Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22494 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22494 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 07126/2024 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore , Sig. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura inserita nella busta telematica di notifica e da considerarsi in calce al ricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-ricorrente-
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ; rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura in calce al controricorso , rilasciata dall’Avv. NOME COGNOME procuratrice ad lites della società con poteri di rappresentanza
anche sostanziale, per atto notaio NOME COGNOME di Modena del 14 ottobre 2013; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza n. 83/2024 del la CORTE d’APPELLO di BOLOGNA, pubblicata il 15 gennaio 2024, notificata il 16 gennaio 2024; udìta la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata il 16 luglio 2018, la RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Modena, la RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, deducendo che:
nel febbraio 1994 aveva acquistato dall’allora RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE) una pressa raccoglitrice gigante modello 4880 al prezzo di Lire 84.549.500 (pari ad Euro 43.666,17) per rivenderla, quasi contestualmente, a NOME COGNOME al prezzo di Lire 106.000.000 (Euro 54.744,43), da saldarsi con acconto di Lire 43.000.000 (Euro 22.207,65) e successivo saldo di Lire 63.000.000 (Euro 32.536,78);
nel 1996, poiché la pressa raccoglitrice era affetta da vizi che la rendevano inidonea all’uso cui era destinata , NOME COGNOME l’aveva convenuta per la risoluzione del contratto dinanzi al Tribunale di Bari; dopo che essa società si era costituita in giudizio, chiamando in manleva la RAGIONE_SOCIALE il Tribunale di Bari, con sentenza del 14 maggio 2007 (confermata in appello e passata in giudicato il 9 novembre 2015), aveva accolto la domanda principale, dichiarando la risoluzione del contratto concluso da essa con il sig.
COGNOME e condannandola alla restituzione dell’acconto di Euro 22.207,65; anche la domanda accessoria di garanzia era stata tuttavia accolta, con condanna della RAGIONE_SOCIALE a manlevarla di quanto avrebbe dovuto pagare a NOME COGNOME;
la risoluzione del contratto di compravendita stipulato con il sig. COGNOME era imputabile esclusivamente al contegno inadempiente della RAGIONE_SOCIALE che le aveva fornito per la rivendita un bene viziato; in conseguenza di tale risoluzione, che aveva fatto venir meno l’obbligo del compratore di pagare il prezzo, essa venditrice aveva subìto un danno, pari al saldo non incassato del corrispettivo della rivendita (Lire 63.000.000).
Sulla base di queste deduzioni, la RAGIONE_SOCIALE domandò che la RAGIONE_SOCIALE fosse condannata a pagarle, a titolo risarcitorio, la somma di Euro 32.536,78, pari a Lire 63.000.000.
Costituitasi in giudizio, la società convenuta eccepì la prescrizione dell’azione risarcitoria, ai sensi dell’art. 1495 cod. civ., perché proposta dopo che era trascorso oltre un anno dalla consegna della pressa e, nel merito, resistette alla domanda, deducendo, in particolare, l’assenza di prova del danno, peraltro da quantificarsi, al limite, nella somma di Lire 21.450.500, pari alla differenza tra il prezzo di acquisto del bene da parte dell’attrice e quello di rivendita dello stesso a l sig. COGNOME da cui avrebbe dovuto anche detrarsi l’acconto da quest’ultimo versato e pacificamente trattenuto dalla venditrice.
Con la prima memoria di cui all’art. 183 cod. proc. civ., la società attrice precisò che la domanda risarcitoria era tesa ad accertare, sulla
scorta del medesimo fatto storico, non solo la responsabilità contrattuale della RAGIONE_SOCIALE, ma anche quella precontrattuale (per averla indotta con dolo a stipulare un contratto annullabile, tacendole scientemente i vizi del bene venduto) ed extracontrattuale, per avere immesso sul mercato un bene progettualmente errato, non collaudato e inidoneo all’uso cui era destinato.
Con sentenza 30 luglio 2021, n. 1196, il Tribunale di Modena, disattese le richieste istruttorie formulate dall’attrice, rigettò la domanda con statuizione basata su una duplice ratio decidendi .
Per un verso , ritenne fondata l’ eccezione di prescrizione, sia che il termine fosse di durata annuale a decorrere dalla consegna della cosa (per essere l’azione risarcitoria fondata sulla disciplina della garanzia per i vizi della cosa venduta, ex art.1492 ss. cod. civ.), sia che fosse di durata decennale a decorrere dalla manifestazione del danno (ove fosse stata ritenuta integrata , come sostenuto dall’attrice, un ‘ipotesi di aliud pro alio ), atteso che tale manifestazione doveva farsi risalire al 1996, anno in cui NOME COGNOME aveva proposto l’azione risolutoria.
Per altro verso, doveva escludersi la prova del danno (in astratto quantificabile non già nel mancato incasso del saldo di Lire 63.000.000 ma nella minor somma di Lire 21.450.500, pari alla differenza tra il prezzo di iniziale di acquisto del bene e quello di rivendita del medesimo), avuto riguardo al contegno serbato dalla presunta danneggiata, valutabile ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., la qu ale, da un lato, aveva omesso di domandare la risoluzione del contratto e le conseguenti restituzioni nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
facendone valere l’inadempimento rispetto al contratto con essa stipulato e, dall’a ltro lato, aveva invece trattenuto sia la pressa restituitale da NOME COGNOME, sia l’a cconto da questi versatole.
La decisione del Tribunale di Modena è stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna che, con sentenza 15 gennaio 2024, n. 83, ha rigettato l’ appello della RAGIONE_SOCIALE sulla base dei seguenti rilievi:
Ianzitutto, erano inammissibili i motivi con i quali si era lamentata l’omessa pronuncia in merito alle domande di responsabilità extracontrattuale o precontrattuale, dal momento che esse non erano state formulate con l’originario atto di citazione (ove era stato evocato solo il contegno inadempiente, e dunque l’ illecito contrattuale, della RAGIONE_SOCIALE), ma solo con la prima memoria di cui all’art. 183 cod. proc. civ., concretando, in quanto basate su fatti storici nuovi e diversi da quelli posti a fondamento della domanda originaria, una inammissibile mutatio libelli ;
IIin ogni caso, ad colorandum , mancava agli atti qualsiasi prova della fondatezza di tali domande;
IIIera infondato il motivo di gravame diretto a censurare la statuizione sulla prescrizione, cosicché risultava irrilevante la questione se nella fattispecie fosse ravvisabile una vendita aliud pro alio , in relazione alla quale sarebbe comunque maturata la prescrizione decennale decorrente, secondo i diversi orientamenti, o dalla consegna della cosa (nella fattispecie avvenuta nel 1994) o dalla manifestazione del danno, per come obiettivamente percepibile e riconoscibile; manifestazione da collocarsi temporalmente nel 1996, anno in cui, in
seguito all’azione risolutoria del contratto di rivendita esercitata da NOME COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE aveva avuto « completa conoscenza dell’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE e piena consapevolezza anche delle conseguenze dannose che ad essa ne sarebbero potute derivare », tra cui la perdita del « guadagno ottenuto dalla rivendita della macchina al COGNOME ad un prezzo maggiore di quello di acquisto » (pag. 4 della sentenza impugnata);
IVritenuto « superfluo l’esame della fondatezza degli altri motivi di gravame » (pag.3), da reputarsi quindi assorbiti, la Corte territoriale ha infine rilevato che « la RAGIONE_SOCIALE.n.cRAGIONE_SOCIALE, che pure aveva chiesto nel 1996 al Tribunale di Bari, ed ottenuto, di essere tenuta indenne delle pretese del Lorusso dalla New Holland in ragione dell’inadempimento di questa nei suoi confronti, non nei confronti della venditrice da lui chiamata in causa anche la domanda di risarcimento dei danni derivanti dai medesimi fatti », quantunque si trattasse « di danni che del tutto prevedibilmente sarebbero derivati dalla non conformità della macchina e quindi dall’accoglimento della domanda di risoluzione proposta dal COGNOME » (pag.4 della sentenza impugnata).
Avverso la sentenza della Corte felsinea, propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, sulla base di quattro motivi.
Risponde con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo viene denunciata « Nullità della sentenza per violazione ex art. 360 n. 4 in relazione agli artt. 183 e 112 e 132 cpc. ».
La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha ritenuto che fossero inammissibili i motivi d’appello con cui era stata lamentata l’omessa pronuncia in merito alle domande di responsabilità extracontrattuale e precontrattuale, sul presupposto che si trattasse di domande ‘nuove’, tardivamente formulate solo con la prima memoria di cui all’art. 183 cod. proc. civ..
