lite.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame principale interposto dalla banca e l’appello incidentale con cui i lavoratori si dolevano della compensazione delle spese del primo grado di giudizio.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
i sette motivi dell’appello principale ripropongono questioni ormai tutte superate alla luce di Cass. n. 17784/2019, seguita dal Tribunale e che ha inaugurato il nuovo orientamento di legittimità;
il fatto che i lavoratori percepiscano per il medesimo periodo due retribuzioni dipende unicamente dalla condotta di RAGIONE_SOCIALE, che ha scelto di non adempiere alla sentenza di inefficacia della cessione di ramo d’azienda e di protrarre l’inadempimento per anni;
peraltro, mai è stata allegata una qualche ragione atta a giustificare un ritardo o un ostacolo nel ripristino dei rapporti di lavoro;
l’esistenza del precedente orientamento della Corte di Cassazione circa la natura risarcitoria (e non retributiva) dell’obbligazione del cedente che non avesse ripristinato i rapporti di lavoro non può fondare alcun legittimo affidamento, poiché comunque RAGIONE_SOCIALE aveva l’obbligo di ripristinare i rapporti di lavoro e lo ha violato e se non lo avesse violato nessun effetto pregiudizievole avrebbe subìto;
non si configura il c.d. overruling che riguarda solo i mutamenti giurisprudenziali su norme processuali;
non è fondato neppure il motivo relativo ai conteggi del quantum, che si ricava aritmeticamente dalla busta paga emessa da MPS per ciascun lavoratore;
quanto all’appello incidentale, va considerato che i numerosi decreti ingiuntivi sono stati emessi subito dopo Cass. n. 17784/2019 e sulla scorta solo di questa sentenza e delle altre due emesse in pari data (Cass. n. 11785/2019 e Cass. n. 17786/2019);
al momento della proposizione dell’opposizione da parte di RAGIONE_SOCIALE il nuovo orientamento, per quanto autorevole, non era ancora consolidato, il che giustificava la decisione di RAGIONE_SOCIALE di resistere in giudizio;
una volta opposti i primi decreti ingiuntivi, giocoforza dovevano essere opposti anche i successivi, non potendo MPS comportarsi diversamente nei confronti dei vari lavoratori tutti in identica posizione;
inoltre il comportamento di MPS è stato ragionevole, perché vi erano ragioni di prudenza legale alle particolarità della fattispecie concreta (alto numero di lavoratori coinvolti, rilevante importanza economica della vicenda, particolare situazione dei lavoratori transitati in una società solida come RAGIONE_SOCIALE) che inducevano la banca, tenuto conto
della brevità dei termini per proporre opposizione, ad una difesa giudiziale volta a cercare di dimostrare la persistente validità dell’orientamento giurisprudenziale precedente;
la reciproca soccombenza giustifica la compensazione anche delle spese dell’appello.
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
5.- NOME NOME e gli altri indicati in epigrafe hanno resistito con controricorso ed a loro volta hanno proposto ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
6.- RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.
7.- Le parti hanno depositato memoria.
8.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
RICORSO PRINCIPALE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 3, 36 Cost., 2094, 2099 e 2126 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che un lavoratore possa rendere contemporaneamente due prestazioni lavorative in favore di due diversi datori di lavoro ed essere così retribuito due volte.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2112 e 2126 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che un lavoratore possa intrattenere contemporaneamente due rapporti di lavoro ed essere così retribuito due volte.
I due motivi -da esaminare congiuntamente per la loro connessione -sono infondati.
A partire dalla sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 29/2019 (pronunziata a seguito di Cass. sez. un. n. 2990/2018), questa Corte ha più volte affermato che ‘ In caso di accertata illegittimità della cessione di ramo d’azienda, le retribuzioni corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative
in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa, in quanto l’invalidità della cessione determina l’istaurazione di un diverso ed autonomo rapporto di lavoro, in via di mero fatto, con il cessionario’ ( ex multis Cass. n. 21158/2019; Cass. n. 21160/2019; Cass. ord. n. 22428/2021; Cass. ord. n. 35982/2021; Cass. ord. n. 9143/2023).
