Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27477 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27477 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18606-2020 proposto da:
CASTELLANO MARIA, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
CASTELLANO ADELAIDE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 60/2020 della CORTE D’APPELLO di LECCE -SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 14/02/2020;
Lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
COGNOME NOME conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Taranto COGNOME NOME al fine di conseguire la revocazione per ingratitudine della donazione effettuata in favore della convenuta, a seguito dell’ingiuria grave posta in essere da quest’ultima, la quale in data 29 dicembre 2010, incurante delle condizioni di salute del donante, lo aveva cacciato di casa, spingendolo fuori della porta, e facendolo accompagnare dal padre presso una pensione.
Deceduto l’attore, e subentrata nel giudizio l’erede testamentaria COGNOME NOME, il Tribunale adito, con la sentenza n. 2152 del 2 agosto 2018, accoglieva la domanda di revocazione per ingratitudine,
La sentenza era appellata dalla convenuta e la Corte d’Appello di Lecce -sezione distaccata di Taranto, con la sentenza n. 60 del 14 febbraio 2020 ha rigettato l’impugnazione.
Quanto all’affermazione dell’appellante secondo cui la donazione impugnata aveva carattere remuneratorio così che ex art. 805 c.c. era insuscettibile di revocazione, la Corte distrettuale rilevava che si trattava di una difesa avanzata per la prima volta in appello, ma che in ogni caso era infondata in quanto dalla lettura dell’atto di donazione dell’appartamento
del donante non emergeva alcun accenno al carattere compensativo della donazione che invece rientrava appieno nell’ambito delle donazioni modali.
Nel merito riteneva che le prove raccolte avessero pienamente confermata la bontà dell’assunto del donante, e cioè che la donataria aveva rivolto allo zio espressioni ingiuriose ed umilianti, giungendo a sputargli addosso e praticando atti di violenza fisica al fine di allontanarlo dall’abitazione.
Anche in sede penale, sebbene il processo non fosse ancora stato definito con una sentenza irrevocabile di condanna, si era ritenuta particolarmente attendibile la deposizione della badante dello COGNOME che aveva narrato con precisione dell’episodio del 29 ottobre 2010, ricordando come l’attore, sebbene ancora febbricitante ed affetto da attacchi di vomito e diarrea, era stato costretto ad allontanarsi dalla sua abitazione contro la sua volontà, venendo spinto alla porta dalla convenuta, che contemporaneamente gli indirizzava espressioni ingiuriose ed improperi vari.
A differenza delle testimonianze rese dai testi addotti dalla convenuta, che si palesavano intrinsecamente inattendibili, quella della badante confermava appieno la ricostruzione dei fatti operata in citazione e consentiva anche di affermare che effettivamente sussistessero le condizioni per la revocazione della donazione per ingratitudine.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso COGNOME NOME sulla base di due motivi, illustrati da memorie.
COGNOME NOME ha resistito con controricorso a sua volta illustrato da memorie.
Il AVV_NOTAIO Delegato ha depositato proposta di definizione del giudizio ex art. 380 bis c.p.c. e nel termine di legge il ricorrente ha presentato istanza di decisione.
Preliminarmente, rileva la Corte che nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
Sulla scorta di tale pronuncia, il AVV_NOTAIO, autore della proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c., non versa in situazione di incompatibilità.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. nella parte in cui il giudice di appello ha sostenuto che l’allegazione in sede di appello che la donazione impugnata avesse carattere remuneratorio, e quindi non suscettibile di revocazione per ingratitudine, costituisse una deduzione inammissibile in quanto non sostenuta già in primo grado.
Si evidenzia nella specie la deduzione non determinava un’immutazione del bene della vita dedotto in giudizio e che nemmeno risultavano modificati i fatti allegati, trattandosi semplicemente di una sollecitazione a procedere ad una diversa qualificazione giuridica dei fatti stessi, occorrendo tenere conto di quanto già emerso sul pano probatorio.
Pertanto, la ricorrente si era limitata a sollecitare al giudice di appello di compiere il corretto inquadramento della vicenda nella norma in concreto suscettibile di regolare la donazione effettuata dall’attore, trattandosi a tutti gli effetti di una donazione fatta per riconoscenza ed in considerazione dei meriti della donataria e della sua famiglia.
Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 770 c.c., nella parte in cui i giudici di merito hanno escluso che la donazione rientrasse nell’ambito di applicazione della norma de qua.