La società ricorrente reputa che tale statuizione sia illegittima, in primo luogo perché ha ritenuto ‘nuove’ le domande di responsabilità precontrattuale ed extracontrattuale quantunque fossero fondate sugli stessi fatti storici sui quali era basata la domanda di responsabilità contrattuale; in secondo luogo, per motivazione apparente e/o contraddittoria, perché, pur richiamando, in astratto, il principio di diritto per cui costituisce domanda nuova quella relativa ad un diritto c.d. eterodeterminato allorquando i fatti storici allegati a sostegno dell ‘ azione vengono sostituiti o integrati da fatti nuovi e diversi, lo avrebbe poi disapplicato in concreto.
Priva di motivazione, infine, sarebbe la statuizione volta a sancire l’infondatezza delle predette domande, la quale sarebbe stata resa « in violazione del principio di minimo costituzionale motivazionale ».
Con il secondo motivo viene denunciata « Nullità della sentenza ex art. 360 n.4 in relazione all’art. 132 cpc per motivazione inesistente
in quanto solo apparente e contraddittoria, nonché violazione dell’art. 112 cpc ».
La sentenza d’ appello è censurata nella parte in cui ha confermato la statuizione di primo grado circa la maturata prescrizione del diritto risarcitorio azionato, per avere erroneamente sussunto la domanda nell’alveo della disciplina di cui agli artt. 1490 ss. cod. civ..
La società ricorrente osserva che oggetto della domanda, così come introdotta con l’atto di citazione del 16 luglio 2018, era il risarcimento dei danni da essa subìti in ragione della risoluzione, imputabile esclusivamente al contegno della RAGIONE_SOCIALE, del contratto di rivendita della pressa gigante a NOME COGNOME per effetto della quale essa non aveva potuto incassare il saldo del prezzo, pari ad Euro 32.536,78.
L’ erroneo inquadramento della domanda nell’ambito dell’« azione redibitoria e/o di risarcimento in relazione a vizi della cosa compravenduta » (pag.16 del ricorso) avrebbe implicato il successivo errore circa la fissazione dell’ exordium praescriptionis alla data dell’esercizio dell’azione risolutoria da parte di NOME COGNOME (anno 1996) anziché alla successiva data del passaggio in giudicato della relativa sentenza (anno 2015).
Con il terzo motivo viene denunciata « falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n.3 in relazione agli artt. 1490, 1492, 1495, 1218, 2043, 1337 cc. Sussunzione della fattispecie concreta a norme non pertinenti ».
Anche con questo motivo viene censurata la sentenza impugnata per non avere tenuto conto che la domanda proposta dalla COGNOME
s.n.c. aveva ad oggetto il danno da essa subìto per effetto della risoluzione -imputabile alla CNH -del contratto (a valle) di rivendita della pressa a NOME COGNOME e non l’ accertamento dei vizi del bene che aveva formato oggetto del contratto (a monte) di acquisto dal produttore.
Con il quarto motivo viene denunciata « Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n.3 cpc in relazione agli artt. 2935, 2946 e 2947 cc ».
La sentenza d’appello è censurata per avere fissato al tempo della domanda di risoluzione del contratto di rivendita del macchinario, proposta da NOME COGNOME il momento in cui la RAGIONE_SOCIALE aveva avuto la percepibilità del danno imputabile al contegno tenuto dalla RAGIONE_SOCIALE nel contratto (a monte) di fornitura dello stesso, quale momento in cui sarebbe divenuto « evidente che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe … perso il guadagno ottenuto dalla rivendita » (pag.19 del ricorso).
La società ricorrente sostiene -richiamando precedenti di questa Corte (in particolare la pronuncia n. 9248 del 2020) -che, al contrario, il danno sarebbe divenuto concreto e attuale soltanto al momento del definitivo accoglimento dell’azione esercitata dal sig. COGNOMEdunque, nel 2015, epoca del passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Bari), in conformità al principio di diritto per cui la prescrizione dell ‘ azione di responsabilità contrattuale, allorché il danno consegue all’accoglimento giudiziale di una altrui pretesa, comincia a decorrere dal momento in cui passa in giudicato la sentenza con la quale la suddetta pretesa viene accolta (o, quantomeno, viene emesso un provvedimento giudiziale che possa essere messo in esecuzione),
perché solo in quel momento il danno, da meramente potenziale, diventa attuale.
5. Il ricorso è inammissibile.
La statuizione di rigetto della domanda risarcitoria formulata dalla RAGIONE_SOCIALE, emessa dal Tribunale, era stata basata su due distinte e autonome rationes decidendi .
La prima ratio decidendi trovava fondamento nell’accoglimento dell’ eccezione di prescrizione sollevata dalla CNH s.p.a..
Poiché la RAGIONE_SOCIALE -come più volte da essa stessa ribadito -aveva domandato il risarcimento del danno asseritamente derivatole dalla risoluzione del contratto (a valle) di rivendita del macchinario a NOME COGNOME deducendo che essa risoluzione era imputabile al contegno tenuto nei suoi confronti dalla RAGIONE_SOCIALE in esecuzione del contratto (a monte) di fornitura del macchinario medesimo (contegno da reputarsi inadempiente per avere la RAGIONE_SOCIALE fornito un bene gravato da vizi di progettazione e di fabbrica), il primo giudice aveva qualificato la domanda proposta dalla società attrice come domanda di accertamento della responsabilità contrattuale della società convenuta e aveva calcolato il termine di prescrizione sia in applicazione della disciplina speciale dei vizi redibitori di cui agli artt. 1490 ss. cod. civ., sia in applicazione della regola generale in tema di azione risarcitoria per inadempimento, fiss ando l’ exordium praescriptionis al tempo (anno 1996) della proposizione dell’azione di risoluzione del contratto da parte di NOME COGNOME (momento in cui il danno si sarebbe manifestato per come obiettivamente percepibile e riconoscibile dalla RAGIONE_SOCIALE), concludendo che all’epoca dell a proposizione dell’odierna
azione risarcitoria (anno 2018) il suddetto termine fosse inesorabilmente decorso.
La seconda ratio decidendi trovava fondamento nel rilievo del difetto di prova del danno risarcibile.
Proprio in quanto il petitum della domanda era circoscritto al danno specificamente conseguito alla risoluzione del contratto di rivendita, il danno risarcibile, già in astratto, non avrebbe potuto essere superiore a Lire 21.450.500, ovverosia alla differenza tra il prezzo pagato per l’acquisto del bene nel contratto a monte e il prezzo convenuto per la rivendita nel contratto a valle.
Di tale danno, comunque da quantificarsi in misura più limitata rispetto a quella dedotta, non vi era poi alcuna prova, sia perché la RAGIONE_SOCIALE aveva trattenuto (evidentemente in conseguenza dell’ accoglimento della domanda di manleva proposta nel primo giudizio ) l’ acconto di Lire 43.000.000 (Euro 22.207,65) ricevuto dal sig. COGNOME (acconto di entità persino doppia rispetto a quella del possibile danno), sia perché alla sua produzione avrebbe concorso, ex art. 1227 cod. civ., il fatto colposo della stessa danneggiata, la quale aveva omesso di esercitare immediatamente l’azione risolutoria nei confronti della società fornitrice, limitandosi ad formulare nei suoi confronti la domanda di manleva.
Le illustrate, distinte e autonome rationes decidendi della statuizione di rigetto sono state esplicitate ex professo dalla sentenza di primo grado, mentre quella di secondo grado, la quale, per un verso ha motivatamente rigettato i motivi di gravame concernenti la prima
ratio e, pe r l’altro, ha dichiarato assorbiti quelli relativi alla seconda ratio , non è stata , su quest’ultimo punto, debitamente censurata.
Ciò posto, si palesa con evidenza l’ inammissibilità del ricorso.
7.1. Il primo motivo -nella parte in cui critica la statuizione di inammissibilità dei motivi d’appello diretti a censurare l’omessa pronuncia in merito alle domande di responsabilità extracontrattuale e precontrattuale -è inammissibile sol che si consideri la prima delle due rationes della decisione di merito impugnata.
Al cospetto della declaratoria di prescrizione dell’azione contrattuale è infatti del tutto irrilevante la questione se le domande di accertamento della responsabilità precontrattuale ed extracontrattuale proposte con la prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ., fossero ammissibili (in quanto espressione di una mera emendatio libelli fondata sull’invarianza dei fatti storici originariamente dedotti) o inammissibili (in quanto espressione di indebita mutatio libelli fondata sull’allegazione di fatti nuovi e diversi rispetto a quelli originariamente dedotti). Trattandosi di domande soggette ad un più breve termine prescrizionale, la dedotta omissione di pronuncia resterebbe infatti ininfluente alla stregua della decisione assunta.
7.2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo -i quali non si confrontano con la seconda ratio decidendi della decisione di primo grado, già impugnata con motivi reputati assorbiti dalla pronuncia di secondo grado, senza che tale statuizione sia stata in questa sede debitamente censurata -sono invece inammissibili per la loro inidoneità ad incidere sul decisum della sentenza impugnata.
Essi, infatti, come si è visto, criticano la sentenza d’appello per avere fissato l’ exordium praescriptionis all’epoca della prop osizione dell’azione risolutoria da parte di NOME COGNOME (anno 1996), anziché all’ep oca (successiva) di passaggio in giudicato della relativa sentenza (anno 2015) o, in subordine, di emissione di un provvedimento idoneo all’esecuzione , deducendo che in tale errore la Corte territoriale sarebbe incorsa, da un lato (secondo e terzo motivo), per avere sussunto la domanda nel l’ambito della disciplina dell’« azione redibitoria e/o di risarcimento in relazione a vizi della cosa compravenduta » (pag. 16 del ricorso), senza tener con to che l’ oggetto della pretesa era il risarcimento del danno « subito dalla RAGIONE_SOCIALE a causa della risoluzione giudiziale (imputabile esclusivamente alla odierna convenuta) del contratto da essa RAGIONE_SOCIALE concluso con il sig. NOME COGNOME » (pag. 18 del ricorso) ; dall’altro lato (quarto motivo) , per non avere applicato il principio di diritto, secondo cui sia nel caso di responsabilità extracontrattuale che contrattuale, ove il danno consegua all’accoglimento giudiziale di una pretesa altrui, la prescrizione inizia a decorrere soltanto dalla data del passaggio in giudicato di detto accoglimento ovvero dalla data in cui è emesso un provvedimento giudiziale suscettibile di essere posto in esecuzione, quale momento in cui il danno da meramente potenziale diviene concretamente attuale.
7.3. Orbene, in linea di puro diritto, la premessa da cui muove la RAGIONE_SOCIALE in funzione dello spostamento in avanti del termine di prescrizione, sarebbe condivisibile, in quanto corrisponde ad un orientamento consolidato di questa Corte il principio secondo cui, tanto
nel caso di responsabilità extracontrattuale quanto nel caso di responsabilità contrattuale, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno non può iniziare a decorrere prima della manifestazione del danno medesimo; peraltro, come la stessa ricorrente finisce per evidenziare, questa Corte ha anche chiarito -affermando un principio cui il Collegio intende dare piena e convinta continuità -che la manifestazione del danno, ove esso consegua all ‘ accoglimento giudiziale di una pretesa altrui, non richiede il passaggio in giudicato del detto accoglimento, essendo sufficiente l’emissione di un provvedimento giudiziale suscettibile di essere posto in esecuzione, perché è in tale momento che il danno, da meramente potenziale, diviene attuale (Cass. 5/12/2011, n. 26020).
Pertanto, nel caso di specie, l’azione risarcitoria esercitata con citazione del 16 luglio 2018 dalla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE avrebbe comunque dovuto essere dichiarata prescritta, atteso che la sentenza del Tribunale di Bari, di accoglimento dell’azione risolutoria di NOME COGNOME suscettibile di provvisoria esecutività a prescindere dal passaggio in giudicato, è stata emessa il 15 maggio 2007.
Ne discende l’inammissibilità d ei motivi di ricorso per cassazione in esame.
Resta, infine, la seconda censura formulata con il primo motivo, con cui si deduce il difetto di motivazione della statuizione diretta a reputare infondate tutte le domande formulate dalla società appellante (già attrice).
Anche questa censura è inammissibile, in quanto la statuizione impugnata è stata resa dalla Corte d’appello ad colorandum , sicché
deve applicarsi il consolidato principio secondo il quale, in sede di legittimità, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ad abundantiam o costituenti obiter dicta sono inammissibili per difetto di interesse, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (Cass. 5/06/2007, n. 13068; Cass. 9/04/2009, n. 8676; Cass. 22/10/2014, n. 22380; Cass. 24/01/2025, n. 1770).
In ogni caso, la censura sarebbe stata manifestamente infondata atteso che la detta statuizione, resa ad colorandum , trova comunque oggettivamente la sua motivazione, nel tessuto argomentativo della sentenza impugnata, nel rilievo che il dedotto pregiudizio -contrattuale o extracontrattuale che fosse -avrebbe dovuto imputarsi al fatto della danneggiata, la quale, sebbene avesse « chiesto nel 1996 al Tribunale di Bari, ed ottenuto, di essere tenuto indenne delle pretese del Lorusso dalla New Holland in ragione dell’inadempimento di questa nei suoi confronti, non propose nei confronti della venditrice da lui chiamata in causa anche la domanda di risarcimento dei danni derivanti dai medesimi fatti » (pag. 4 della sentenza d’appello) .
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
A norma dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
a norma dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione