Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32692 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32692 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 12412/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. NOME COGNOME nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME, c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma presso di lui nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrenti avverso la sentenza n. 501/2020 della Corte d’appello di Palermo depositata il 30-3-2020,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2611-2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME ha convenuto avanti il Tribunale di Palermo NOME COGNOME al fine di ottenere la revoca per sopravvenienza di figlio,
OGGETTO: donazione remuneratoria
R.G. 12412/2020
C.C. 26-11-2024
ai sensi dell’art. 803 cod. civ., della donazione eseguita a favore del convenuto con atto del 20-5-2009 a rogito notaio NOME COGNOME avente a oggetto unità immobiliare sita a Palermo in INDIRIZZO in relazione alla nascita il 2-5-2014 del figlio NOME COGNOME ha altresì dichiarato che nella stessa data della donazione l’attrice e il convenuto avevano sottoscritto una scrittura privata, nella quale davano atto che la donazione era atto simulato e avevano voluto eseguire trasferimento dell’immobile a titolo oneroso per il prezzo di Euro 130.000,00, pattuendo che in caso di mancato versamento del prezzo entro il termine concordato NOME COGNOME avrebbe dovuto trasferire il bene a NOME COGNOME e che, nelle more, l’attrice avrebbe continuato a riscuotere i canoni di locazione.
Si è costituito il convenuto NOME COGNOME disconoscendo la sottoscrizione apposta alla scrittura privata e dichiarando che la donazione era conseguita agli accordi tra fratelli, in forza dei quali NOME COGNOME e i suoi fratelli, tra i quali NOME COGNOME padre dell’attrice, prestavano acquiescenza al testamento del 3 -2-2007 della loro madre NOME COGNOME che aveva istituito erede universale la nipote NOME COGNOME rinunciando all’azione di riduz ione e ricevendo in cambio da NOME COGNOME l ‘immobi le oggetto della donazione, non facente parte dell’asse ereditario. Il convenuto ha quindi chiesto il rigetto della domanda e in via riconvenzionale il pagamento dei canoni di locazione relativi all’immobile oggetto di trasferimento a suo favore, locato a terzi, in quanto indebitamente percepiti da NOME COGNOME.
Disposta consulenza tecnica d’ufficio che concludeva per la falsità della sottoscrizione attribuita a NOME COGNOME nella scrittura privata di compravendita, il Tribunale di Palermo con sentenza n. 5861/2017 depositata in data 8-11-2017 ha rigettato le domande attoree e ha condannato l’attrice a corrispondere le somme indebitamente percepite a titolo di canoni di locazione dell’immobile di INDIRIZZO
2.NOME COGNOME ha proposto appello avverso la sentenza e nel corso del giudizio di appello si sono costituiti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente figli e coniuge e perciò eredi del convenuto NOME COGNOME nel frattempo deceduto.
Con sentenza n. 501/2020 depositata il 30-3-2020 la Corte d’appello di Palermo ha rigettato l’impugnazione, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
La sentenza ha rigettato il primo motivo di appello, con il quale NOME COGNOME aveva censurato il rigetto della sua domanda di revoca della donazione; ha altresì rigettato il motivo di appello con il quale l’appellante sosteneva che il Tribunale non avrebbe dovuto recepire le conclusioni del consulente d’ufficio in ordine alla falsità della firma di NOME COGNOME apposta sulla scrittura privata del 20-5-2009.
3.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio i controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 26-11-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente lamenta che la motivazione della sentenza impugnata sia stata resa in violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cod. civ., in quanto la sentenza ha ricondotto la donazione alla fattispecie della donazione remuneratoria disciplinata dall’art. 770 cod. civ. e nel contempo ha affermato che il negozio così qualificato era da considerarsi collegato e finalizzato a realizzare una operazione negoziale a prestazioni corrispettive e quindi a titolo parzialmente
oneroso. Evidenzia che le due affermazioni sono inconciliabili e rendono il percorso motivazionale viziato e incomprensibile, perché secondo la prima affermazione la causa in concreto è onerosa, riferita all’attribuzione del bene quale corrispettivo per la rinuncia all’azione di riduzione da parte del donatario e in base alla seconda affermazione la causa in concreto è gratuita e consiste nello spirito di liberalità; quindi sostiene che non sia dato comprendere le ragioni assunte a sostegno della decisione. Aggiunge che è erronea e viziata da violazione di legge l’affermazione dell’applicabilità alla fattispecie dell’art. 770 cod. civ., in quanto il collegamento della donazione remuneratoria con la rinuncia all’azione di riduzione al fine di realizzare una operazione a pr estazioni corrispettive esclude l’esistenza della donaz ione remuneratoria.
1.1.Il motivo, diversamente da quanto sostenuto dai controricorrenti, è ammissibile perché, seppure comprende sia il vizio di motivazione della sentenza sia la violazione dell’art. 770 cod. civ., le censure risultano chiare e distinte così da consentirne la disamina separata (cfr. Cass. Sez. U 6-5-2015 n. 9100 Rv. 635452-01), ed è infondato.
1.2.La nullità lamentata dalla ricorrente riguarda la motivazione riferita al rigetto del primo motivo di appello, con il quale NOME COGNOME ha censurato la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di revoca della donazione sulla base dell’assunto che sussistesse un collegamento negoziale tra la donazione e la rinuncia all’eredità della madre da parte del donatario.
La sentenza impugnata ha considerato che il Tribunale aveva ritenuto sussistente il collegamento negoziale tra l’atto unilaterale di rinuncia all’azione di riduzione e il contratto di donazione, dichiarando che le parti avevano inteso realizzare una operazione negoziale a prestazioni corrispettive, tesa a tacitare le pretese relative alla successione di NOME COGNOME ha rilevato che era riconducibile allo
schema della donazione anche la donazione remuneratoria, nella quale l’atto di liberalità era determinato da ragioni di riconoscenza o dall’intenzione di remunerare un servizio, malgrado a tale remunerazione il donante non fosse obbligato per legge; ha aggiunto che, ove l’elargizione fosse diretta anche al soddisfaci mento di prestazioni ricevute, non si configuravano una datio in solutum e una donazione, ma si era in presenza di un unico negozio caratterizzato da commistione causale, con la conseguenza che la regolamentazione del rapporto obbediva al criterio della prevalenza. Di seguito ha rilevato che, come correttamente ritenuto dal primo giudice, il collegamento negoziale emergeva dall’elemento della contestualità degli atti; ciò perché non poteva ragionevolmente sostenersi che, a fronte della rinuncia all’azione di riduzione da parte di NOME COGNOME la beneficiaria, acquisito l’intero asse ereditario della nonna, non fosse consapevole che tale rinuncia costituisse il ‘movente remuneratorio’ della successiva donazione a favore dello zio; l’atto di rinuncia era avvenuto in un momento di poco anteriore alla donazione e nella donazione remuneratoria il movente remuneratorio non doveva risultare dall’atto . Di seguito ha dichiarato che non vi era dubbio che le parti, come ritenuto dal Tribunale, avessero inteso realizzare una operazione negoziale ‘ a prestazioni corrispettive ‘ a titolo parzialmente oneroso tesa a tacitare le pretese sulla vicenda successoria; ha dichiarato altresì che il collegamento negoziale richiedeva un requisito oggettivo e un requisito soggettivo e il relativo accertamento spettava al giudice di merito, ha esaminato le circostanze fattuali segnalate dall’appellante e ha escluso che fossero influenti ai fini della qualificazione del rapporto. Quindi ha concluso che, stante il configurarsi di una donazione remuneratoria, la domanda di revocazione per sopravvenienza di figli non poteva trovare accoglimento, a fronte del divieto di cui all’art. 805 cod. civ.
1.2.1.Con questo contenuto la motivazione non è affetta da vizi tali da determinarne la nullità, dovendosi fare applicazione del principio secondo il quale l’attuale formulazione dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. comporta la riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione, per cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; l’anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta d ei motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, esclusa qualsiasi rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01); in tali casi si concreta nullità deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cod. proc. civ. sull’obbligo di motivazione (Cass. Sez. 6-3 25-9-2018 n. 22598 Rv. 650880), mentre al di fuori di tali casi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa conclusione della controversia (Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01, per tutte). Specificamente, in riferimento al caso che qui interessa, è stato statuito che sussiste il vizio di assenza di motivazione per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, allorché tali affermazioni rendano incomprensibili le ragioni poste a base della decisione (Cass. Sez. L 256-2018 n. 16611 Rv. 649628-01), e cioè non sia percepibile l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non sia
consentito alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. L 17-5-2018 n. 12096 Rv. 648978-01). Inoltre la motivazione è perplessa allorché dalla stessa non sia possibile stabilire quanto posto a base della decisione (Cass. Sez. 2 4-2-2003 n. 1610 Rv. 560240-0).
Nella fattispecie la motivazione, seppure presenti i profili di contraddittorietà lamentati dal ricorrente ed emergenti dall’esposizione sopra svolta, in quanto da una parte pare dichiarare di confermare la pronuncia di primo grado che aveva qualificato i negozi come collegati e l’intera operazione economica a prestazione corrispettive e perciò a titolo oneroso e dall’altra dichiara che si era di fronte a una donazione remuneratoria, non è affetta da contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e perplessità tali da determinare la nullità. Infatti, effettivamente risulta dal contenuto della motivazione che la Corte d’appello ha inteso confermare l’esistenza d i un collegamento tra la rinuncia a ll’azione di riduzione in relazione all’eredità della madre NOME COGNOME da parte di NOME COGNOME e la donazione a suo favore da parte di NOME COGNOME, unica erede nominata da NOME COGNOME in ragione del fatto che la rinuncia all’azione di riduzione era stata di poco anteriore alla donazione; da tale nesso la sentenza ha tratto la conseguenza che la donazione era donazione remuneratoria, in quanto eseguita per remunerare quel beneficio ricevuto dalla donante, esprimendo tale concetto a pag. 6, laddove ha fatto riferimento al ‘movente remuneratorio’ della donante , in quel contesto temporale nel quale NOME COGNOME aveva rinunciato all’azione di riduzione; conseguenziale a tale statuizione è stata quella di ritenere la donazione remuneratoria irrevocabile ex art. 805 cod. civ. Invece, seppure abbia dichiarato di voler confermare la sentenza di primo grado e abbia esposto i concetti sul collegamento negoziale, la sentenza non ha tratto dal nesso tra la rinuncia all’azione di riduzione
e la donazione la conseguenza della qualificazione dell’intera operazione come eseguita a titolo oneroso. Infatti la sentenza, dopo avere definito in termini solo generali il collegamento negoziale (pag. 7) come necessitante di un requisito oggettivo e di un requisito soggettivo, non ha esplicitato in quali termini questi requisiti fossero presenti nella fattispecie; ha invece aggiunto un rilievo sull’accertamento del collegamento come compito esclusivo del giudice di merito, che era evidentemente inutile alla decisione; diversamente, laddove ha dichiarato che ricorreva donazione remuneratoria, la sentenza si è occupata di individuare quello che ha definito il ‘movente remuneratorio’ in capo alla donante , così dimostrando che era quella la qualificazione della fattispecie che aveva recepito; infatti, ha poi concluso dichiarando che la donazione remuneratoria era irrevocabile per sopravvenienza di figli. In questo modo, la sentenza ha accolto la tesi dell’appellante secondo la quale non sussisteva un collegamento negoziale in termini tali da configurarsi un ‘unica operazione negoziale a prestazione corrispettive, ma ha ricostruito in fatto la fattispecie come ipotesi di donazione remuneratoria.
Escluso per le ragioni esposte che il vizio prospettato sia tale da terminare la nullità della motivazione, si deve anche escludere che il vizio sia deducibile ai sensi dell’art. 360 co. 1 n.5 cod. proc. civ., come pure risulta prospettato nel corpo del motivo; ciò in quanto nessuna delle deduzioni è svolta al fine di individuare il fatto o i fatti decisivi dei quali la sentenza impugnata avrebbe omesso esame. Per di più, sussiste la preclusione di cui all’art. 348 -ter co. 5 cod. proc. civ., che si applica ratione temporis alla fattispecie perché la sentenza di appello -pubblicata in data 8-11-2017- ha confermato la sentenza di primo grado, in quanto non è vero quanto deduce la ricorrente in ordine al fatto che la sentenza di primo grado avesse escluso il ricorrere di donazione remuneratoria: al contrario, la sentenza di primo grado (da
pag. 16) ha anche espressamente dichiarato che, pure a non ritenere il collegamento negoziale, l’esito del giudizio non sarebbe mutato , in quanto la rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittimario era idonea a integrare quel servizio reso, capace di giustificare la qualificazione della donazione come donazione remuneratoria ai sensi dell’art. 770 cod. civ.
1.3.Dalle ragioni esposte consegue che la pronuncia non è neppure viziata dall’erronea interpretazione e applicazione dell’art. 770 cod. civ., che individua la donazione remuneratoria come consistente in una attribuzione gratuita, compiuta spontaneamente e nella consapevolezza di non dovere adempiere ad alcun obbligo giuridico, volta a compensare i servizi resi dal donatario (Cass. Sez. 2 18-5-2016 n. 10262 Rv. 639822-01, Cass. Sez. 2 3-3-2009 n. 5119 Rv. 60679601, Cass. Sez. 2 24-10-2002 n. 14981 Rv. 558045-01). Non è dubitabile che il servizio reso dal donatario sia suscettibile di valutazione economica, perché ciò risulta dalla disposizione dell’art. 797 n. 3 cod. civ., laddove prevede che il donante è tenuto alla garanzia per evizione verso il donatario in caso di donazione remuneratoria, fino alla concorrenza dell’entità delle prestazioni ricevute dal donante. L’affermazione della ricorrente, secondo la quale il collegamento negoziale escludeva che la donazione fosse remuneratoria non si confronta con il dato che la sentenza impugnata ha espressamente accertato in capo alla donante quello che ha definito ‘movente remuneratorio’ . Ciò significa che la sentenza ha accertato il motivo remuneratorio, quale elemento essenziale del negozio con causa di liberalità, a fronte del fatto che il donatario aveva prestato acquiescenza al testamento della madre e aveva rinunciato all’azione di riduzione; di questo aveva beneficiato la donante, designata unica erede in quel testamento, la quale ha perciò espresso la sua
gratitudine, senza esserne obbligata, attraverso la donazione di immobile di sua proprietà.
2.Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio ex art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ., che sostiene nella fattispecie non essere soggetto alla preclusione della ‘doppia conforme’, in quanto solo con l’atto di appello, essendo i documenti successivi ai termini di cui all’art. 183 co.6 cod. proc. civ. fissati in primo grado, aveva prodotto la documentazione attestante che NOME COGNOME aveva instaurato giudizio per fare dichiarare la nullità del testamento della madre e anche l’atto di acquiescenza e rinuncia all’azione di riduzione; lamenta la mancata disamina da parte della Corte d’appello di tale documentazione e perciò l’omesso esame su un punto decisivo della controversia, con riguardo all’accertamento della volontà delle parti e alla natura dell’atto di donazione.
2.1.Il motivo è infondato per la ragione, assorbente rispetto a ogni altra, che la circostanza che nel 2016 NOME COGNOME abbia impugnato il testamento della madre e anche la propria dichiarazione di acquiescenza al testamento e di rinuncia all’azione di riduzione non costituisce fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., e cioè fatto che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. Sez. 2 29-10-2018 n. 27415 Rv. 651028-01, Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01). Infatti, la condotta posta in essere dal donatario oltre cinque anni dopo la donazione non è elemento tale da escludere l ‘esistenza di donazione remuneratoria, e cioè di donazione che era stata espressione della riconoscenza del donante per la condotta che il donatario aveva già tenuto al momento della donazione; la condotta successiva avrebbe potuto essere valutata esclusivamente ai fini dell’ingratitudine del donatario ma, stante l’irrevocabilità ex art. 805 cod. civ. della donazione re muneratoria anche per ingratitudine, il fatto era del tutto irrilevante in causa.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce ‘la violazione dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ per omessa e apparente motivazione’ della sentenza sul terzo motivo di appello, con il quale l’appellante aveva censurato la consulenza grafologica d’ufficio svo lta in primo grado, perché si era espressa in forma dubitativa, nonché per il fatto che sulle firme di comparazione non erano state svolte analisi strumentali ai raggi ultravioletti e infrarossi; sostiene che la sentenza si sia limitata a riprodurre stralc i della relazione del consulente d’ufficio, senza dare motivazione delle ragioni per le quali le sue conclusioni, benché incerte, fossero condivisibili, per cui la motivazione risulta omessa e apparente, così come il rigetto della richiesta di richiamo del c.t.u. a chiarimenti.
3.1.Il motivo è inammissibile laddove qualificato come proposto ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. al fine di dedurre l’omesso esame di fatti decisivi, in applicazione della previsione dell’art. 348 -ter co.5 cod. proc. civ. da applicare ratione temporis; infatti, sulla questione della valutazione delle risultanze della consulenza d’ufficio grafologica le sentenze di primo e secondo grado sono perfettamente conformi, per cui è pacifico che si verta nell’ipotesi in cui la proposizione del motivo di ricorso ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. è preclusa.
Il motivo è infondato laddove proposto per dedurre il vizio di motivazione che ne determina nullità, e perciò esattamente da qualificare come proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 132 co.2 n.4 cod. proc. civ., secondo quanto sopra già esposto. Infatti, come pure sopra già esposto, in forza delle disposizioni attualmente in vigore, è irrilevante la mera insufficienza della motivazione e la motivazione è nulla soltanto allorché è totalmente mancante, o apparente, o irrimediabilmente contraddittoria, purché il vizio risulti dallo stesso testo della sentenza, senza ricorrere agli atti processuali. Nella fattispecie la sentenza impugnata, nell’esaminare il terzo motivo di appello (da pag. 8 in
fondo), ha esposto le ragioni in forza delle quali ha accolto le conclusioni del c.t.u., riferite alla metodologia di indagine, ai risultati dell’indagine e alle ragioni sulle quali sono stati fondati, nonché al fatto che il consulente d’ufficio aveva dato risposta alle osservazioni del consulente di parte. Diversamente da quanto sostiene la ricorrente, la sentenza ha richiamato le deduzioni del consulente d’ufficio, laddove ha individuato una lunga serie di differenze tra la firma in verifica e le firme di comparazione, per cui ha recepito la conclusione del c.t.u. sulla certezza della falsificazione (pag. 11); invece, l ‘affermazione in termini ipotetici sulla quale insiste la ricorrente era stata limitata dal c.t.u. alle modalità della falsificazione -per riproposizione del tracciato per trasparenza- (pag. 10 lett. b della sentenza) e perciò con riguardo a un aspetto che non incideva sulla conclusion e relativa all’avvenuta falsificazione della sottoscrizione. La sentenza ha anche diffusamente preso in esame (pag.11) le deduzioni in ordine alla mancata sottoposizione delle scritture di comparazione all’esame a raggi ultravioletti e raggi infrarossi.
Quindi, la motivazione è esistente, coerente e comprensibile, in quanto consente di seguire il ragionamento svolto dal giudicante per aderire alle risultanze della c.t.u., mentre le deduzioni della ricorrente sono in sostanza finalizzate a ottenere, in modo inammissibile nel giudizio di legittimità, un apprezzamento di fatto di segno diverso.
4.In conclusione il ricorso è interamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 8.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione