Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23811 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23811 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 110/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE DI NOME E DI NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME , difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1992/2022 depositata il 09/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE stipula nel 2005 un contratto per la manutenzione ordinaria in favore della società RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE). La RAGIONE_SOCIALE esegue prestazioni per cui emette la fattura n. 32 del 21/12/2007 per un importo che rimane solo parzialmente pagato, residuando un credito di € 16.600,00. La RAGIONE_SOCIALE propone ricorso monitorio al Tribunale di Nola che, con decreto ingiuntivo del 2011, ingiunge a RAGIONE_SOCIALE il pagamento della somma residua.
Nel 2017 i l Tribunale rigetta l’opposizione, conferma il decreto ingiuntivo e rigetta la domanda riconvenzionale di riduzione del prezzo e restituzione della somma eccedente. Ritiene prescritte le pretese fondate sull’art. 1667 c.c. e, comunque, infondata e generica la deduzione di vizi. Esclude che vi siano ulteriori somme versate dall’opponente, affermando che i trenta assegni prodotti (pari ad € 447.057,03) coincidono con le quietanze (pari ad € 493.287,97) prodotte dalla opposta e comprendenti anche le cinque ricevute inizialmente richiamate dall’opponente.
La Corte di appello rigetta l’impugnazione della Kokka.
Ricorre in cassazione la committente con un motivo, illustrato da memoria. Resiste l’appaltatrice con controricorso. Il Consigliere delegato ha proposto la definizione del ricorso per inammissibilità o manifesta infondatezza. La ricorrente ne ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’unico motivo denuncia sotto un primo profilo omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti: in particolare, la Corte di appello non avrebbe esaminato le date e gli importi delle cinque quietanze e dei trenta assegni bancari prodotti dalla parte ricorrente, da cui emerge che le quietanze hanno data anteriore agli assegni e che nessun importo delle quietanze coincide con quelli degli assegni. Si assume che tali elementi documentali dimostrano che i pagamenti
quietanzati sono autonomi e ulteriori rispetto a quelli effettuati mediante assegni.
Si denuncia altresì, sotto un secondo profilo, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’art. 2033 c.c., per avere la Corte di appello omesso di valutare la diversità cronologica e quantitativa tra le quietanze e gli assegni, nonostante ciò fosse stato specificamente dedotto sia nell’atto di appello sia nella comparsa conclusionale. Si sostiene che l’esame di tali documenti, tutti ritualmente prodotti, avrebbe imposto l’accoglimento dell’appello e quindi la restituzione dell’importo di € 111.862,97, pari alla differenza tra la somma complessivamente versata (€ 575.520,00) e il valore delle opere come risultante dalla documentazione contabile (€ 463.657,03), o in subordine la restituzione di € 82.232,03.
2. -Il ricorso è rigettato.
Quanto al primo profilo del motivo di ricorso, ci troviamo dinanzi ad una doppia pronuncia conforme in primo e secondo grado. In tale ipotesi, ai sensi dell’art. 348 -ter, co. 5 c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, co. 2 d.l. 83/2012, conv. in l. 134/2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), la parte ricorrente in cassazione, per evitare che il motivo ex art. 360, n. 5 c.p.c. sia dichiarato inammissibile (cfr. art. 348-ter, co. 5 c.p.c., nel suo richiamo al comma precedente), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. 7724/2022), onere non assolto nel caso di specie al contrario di quanto mostra di ritenere la ricorrente sulla base della debole considerazione che la Corte di appello non avrebbe ritenuto mancante la prova, ma solo ribadito l’assenza di una critica sufficiente alla valutazione di primo grado, senza esercitare una propria autonoma valutazione del merito.
Quanto al secondo profilo del motivo, la censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può proporsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., al posto di molte, Cass. SU n. 20867/2020).
La censura di violazione dell’art. 2033 c.c. è menzionata unicamente nella rubrica del motivo, ma non è oggetto di argomentazione specifica. Quindi è inammissibile.
Ad abundantiam, nel merito, si osserva che la Corte di appello ha deciso la questione affermando che l’appellante non ha fornito la prova che i pagamenti effettuati a mezzo degli assegni fossero diversi e ulteriori rispetto a quelli quietanzati. Dopo aver ricostruito i dati numerici rilevanti (€ 434.784,98 oltre IVA, pari a € 512.061,15; meno sconto di € 2.173,18; meno acconti di € 493.287,97), la Corte ha osservato che la società RAGIONE_SOCIALE ha sempre dichiarato che i pagamenti ricevuti, pari appunto a € 493.287,97, erano stati effettuati anche a mezzo degli assegni prodotti in copia, e che le cinque quietanze erano incluse in quel medesimo importo. Ha poi ritenuto provata la corrispondenza tra assegni e quietanze, richiamando testualmente il giudizio del Tribunale, secondo cui gli assegni «non riescono a comprovare un pagamento ulteriore rispetto a quello già considerato dall’opposto e risultante dalle quietanze prodotte».
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 93 co. 3 e 4 c.p.c.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 2.400 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge, da corrispondere all’antistatario Avv. NOME COGNOME Inoltre, condanna la parte ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 c.p.c. di € 1.200 in favore della parte controricorrente, da corrispondere all’antistatario Avv. NOME COGNOME nonché al pagamento ex art. 96 co. 4 c.p.c. di € 1.000 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27/05/2025.