Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21591 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21591 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7201/2024 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica legale
-ricorrente-
contro NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica legale
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 1317/2023 depositata il 15/09/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
NOME COGNOME conveniva in giudizio NOME COGNOME allegando quanto segue:
-egli, già funzionario del Comune di Minervino Murge e responsabile anche dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari, a séguito di segnalazioni pervenute aveva incardinato nei confronti del convenuto, quando quest’ultimo rivestiva la qualifica di Comandante dei Vigili Urbani, quattro procedimenti che si erano conclusi il primo con sospensione di cinque giorni, il secondo con il rimprovero verbale, il terzo con l’archiviazione e il quarto con il licenziamento;
-dopo la conclusione dei suddetti procedimenti NOME aveva denunciato il deducente e NOME COGNOME all’epoca Sindaco del Comune, accusandoli, anche con successiva memoria integrativa, di atti persecutori nei suoi confronti diretti a determinare il suo licenziamento;
-all’esito delle indagini preliminari, per il reato di cui all’art. 323, cod. pen., il Pubblico Ministero aveva formulato istanza di archiviazione alla quale NOME si era opposto;
-l’opposizione era stata dichiarata inammissibile dal Giudice per le Indagini Preliminari con contestuale archiviazione del procedimento;
-il deducente e NOME avevano a loro volta quindi presentato nei confronti di NOME denuncia per calunnia, cui era seguìto altro procedimento penale terminato con sentenza d’improcedibilità per prescrizione;
l’attore chiedeva pertanto il risarcimento del danno morale e di quelli alla reputazione e immagine professionale;
il Tribunale civile rigettava la domanda, con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare, difettava la prova dell’elemento soggettivo doloso necessario a integrare la fattispecie della calunnia;
avverso questa decisione ricorre per cassazione NOME COGNOME articolando tre motivi;
resiste con controricorso NOME COGNOME
le parti hanno depositato memorie.
Rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 21octies e 21novies della legge n. 241 del 1990 poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando in particolare di considerare che, contrariamente a quanto ritenuto anche dal Tribunale a supporto dell’esclusione del dolo di calunnia, il licenziamento del convenuto non era stato annullato d’ufficio né comunque dichiarato illegittimo, atteso che vi era solo stato un accordo, proposto dal Collegio di Conciliazione presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro nel senso della revoca di quello a fronte del trasferimento del dipendente ad altre funzioni;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 21quinquies della legge n. 241 del 1990 poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando in particolare di considerare che non vi era stata alcuna revoca formalmente valida del licenziamento in parola, posto che, dopo la richiamata proposta conciliativa, vi era solo stata una delibera della Giunta Comunale e un decreto del Sindaco con cui si era provveduto al trasferimento di NOME dalle funzioni di comandante della Polizia Municipale a quelle di Responsabile di Settore, ignorando e prescindendo dalla necessità di un preventivo atto revocatorio del licenziamento stesso;
con il terzo motivo si prospetta l’omesso esame di fatti decisivi e discussi costituiti in particolare da:
-il livello di studi e culturale di NOMECOGNOME laureato in giurisprudenza e titolare dell’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, divenuto funzionario comunale di carriera direttiva, pertanto dotato di cognizioni tali da non potersi ritenere sia, come fatto dal Tribunale, che egli fosse solo una comune persona di normale discernimento cui parametrare la capacità di essere consapevole dell’infondatezza delle accuse rivolte con la denuncia, sia, come diversamente fatto dal Collegio di secondo grado, che una generica per quanto accesa conflittualità istituzionale, ovvero ambientale ed emotiva, ne offuscasse la descritta capacità e consapevolezza;
-la dichiarazione di proscioglimento per prescrizione, pronunciata dal giudice penale espressamente escludendo che vi fossero elementi per un proscioglimento nel merito, con implicito riconoscimento della sussistenza degli elementi della calunnia e in specie di quello soggettivo;
-l’ampiezza temporale della vicenda, che aveva visto Franco sostenere le infondate accuse dal gennaio 2010 fino all’opposizione alla richiesta di archiviazione del marzo 2013, in modo incompatibile con il ritenuto difetto dell’elemento soggettivo in discussione;
-la mancata coltivazione in sede giurisdizionale di azioni volte a far accertare l’illegittimità delle sanzioni disciplinari ricevute, accettando infine il trasferimento ad altre funzioni, al pari della mancata richiesta, sempre possibile, di un accertamento del giudice penale per ottenere un proscioglimento nel merito dall’accusa di calunnia.
Considerato che
i primi due motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili;
le censure non si misurano compiutamente con la ragione decisoria della Corte territoriale che, al di là del tenore lessicale proprio delle espressioni utilizzate, ha intesto rimarcare come, sia pure in forza di un accordo conciliativo, il licenziamento era stato superato e posto nel nulla, non incidendo, rispetto a tale conclusione, il fatto che non vi fosse stato un annullamento giurisdizionale o in sede di autotutela ovvero una formale revoca dello stesso;
il Collegio di merito ha dunque voluto significare che l’amministrazione si era infine decisa a non dar séguito al licenziamento, in tesi anche per fatti e deliberazione concludenti, a conferma del carattere non implausibile delle prospettazioni accusatorie, in uno, logicamente, agli altri aspetti evidenziati, in specie quello dell’accesa conflittualità istituzionale;
il terzo motivo è inammissibile;
in primo luogo, a fronte della doppia decisione conforme dei giudici di merito è preclusa la deduzione del vizio di omesso esame a mente del vigente art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., che ha recepito l’originaria previsione contenuta nell’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ.;
parte ricorrente sostiene che le decisioni del Tribunale e della Corte di appello si basano su ragioni fattuali differenti, in specie poiché il primo giudice ha evinto il difetto di prova del dolo assumendo che le qualità soggettive di Franco rilevanti a tal fine erano o comunque dovevano ritenersi corrispondenti a quelle di una comune persona di normale capacità di discernimento, e il secondo giudice, diversamente, giustificando la medesima conclusione in ragione del descritto contesto di accesa conflittualità determinatasi nell’ambiente lavorativo;
la tesi non può essere condivisa;
è stato chiarito che «non osta alla configurazione della cd.
‘doppia conforme’ il fatto che il giudice di appello, nel condividere
e confermare la decisione impugnata, abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice» (Cass., 09/03/2022, n. 7724, pag. 5);
nella fattispecie, la Corte distrettuale ha osservato che la più volte richiamata nella «situazione di aperta conflittualità ‘istituzionale’, a fronte della possibilità concreta di perdere il lavoro, il Franco non potesse avere la freddezza di un approccio meramente tecnico-giuridico alla vicenda che lo riguardava» (pag. 4), intendendo, quindi, che l’evidenziato profilo portava a escludere si dovesse aver riguardo a un vaglio giuridico di approfondita obiettività nell’apprezzamento delle accuse rivolte, e dunque a un livello di analisi tecnica maggiore di quella di una persona di media;
a tanto, infatti, la Corte di seconde cure arriva proprio in risposta all’obiezione fondata sul livello professionale di NOME, puntualmente riportata nella motivazione (pag. 3);
nel ricostruito senso le descritte motivazioni fattuali -cui si aggiunge quella, coincidente, della rinuncia al licenziamento -sia pure in base a constatazioni ulteriori ma non divergenti, risultano in effettiva sostanza conformi e non differenti;
in ogni caso la Corte di appello:
-ha quindi implicitamente valutato, non escludendolo, il profilo delle cognizioni professionali di NOME, ritenendole superate per quanto detto, con accertamento fattuale come tale non rivedibile in questa sede di sola legittimità;
-ha implicitamente disatteso, ancora una volta in fatto, che l’arco temporale della descritta conflittualità potesse incidere in senso opposto;
-è vero che non ha espressamente vagliato la pronuncia di proscioglimento per prescrizione del giudice penale che ha verificato, correttamente, l’esclusione di ‘evidenti’ ragioni di proscioglimento nel merito ai sensi del secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen. (menzionato infatti dalla
pronuncia in parola quale riportata a pag. 13 del ricorso), ma ciò non implica affatto, logicamente, che quel giudice abbia riscontrato la prova dell’elemento soggettivo, con conseguente mancanza di decisività del dato in esame (v. Cass., 12/06/2024, n. 16422: le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto, in ipotesi, accertare i fatti e valutarli, sicché, pure in questo caso, il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova eventualmente acquisiti in sede penale, deve interamente e autonomamente rivalutare il fatto in contestazione);
anche la mancata coltivazione di azioni civili o la rinuncia alla prescrizione in sede penale costituiscono, in questo quadro, profili evidentemente fattuali;
va sul punto ribadito il principio per cui sono riservate al giudice del suddetto merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, sicché risulta insindacabile in sede di legittimità il “peso probatorio” di alcune prove rispetto ad altre, in base al quale il giudice suddetto sia pervenuto a un plausibile giudizio logicamente motivato (v. tra le molte, da Cass., 8/08/2019, n. 21187 a Cass., 23/04/2024, n. 10956);
a tutto ciò si aggiunge che parte ricorrente non riporta né illustra specificatamente il contenuto della denuncia e delle successive memorie, in cui NOME avrebbe «minuziosamente» indicato e spiegato le norme asseritamente violate (pagg. 17 e 20 del ricorso), con ulteriore violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc.
civ., non essendo possibile apprezzare la concludenza del profilo sotteso alla censura ( nel quadro dell’acquisito principio, non oggetto di critica, a mente del quale la denuncia per un reato perseguibile d’ufficio può costituire fonte di responsabilità civile a carico del denunciante, in caso di successivo proscioglimento o anche assoluzione del denunciato, solo ove contengano gli elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo, del reato di calunnia, poiché, al di fuori di tale ipotesi, l’attività del Pubblico Ministero titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante, interrompendo ogni nesso causale tra denuncia calunniosa e danno eventualmente subito dal denunciato: cfr., ad esempio, Cass., 13/05/2024, n. 13093);
spese secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di parte controricorrente liquidate in 4.500,00 euro oltre a 200,00 euro per esborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, al competente ufficio di merito, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 3/06/2025.