Da tale principio di diritto non vi è ragione di discostarsi, anche perché conforme ad una ricostruzione complessiva del sistema, che prende le mosse da C. Cost. n. 303/2011, secondo cui, in tema di contratto a tempo determinato con clausola relativa al termine finale nulla, per il periodo successivo alla sentenza di accertamento e di dichiarazione della nullità del termine gli obblighi a carico del datore di lavoro sono di natura retributiva, a nulla rilevando che, durante il periodo di mancato ripristino del rapporto di lavoro, il dipendente abbia lavorato presso terzi.
A tali principi di diritto si è conformata la Corte territoriale.
2.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 1207, 1208 e 1217 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che i lavoratori abbiano effettuato una valida offerta della prestazione invece insussistente, omettendo di rilevare che avevano offerto a RAGIONE_SOCIALE identica e unica prestazione che avevano già reso a RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha esattamente configurato l’esistenza di due rapporti di lavoro, uno de iure ricostituito dal giudice, l’altro de facto alle dipendenze del cessionario. Ne consegue che giammai l’offerta di prestazioni lavorative formulata nell’ambito del primo rapporto può essere identificata con l’esecuzione della prestazione avvenuta nell’ambito del secondo. Anzi, a ben vedere in quest’ultimo un’offerta nel senso di cui agli artt. 1207 e 1217 c.c. è inesistente, poiché non necessaria, atteso che RAGIONE_SOCIALE non ha rifiutato, anzi ha ricevuto e utilizzato le prestazioni lavorative dei dipendenti ceduti e quindi nessuna offerta (necessaria ai fini della messa in mora) era da formulare.
3.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3),
c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 1207 c.c. per aver la Corte territoriale mancato di ritenere che le prestazioni lavorative offerte, ma non ricevute, si estinguono, dando luogo solo al risarcimento del danno e che il ‘guadagno alternativo’ conseguito dal lavoratore deve sempre essere dedotto dall’eventuale trattamento retributivo a carico del cedente a seguito della costituzione in mora.
Il motivo è infondato.
Le prestazioni offerte e non ricevute determinano comunque l’insorgenza dell’obbligazione corrispettiva retributiva. Vero è che non possono più essere eseguite in quella frazione temporale ormai trascorsa. Ciononostante, nelle pronunzie sopra citate questa Corte ha più volte precisato che mediante la mora credendi la prestazione offerta viene dall’ordinamento equiparata a quella eseguita e ciò giustifica, dunque, la corrispettiva obbligazione retributiva in capo al datore di lavoro, il quale senza giustificato motivo abbia rifiutato di ricevere quella prestazione lavorativa.
Nessuna detrazione dell’ aliunde perceptum è configurabile, sia perché trattasi di istituto proprio dell’obbligazione risarcitoria ed estraneo, invece, a quella retributiva, sia perché i rapporti di lavoro sono due e le prestazioni lavorative sono due, sicché proprio in omaggio al principio di corrispettività il lavoratore ha diritto a due retribuzioni. Peraltro, va evidenziato che la possibilità di eseguire una prestazione lavorativa aliunde , nell’ambito del rapporto di fatto con il cessionario ex art. 2126 c.c., al lavoratore è data proprio dal cedente, che illegittimamente (senza giustificato motivo) rifiuta di ricevere la prestazione lavorativa. Dunque questa è soltanto un’ulteriore conseguenza di un fatto illegittimo proprio del cedente, sicché imputet sibi .
4.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 25 Cost., 614 bis c.p.c. e 2112 c.c. per avere la Corte territoriale, mediante l’affermazione della c.d. doppia retribuzione, inteso sanzionare il datore di lavoro che non ottemperi all’ordine di riammissione in servizio, finendo per applicare l’art. 614 bis c.p.c. invece inapplicabile al le controversie relative ai rapporti di lavoro subordinato, come espressamente previsto dal legislatore.
Il motivo è infondato.
Come ritenuto dalla Corte territoriale, l’obbligo retributivo a carico del
cedente non rappresenta una ‘sanzione’, che presuppone un carattere afflittivo, derivante dal fatto di essere un quid pluris , sul piano processuale, rispetto a ciò che già il diritto sostanziale riconosce alla parte vittoriosa in giudizio.
Invece, nel caso di specie la c.d. doppia retribuzione non è un quid pluris , ma solo il regime giuridico che ordinariamente il diritto sostanziale riconosce in presenza di due rapporti di lavoro con le connesse obbligazioni corrispettive. Quindi non sussiste quel carattere di afflittività, tipico della ‘sanzione’ ex art. 614 bis c.p.c.