Dopo aver richiamato i caratteri che la legge impone perché possa ricondursi la fattispecie nella previsione di cui all’art. 770 c.c., si evidenzia che il carattere remuneratorio della donazione non deve necessariamente trovare un richiamo formale nell’atto di donazione, ma deve essere ricavato dal sentimento di gratitudine del donante e dal suo vissuto.
Nella specie, lo stesso Tribunale aveva evidenziato come lo COGNOME avesse sempre vissuto nel palazzo di famiglia, dapprima con la madre e poi con la sorella (madre della ricorrente), e che, una volta deceduta la sorella, dipendeva per tutte le sue esigenze dall’assistenza della nipote.
Tale attività era stata prestata ancor prima della conclusione dell’atto di donazione, così che deve reputarsi che vi fossero antiche e consolidate ragioni che avevano indotto l’attore a voler gratificare la nipote al fine di compensarla per le cure ed assistenza ricevute.
Inoltre, sebbene la donazione contempli anche un onere di assistenza e cura a carico della donataria, non è casuale che l’adempimento di tale obbligazione non sia stata presidiata anche dalla previsione della risoluzione per inadempimento, dovendosi reputare che si tratti di una scelta indotta dal fatto che la liberalità intendeva compensare anche quanto fatto in passato dalla ricorrente.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono manifestamente infondati.
In primo luogo, rileva la circostanza per cui la Corte d’Appello, ancorché nella motivazione abbia fatto precedere l’esame della questione del carattere remuneratorio della donazione, da una considerazione di carattere processuale relativa alla pretesa inammissibilità della deduzione, ha in ogni caso provveduto alla sua disamina nel merito pervenendo ad una valutazione di manifesta infondatezza.
Ne deriva che in ragione del concreto contenuto della decisione impugnata, che ha riguardato la deduzione della ricorrente sul piano sostanziale, senza arrestarsi al profilo impediente di carattere processuale, si reputa che il motivo di ricorso volto a denunciare la violazione dell’art. 345 c.p.c., sia sostanzialmente privo di rilevanza, alla luce del contenuto effettivo della sentenza gravata.
Quanto alla negazione del carattere remuneratorio della donazione, il motivo attinge una valutazione chiaramente riservata al giudice di merito, il quale, proprio partendo dal tenore dell’atto di donazione, ha osservato che l’espresso riferimento ad obbligazioni poste a carico della donataria, ed evidentemente suscettibili di essere qualificate in termini di onere, faceva propendere per il carattere modale della donazione, in assenza di qualsiasi cenno al carattere compensativo della liberalità di analoghe prestazioni ricevute per il passato.
La sentenza ha, quindi, provveduto alla disamina del contenuto dell’atto di donazione (il cui testo è riprodotto anche nella pagina 8 del ricorso), pervenendo, con una valutazione che non risulta attinta da una censura che denunci esplicitamente la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, necessaria per scalfire la correttezza della decisione in punto di interpretazione, alla conclusione che il donante mirava essenzialmente a premunirsi di un’assistenza per il futuro, ponendo il relativo obbligo a carico della donataria sotto forma di onere, osservando altresì che se si fosse inteso rimarcare anche il carattere remuneratorio, la volontà del donante non avrebbe mancato di far riferimento anche al passato, riferimento però del tutto omesso.
Anche a voler in ipotesi ammettere che una donazione possa al contempo avere carattere modale (in prospettiva futura) e carattere remuneratorio (guardando al passato), l’assenza di indici di carattere formale che depongano per la riconduzione alla previsione di cui all’art. 770 c.c., pur a fronte di una
volontà che ha fatto riferimento all’importanza delle prestazioni della donataria, appare idonea a supportare la valutazione del giudice di merito in ordine alla qualificazione della donazione stessa, di modo che il motivo di ricorso risulta in realtà attingere quella che è una valutazione di fatto chiaramente riservata al giudice di merito (e di ciò appare consapevole la stessa ricorrente, che alla pag. 28 del ricorso sottolinea come la verifica de qua sia frutto di un accertamento di fatto, evidentemente precluso in sede di legittimità).
Inoltre, non può farsi a meno di rimarcare come la ricostruzione dei rapporti di convivenza e vicinanza tra le parti, per il periodo anteriore alla donazione sia frutto di una personale ricostruzione della ricorrente, che si limita a riportare solo alcuni stralci delle deposizioni rese dai testi in evidente violazione del principio di specificità del ricorso.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Con riferimento all ‘applicazione dell’art. 96 c.p.c. va data continuità al principio secondo cui ‘In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché non attenersi ad una valutazione del proponente poi confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’ (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023).
7. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, ed accessori come per legge.
Condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a € 2.500,00, nonché al pagamento della somma di € 2.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda