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Doppia pronuncia conforme: il ricorso inammissibile

Una società committente ha impugnato una sentenza di pagamento, sostenendo di aver versato somme in eccesso tramite assegni, distinti da pagamenti già quietanzati. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto la tesi. La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile applicando il principio della ‘doppia pronuncia conforme’, poiché il ricorrente non ha dimostrato che le due sentenze di merito si fondassero su ricostruzioni dei fatti differenti.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Doppia Pronuncia Conforme: La Cassazione Spiega i Limiti dell’Appello

Quando una causa viene decisa in modo identico sia in primo grado che in appello, le possibilità di ribaltare il verdetto in Cassazione si riducono drasticamente. Questo a causa del principio della doppia pronuncia conforme, un filtro processuale che impedisce alla Suprema Corte di riesaminare i fatti già valutati concordemente dai giudici di merito. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio pratico di come funziona questo meccanismo, in un caso relativo a un contratto di appalto e a una controversia su presunti pagamenti in eccesso.

I Fatti del Caso: Una Disputa su Assegni e Quietanze

La vicenda nasce da un contratto di manutenzione stipulato nel 2005 tra due società. L’impresa appaltatrice, dopo aver eseguito i lavori, emetteva una fattura che veniva pagata solo in parte. Per recuperare il credito residuo di circa 16.600 euro, l’appaltatrice otteneva un decreto ingiuntivo.

La società committente si opponeva al decreto, sostenendo non solo di non dovere nulla, ma di aver addirittura pagato più del dovuto. A riprova di ciò, produceva in giudizio trenta assegni bancari per un valore complessivo di oltre 447.000 euro. L’appaltatrice, dal canto suo, replicava depositando delle quietanze di pagamento per un importo totale superiore (circa 493.000 euro), affermando che le somme versate tramite assegni erano già incluse in quelle quietanzate e non costituivano pagamenti aggiuntivi.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello davano ragione all’appaltatrice, confermando il decreto ingiuntivo e rigettando la richiesta di restituzione della società committente. Entrambi i giudici di merito concludevano che non era stata fornita la prova che i pagamenti effettuati con assegni fossero distinti e ulteriori rispetto a quelli documentati dalle quietanze.

Il Ricorso in Cassazione e la Doppia Pronuncia Conforme

Non soddisfatta, la società committente si rivolgeva alla Corte di Cassazione, lamentando principalmente due aspetti:

1. Omesso esame di fatti decisivi: Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello non avrebbe analizzato adeguatamente le date e gli importi degli assegni e delle quietanze, elementi che avrebbero dimostrato la loro non coincidenza e, quindi, la natura di pagamenti separati.
2. Violazione delle norme sulla valutazione delle prove: La ricorrente sosteneva che i giudici di merito avessero erroneamente interpretato le prove documentali, violando le regole del codice di procedura civile.

La Suprema Corte ha tuttavia rigettato il ricorso, basando la sua decisione proprio sul principio della doppia pronuncia conforme. Questo principio, sancito dall’art. 348-ter del codice di procedura civile, stabilisce che se le sentenze di primo e secondo grado si basano sulla stessa identica ricostruzione dei fatti, il motivo di ricorso in Cassazione relativo all’omesso esame di un fatto decisivo diventa inammissibile. Per superare questo sbarramento, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare in modo specifico che le ragioni di fatto delle due decisioni erano diverse, un onere che in questo caso non è stato assolto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha spiegato che il primo motivo di ricorso si scontrava frontalmente con l’inammissibilità derivante dalla doppia pronuncia conforme. Il ricorrente si era limitato a criticare la valutazione del merito compiuta dai giudici precedenti, senza però evidenziare una divergenza nella ratio decidendi fattuale delle due sentenze.

Anche il secondo motivo, relativo alla presunta errata valutazione delle prove (artt. 115 e 116 c.p.c.), è stato respinto. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti e la valutazione delle prove. Una violazione di queste norme si configura solo in casi specifici, ad esempio quando un giudice fonda la sua decisione su prove non prodotte dalle parti o ignora il valore di una ‘prova legale’. Nel caso in esame, invece, si trattava di un semplice apprezzamento di merito delle prove documentali, attività che rientra pienamente nella discrezionalità del giudice di primo e secondo grado.

In aggiunta, la Corte ha osservato che era onere della società committente, che sosteneva di aver pagato in eccesso, fornire la prova certa e inequivocabile che i versamenti tramite assegni fossero autonomi e ulteriori rispetto a quelli già attestati dalle quietanze. Tale prova, secondo i giudici di merito, non era stata fornita.

Le Conclusioni: Onere della Prova e Limiti all’Impugnazione

Questa ordinanza riafferma con forza due concetti chiave del nostro sistema processuale. Primo, l’onere della prova grava su chi afferma un fatto: se si sostiene di aver effettuato un pagamento ulteriore, bisogna dimostrarlo in modo inconfutabile. Secondo, il filtro della doppia pronuncia conforme rappresenta un ostacolo significativo per chi intende portare una controversia di fatto fino al terzo grado di giudizio. La Corte di Cassazione non è un ‘super giudice’ che può sostituire la propria valutazione a quella dei tribunali di merito, ma un organo di legittimità che vigila sulla corretta applicazione delle norme di diritto. Perciò, dopo due decisioni conformi, le speranze di ottenere una revisione dei fatti in Cassazione sono, per legge, estremamente limitate.

Cosa significa ‘doppia pronuncia conforme’ e che effetti ha sul ricorso in Cassazione?
Significa che due sentenze, una di primo grado e una d’appello, hanno deciso la causa basandosi sulla stessa ricostruzione dei fatti. L’effetto è che rende inammissibile il ricorso in Cassazione per il motivo di ‘omesso esame di un fatto decisivo’, a meno che il ricorrente non dimostri che le ragioni di fatto delle due sentenze sono diverse.

In un contenzioso su pagamenti, chi deve provare che un versamento è aggiuntivo rispetto a somme già quietanzate?
La prova spetta alla parte che afferma di aver effettuato il pagamento aggiuntivo. Nel caso esaminato, la società committente, sostenendo che i pagamenti tramite assegni erano ulteriori rispetto a quelli delle quietanze, aveva l’onere di dimostrarlo, ma secondo i giudici non vi è riuscita.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove (come assegni e ricevute) fatta dal giudice di merito?
No, di regola non è possibile. La Corte di Cassazione non può riesaminare nel merito le prove e sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi precedenti. Si può denunciare una violazione delle norme sulla valutazione delle prove solo in casi specifici, come quando il giudice ha utilizzato prove non ammesse dalla legge o ha ignorato il valore di una prova legale, ma non per un semplice disaccordo sull’interpretazione delle prove stesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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