5.Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 27 e 29 d.lgs. n. 276/2003, 38 d.lgs. n. 81/2015, 1180 e 2112, co. 6, c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevante l’appalto fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e negato l’efficacia liberatoria dei pagamenti effettuati da RAGIONE_SOCIALE quale appaltatore.
Il motivo è infondato.
Le norme sull’appalto illecito presuppongono l’accertamento dell’illiceità dell’appalto, che invece nel caso di specie è mancata. In secondo luogo quelle norme fanno riferimento all’efficacia liberatoria dei pagamenti eseguiti dall’appaltatore sul presupposto che il reale datore di lavoro sia il committente, che nello schema dell’appalto è l’utilizzatore delle prestazioni lavorative.
La fattispecie della cessione di ramo d’azienda dichiarata inefficace nei confronti del lavoratore è totalmente diversa: è il cessionario (che secondo la tesi di RAGIONE_SOCIALE equivarrebbe all’appaltatore) a ricevere e ad utilizzare le prestazioni lavorative e quando paga le retribuzioni, dunque, adempie il debito proprio ai sensi dell’art. 2126 c.c. e non un debito altrui (condizione invece essenziale per l’applicabilità dell’art. 1180 c.c. sull’adempimento del terzo). Dal suo canto il cedente (che secondo la tesi di RAGIONE_SOCIALE equivarrebbe al committente) non riceve né utilizza la prestazioni lavorative, perché anzi con la cessione (poi dichiarata illegittima e quindi inefficace verso i lavoratori) ha inteso liberarsene.
L’evidente diversità strutturale e funzionale fra appalto illecito e cessione di ramo d’azienda dichiarat a illegittima rende inapplicabile, anche in via analogica, alla seconda le norme invocate dalla ricorrente, dettate per
l’appalto .
RICORSO INCIDENTALE
6.- Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. i ricorrenti incidentali lamentano la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per avere la Corte territoriale sia erroneamente rigettato il loro appello incidentale, con cui si erano doluti della compensazione delle spese del primo grado di giudizio, sia erroneamente disposto la compensazione anche delle spese di appello.
Il motivo è inammissibile in relazione alla prima censura.
In primo luogo va respinta la tesi dei ricorrenti incidentali, secondo cui la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare l’art. 92 c.p.c. nella sua rigorosa formulazione introdotta con il d.l. n. 132/2014 conv. in L. n. 162/2014. Va infatti considerato che tale norma era stata dichiarata parzialmente illegittima dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 77/2018), che, con una sentenza ‘additiva’, aveva aggiunto anche la fattispecie ‘di chiusura’ delle altre ‘gravi ed eccezionali ragioni’.
Orbene, proprio questa fattispecie è stata riconosciuta sussistente dalla Corte territoriale (v. sentenza impugnata, p. 28 ss.), senza che al riguardo i ricorrenti incidentali abbiano mosso specifica censura.
Ulteriori profili di inammissibilità attengono alla sollecitazione rivolta a questa Corte circa la valutazione degli elementi ritenuti dai giudici di appello idonei a giustificare la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, insindacabile in sede di legittimità qualora -come nella specie -adeguatamente motivata.
Il motivo è infondato in relazione alla seconda censura.
Infatti, l’esito del giudizio di secondo grado è stato di rigetto sia dell’appello principale, sia di quello incidentale, sicché sussiste sul piano sia strutturale che funzionale la ‘reciproca soccombenza’ la cui valutazione è riservata al giudice di merito -idonea a giustificare la compensazione.
7.- Quanto alle spese del giudizio di legittimità, ne va disposta la compensazione di un terzo: la reciproca soccombenza non è connotata dalla ‘equivalenza’ delle soccombenze, attesa la diversa portata del ricorso principale -molto più complesso e articolato ed economicamente molto più significativo -rispetto al ricorso incidentale (limitato al capo relativo alle
spese processuali), sicché il rigetto del primo ha un ‘peso’ maggiore del rigetto del secondo. Quindi sussiste certo la reciproca soccombenza, ma questa giustifica una compensazione solo parziale (e non totale) delle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa un terzo delle spese del giudizio di legittimità e condanna la ricorrente principale a rimborsare ai controricorrenti-ricorrenti incidentali i residui due terzi, che liquida in euro 16.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in