Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1123 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1123 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
Oggetto:
donazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15039/2018 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio in Roma, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME
-RICORRENTE –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME.
-CONTRORICORRENTE- avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 4846/2017, pubblicata in data 24.11.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30.11.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha adito il Tribunale Nola, istando per la revocazione per ingratitudine della donazione, effettuata in data 27.4.2005 in favore di NOME COGNOME, della nuda proprietà dell’appartamento sito in Poggiomarino (Na) alla INDIRIZZO e della co-intestazione dei libretti a risparmio
nn.18226682 e 19612690, accesi presso il Banco Posta di Poggiomarino e Palma Campania, oltre che per la condanna alla restituzione di tutte le somme indebitamente prelevate dalla convenuta dai conti della donante e di €. 248.847,43 ricevute in prestito, con il risarcimento di tutti i danni patiti.
Ha esposto che la COGNOME , che già aveva ottenuto l’immobile in donazione nel 2005, nel mese di maggio 2008 si era appropriata di due libretti a risparmio e dell’importo della pensione dell’attrice, pari ad € 2400,00, rifiutandosi di restituire le somme , di importo rilevante, ricevute in prestito ; che nel corso di un colloquio telefonico, in data 25.3.2009, aveva gravemente ingiuriato la COGNOME, dichiarando di attenderne la morte per accaparrarsi definitivamente l’appartamento.
Si è costituita la convenuta, contestando la domanda.
La causa, interrotta per il decesso dell’attrice, è stata riassunta dall’erede testamentario NOMECOGNOME
All’esito il Tribunale ha respinto tutte le domande, ritenendo indimostrati i contestati fatti di ingiuria grave.
La sentenza, impugnata dal NOMECOGNOME è stata confermata dalla Corte di appello di Napoli.
Il giudice distrettuale ha dichiarato inammissibili sia i motivi di gravame con cui era stata censurata la valutazione delle prove, che le nuove richieste istruttorie avanzate direttamente in appello, reputandole comunque irrilevanti.
Ha ritenuto la donazione irrevocabile poiché avente carattere remuneratorio , sostenendo che la COGNOME aveva donato l’immobile in virtù dei rapporti di amicizia, di intensa frequentazione e di collaborazione e assistenza prestate dalla donataria entro un ampio arco temporale, circostanze, esposte ai punti 1, 2 e 7 della
comparsa di costituzione, che l’attore non aveva contestato e che non necessitavano di prova.
Ha dichiarato inammissibile anche la censura sulle spese, mancando la specifica individuazione delle attività per le quali era stata violata la tariffa.
La cassazione della sentenza è chiesta da NOME con ricorso in sei motivi, illustrati con memoria.
NOME COGNOME resiste con controricorso e con memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia l’omessa o contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 132, comma secondo, n. 4 c.p.c., e la violazione dell’art. 342 c.p.c. , per aver la Corte di merito ritenuto inammissibili taluni i motivi di appello e poi esaminato anche il merito delle questioni dedotte, e per non aver correttamente valutato le deduzioni difensive e gli addebiti mossi alla donataria.
Sostiene il ricorrente che i motivi di gravame possedevano tutti i requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 342 c.p.c., specie riguardo alla prova dei fatti di ingiuria, poiché, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, era stata denunciata l’effettuazione di prelievi non autorizzati anche in data anteriore al maggio 2008, sull’assunto che la COGNOME aveva ammesso di aver avuto anche in precedenza e per un lungo più lungo arco temporale la disponibilità dei libretti postali su cui confluiva la pensione della COGNOME, e che il saldo era stato quasi integralmente azzerato, privando la donante della sua unica fonte di sostentamento.
Il motivo è parzialmente fondato.
Deve respingersi l’eccezione di inammissibilità della censura, essendo richiesta non la revisione del giudizio di fatto o di rilevanza della prova, ma un controllo sulla logicità della motivazione che ha
condotto al rigetto delle istanze istruttorie e sull ‘ammissibilità dei motivi di gravame, profilo, quest’ultimo, su cui questa Corte è giudice del fatto processuale, essendo denunciato un error in procedendo (Cass. 17268/2020; Cass. 27368/2020; Cass. 41465/2021).
Il denunciato vizio di motivazione è insussistente.
Nel dichiarare inammissibili le censure proposte in appello, riguardanti la valutazione delle prove volte a dimostrare i fatti di ingiuria grave, la Corte di merito ha comparato le argomentazioni della sentenza con le deduzioni oggetto dei motivi di gravame, individuando i punti decisivi non censurati, limitandosi a rafforzare il giudizio di inammissibilità, evidenziando il contrasto sussistente tra le contestazioni dell’appellante, i profili fattuali acquisiti al giudizio e le valutazioni del Tribunale, senza sconfinare, su tali aspetti, nell’esame del merito (cfr. sentenza, pag. 11 e sss.).
In ogni caso, la dichiarata inammissibilità dei motivi di appello rende irrilevante ogni ulteriore valutazione attinente al merito, poiché, se il giudice, dopo avere dichiarato inammissibile una domanda o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della “potestas iudicandi”, le dichiari anche infondate, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e prive di effetti giuridici, con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità, che è l’esclusiva ratio decidendi della pronuncia (Cass. s.u. 31024/2019; Cass. 11675/2020; Cass. 30393/2017; Cass. s.u. 24469/2013).
La censura è, invece, meritevole di accoglimento quanto alla dichiarata genericità dei motivi di impugnazione vertenti sull’effettuazione di prelievi non autorizzati dai libretti postali intestati alla donante.
Dall’esame dell’atto di appello trascritto a pag. 9 del ricorso si evince che il ricorrente, in replica alle conclusioni assunte dal tribunale, aveva negato di aver denunciato solo fatti di appropriazione successivi al maggio 2008 (di cui, per tale periodo, non vi era traccia nella documentazione acquisita), eccependo che a tale data risaliva solo la sottrazione dei libretti di deposito e che invece la convenuta aveva prelevato a più riprese le somme depositate, fino a quasi azzerare le disponibilità , entro l’intero arco di tempo in cui aveva avuto accesso ai conti della COGNOME, evidenziando che la stessa COGNOME aveva ammesso di aver detenuto a lungo i libretti postali.
La contestazione era, quindi, specifica ed andava esaminata nel merito, rispondendo ai requisiti di ammissibilità prescritti dall’art. 342 c.p.c., contenendo una chiara individuazione delle questioni, dei punti contestati della sentenza impugnata e delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa diretta a confutare le ragioni addotte dal primo giudice (Cass. s.u. 27199/2017).
Nulla invece deduce il ricorso riguardo al contenuto delle altre censure, sempre pertinenti alle prove, che la Corte di merito ha ritenuto non rilevanti o non argomentate e perciò inammissibili ai sensi dell’art. 342 c.p.c. (cfr. sentenza, pag. 13 e ss.).
La censura è sul punto, priva di specificità e non rispettosa dei requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., poiché non riproduce il contenuto delle censure e non ne illustra la rilevanza, precludendo ogni verifica sul punto, occorrendo ribadire che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura e che, ove il ricorrente censuri la statuizione di
inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d’appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all’atto di appello (tra le tante, Cass. 22880/2017; Cass. 24048/2021; Cass. 3612/2022; Cass. 16038/2023).
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e vizio di motivazione, per aver la Corte di merito, con motivazione gravemente illogica o apparente, ritenuto inammissibili e non rilevanti le nuove richieste istruttorie introdotte in appello, ed in particolare la registrazione su supporto magnetico di un colloquio tra donante e donataria concernente i fatti controversi, e due dichiarazioni scritte della donante da cui emergevano l’effettuazione dei prestiti, i fatti di ingiuria e l’ingratitudine della COGNOME, contestando infine al giudice distrettuale di aver contraddittoriamente dichiarato tardivi i mezzi di prova, salvo poi a giudicarne la rilevanza.
Obietta la ricorrente che la necessità di formulare le nuove prove era scaturita dallo sviluppo delle vicende processuali e dal contenuto della decisione di appello, dovendo trovare ingresso perché indispensabili per la decisione.
Il motivo è infondato.
La sentenza di primo grado era stata pubblicata in data 2.7.2014 e pertanto, ai sensi dell’art. 345, terzo comma, c.p.c., nel testo introdotto dal D.L. 83/2012, erano ammissibili in appello solo i mezzi istruttori che la parte non aveva potuto produrre per fatto non imputabile.
La norma, che nella sua attuale formulazione non contempla il requisito di indispensabilità dei mezzi istruttori previsto dal regime previgente, trova applicazione, in difetto di un’espressa disciplina transitoria ed in base al generale principio processuale “tempus regit actum”, quando la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012 (Cass. 6590/2017; Cass. 21206/2021).
Per contro, come ha posto in rilievo la Corte di merito – con statuizione non censurata in questa sede di legittimità -l’appellante non ave va neppure allegato di non aver potuto produrre tali elementi nel giudizio di merito; le ulteriori valutazioni espresse dal giudice in merito alla irrilevanza delle prove appaiono svolte ad abundantiam, essendo finalizzate a completare il ragionamento decisorio senza minarne la coerenza, prevalendo ed essendo esaustivo il profilo di tardività dei mezzi richiesti, dovendo, comunque, escludersi che l’esigenza di riaprire l’istruttoria fosse scaturita da profili in fatto rilevati d’ufficio dal giudice d’appello e non precedentemente dibattuti, volendo l’appellante solo superare il giudizio di insufficienza degli elementi emersi in primo grado, che aveva condotto al rigetto della domanda.
3. Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 770, comma primo, c.c. e degli artt. 112, 343 e 36 c.p.c., per aver la sentenza ritenuto che la donazione immobiliare avesse carattere remuneratorio, in accoglimento di una deduzione proposta dalla convenuta solo nella comparsa conclusionale in primo grado, senza la formulazione di un’apposita domanda riconvenzionale e non successivamente riproposta con appello incidentale.
Il motivo è infondato.
La questione concernete la corretta qualificazione della donazione era oggetto di una deduzione difensiva che non richiedeva la
formale introduzione di una domanda riconvenzionale e che legittimamente era stata proposta in primo grado quale fatto impeditivo per l’accoglimento della richiesta di revocazione della donazione, essendo diretta a far emergere il reale motivo dell’attribuzione.
Il giudice poteva scrutinarne la fondatezza sulla sola base delle prove acquisite, essendo ormai maturate le preclusioni istruttorie, trattandosi di eccezione in senso lato (Cass. s.u. 10531/2013).
Su tale profilo non era stata assunta alcuna decisione da parte del Tribunale, limitatosi ad escludere la sussistenza dei fatti di ingiuria, senza (neppure implicitamente) esprimersi riguardo alla natura remuneratoria della donazione: quindi, la Corte di merito poteva esaminarla in quanto riproposta ai sensi dell’art. 346 c.p.c., anche se non dedotta con appello incidentale (Cass. s.u. 11799/2017).
Deve invero ribadirsi che, solo qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo
l’esercizio ex art. 345, comma 2, c.p.c. (Cass. 11799/2017; Cass. 24685/2017; Cass. 14899/2021; Cass. 14899/2022; Cass. 22673/2022; Cass. 33011/2023; Cass. 33190/2023).
4. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., assumendo che la mancata contestazione delle circostanze di cui ai nn. 1,2 e 7 della comparsa di costituzione della COGNOME, in base alla quale la Corte d’appello ha ritenuto perfezionata una donazione rimuneratoria, si giustificava a causa del lungo periodo di tempo preso in considerazione e della brusca interruzione dei rapporti tra le parti, dopo che la COGNOME aveva dilapidato l’intero patrimonio della COGNOME, lasciata in condizioni di estrema povertà e bisognevole di cure, sostenendo che sul carattere non remuneratorio si era formato il giudicato interno e che la questione non poteva essere riesaminata.
Il motivo è, per quanto detto, infondato per ciò che riguarda l’insussistenza del giudicato interno e la possibilità di riqualificare la donazione ai fini della pronuncia sulla domanda di revocazione per ingratitudine, e non merita accoglimento neppure riguardo alla inutilizzabilità, nel caso specifico, del principio di non contestazione, che ha valenza generale ed ha carattere reciproco (Cass. 5166/2023; Cass. 21675/2018) gravando su entrambe le parti, e che riguarda tutte le circostanze allegate e che rientrano nella sfera di conoscenza della parte tenuta a contestarle, essendo meramente assertivo l’assunto che, per la datazione degli accadimenti allegati, la parte non fosse in condizione di prendere posizione o di sollevare alcuna contestazione, avendo la Corte valorizzato i rapporti di frequentazione ed amicizia e la prestazione di assistenza da parte della COGNOME, dipanatesi lungo un ampio arco temporale, non singoli e specifici accadimenti risalenti nel tempo o comunque
ignoti alla parte (Cass. 87/2019; Cass. 18074/2020; Cass. 12064/2023).
5. Il quinto motivo deduce la violazione degli artt. 801 c.c. e 116 c.p.c., per aver la sentenza erroneamente interpretato le risultanze probatorie e le deduzioni difensive quanto all’effettuazione dei prelievi non autorizzati dai libretti di deposito della COGNOME, assumendo, in dissenso con la sentenza impugnata, che la donante non aveva mai dichiarato di aver donato i libretti postali, avendoli cointestati senza alcun intento di liberalità, e che un’eventuale donazione sarebbe nulla per difetto di forma. Si ripropone la questione della datazione dei prelievi, sostenendo che la loro effettuazione risultava dai documenti acquisiti presso gli istituti di credito e che tutte le movimentazioni erano state effettuate dalla convenuta, non avendo quest’ultima mai restituito i libretti di deposito.
Si deduce implausibilità e non credibilità delle deduzioni difensive della donataria sia in relazione all’avvenuta archiviazione in sede penale delle accuse di appropriazione, sia riguardo alle ragioni che avevano indotto all’interruzione della frequentazione tra le parti, imputabile non ad esigenze familiari, ma alle dedotte condotte illecite della COGNOME e al rifiuto di restituire il prestito ricevuto.
Il motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo di ricorso limitatamente alle questioni che attengono alla prova degli ammanchi e ai prelievi indebiti, che il giudice del rinvio dovrà riesaminare, ed è invece inammissibile nella parte in cui ha attinenza all’interpretazione delle prove riguardo ai prestiti non rimborsati, profilo su cui i rilievi del ricorrente non superano il giudizio di inammissibilità delle censure formulate con l’atto di appello, come parimenti evidenziato nell’esame del primo motivo di ricorso.
6. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 770 c.c., sostenendo che la Corte d’appello abbia desunto il carattere remuneratorio della donazione da circostanze irrilevanti, non avendo alcuna capacità dimostrativa del reale motivo della disposizione né il lungo periodo di frequentazione, né che la COGNOME avesse svolto servizi ed incombenze varie o attività di assistenza in favore della donataria e tantomeno che avesse ricevuto ingiurie e recriminazioni da altro soggetto, NOME COGNOME, beneficiaria della donazione di altro immobile con l’impegno di pr estare assistenza e cure alla COGNOME.
Il motivo è fondato.
La donazione remuneratoria si caratterizza per le particolari motivazioni che abbiano indotto la parte a donare, nel senso che l’intento di r imunerare il donatario deve risultare il motivo determinante della disposizione.
Occorre che l’attribuzione patrimoniale venga effettuata come segno tangibile di speciale apprezzamento dei servizi ricevuti o promessi, che ad essa non venga data funzione di corrispettivo e che il donante sia indotto al beneficio spontaneamente, consapevole di non esservi tenuto né per legge, né in adempimento di un’obbligazione naturale (Cass. 12769/1999; Cass. 1989/1995; Cass. 7170/1983; Cass. 2421/1974; Cass. 2720/1967), distinguendosi la donazione rimuneratoria dall’ipotesi regolata dal secondo comma dell’art. 770 per il fatto che una liberalità in occasione di servizi resi o in conformità degli usi, che non è vera e propria donazione, deve essere effettuata come corrispettivo o in adempimento di un’obbligazione di un dovere derivante dalla legge o da norme sociali o morali, sempre che sussista una sostanziale equivalenza tra i servizi resi e il bene donato (Cass. 14981/2002).
Nel dare rilievo alla perduranza di rapporti, all’inten sità della frequentazione, fattasi pressoché quotidiana, allo svolgimento di commissioni ed incombenze a favore della donante, oltre che a non meglio individuate, nella loro consistenza e durata, attività di assistenza e cura personale della donataria, la pronuncia ha in effetti solo enunciato il carattere rimuneratorio della disposizione, senza individuare le ragioni idonee a dar conto dello speciale apprezzamento, desumibile anche da elementi indiretti, della condotta della beneficiata quale motivo determinante dell’attribuzione .
Difetta, in definitiva, l’accertamento de lla necessaria e specifica correlazione tra la disposizione a titolo di liberalità e la particolare riconoscenza che avrebbe animato la COGNOME, inducendola a donare, in relazione alla peculiare natura dei rapporti intercorsi e all’importanza dell’attribuzione patrimoniale , specie riguardo alle modalità e alla durata, neppure adeguatamente illustrate, delle attività di assistenza e cura asseritamente prestate in modo spontaneo dalla COGNOME, in modo da rendere plausibile il perfezionamento dell’atto donativo quale manifestazione e conseguenza dei meriti riconosciuti alla donataria.
In conclusione, sono accolti il primo motivo, nei limiti di cui in motivazione, ed il sesto motivo di ricorso, sono respinte tutte le altre censure.
La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo ed il sesto motivo di ricorso, rigetta ogni altra censura, cassa la sentenza impugnata in relazione ai mo tivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di
Napoli, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda