Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12743 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12743 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 22331/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOMECOGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-controricorrenti-ricorrenti incidentali-
COGNOME NOME
-intimata- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 418/2019 depositata il 28/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Considerato che la presente lite riguarda una causa di divisione giudiziale iniziata da COGNOME NOME in relazione a beni del defunto genitore e acquistati in parti uguali, oltre che dall’attrice, dal fratello di lei COGNOME NOME.
La causa è stata promossa nei confronti di NOME e NOME COGNOME, figli di COGNOME NOME, sul presupposto di fatto, enunziato dall’attrice nella citazione, che lo stesso COGNOME NOME, nel 1995, avevano donato la propria quota ai due figli. Nel giudizio sono intervenuti i cessionari della quota dell’attrice COGNOME NOME, in forza di trasferimento operato in corso di causa.
Il tribunale ha disposto la divisione i due porzioni, che ha attribuito indivisamente ai cessionari di COGNOME NOME, da un lato, a NOME e NOME COGNOME dall’altro.
Questi ultimi hanno proposto appello, che la Corte d’appello di Palermo ha accolto limitatamente al criterio di attribuzione delle porzioni. In particolare, la corte di merito ha ritenuto che NOME e NOME COGNOME concorressero nella divisione come un’unica parte, in luogo del dante causa NOME COGNOME; essendo i beni divisibili e in presenza di quote uguali, all’assegnazione delle parti occorreva procedere mediante estrazione a sorte.
Per la cassazione della sentenza COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi.
COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a tre motivi.
NOME NOME resta intimata.
Le parti hanno depositato memorie.
Rilevato che il terzo motivo del ricorso incidentale denunzia che la sentenza ha ritenuto fattibile una divisione che non poteva essere realizzata nei termini ipotizzati dal progetto di divisione, in particolare perché i convenuti non erano titolari in eguali misura dei beni dividendi: in base all’atto di donazione attuato dall’originario titolare COGNOME NOME, essi erano proprietari per il 25% ciascuno delle unità immobiliari iscritte al N.C.E.U. al foglio 233, particella 890 sub 4 e 5, in forza di donazione dell’11 ottobre 1995, mentre la sola NOME COGNOME era titolare della metà indivisa dell’immobile iscritto al foglio 223, particella 889, sub 2.
In relazione a tale motivo, il collegio osserva che la Corte d’appello ha ritenuto che i condividenti, attuali ricorrenti incidentali, fossero titolari, collettivamente, della quota già spettante al loro dante causa NOME COGNOME In questi termini la Corte d’appello sembra aver considerato NOME COGNOME e NOME COGNOME acquirenti a titolo particolare dell’intera quota astratta di proprietà già spettante a NOME COGNOME. Tuttavia, in altra parte della sentenza, sono contraddittoriamente richiamati i diversi principi in tema di atti di disposizioni del singolo condividente aventi per oggetto non la quota astratta dell’intero oggetto di comunione, ma la quota di singoli beni del compendio. La distinzione, sul piano degli effetti, è così definita dalla giurisprudenza della Corte: «Con riguardo alla comunione pro indiviso l’alienazione che il comproprietario faccia del suo diritto determina l’ingresso dell’acquirente nella comunione soltanto nel caso in cui l’alienazione riguardi la quota o una frazione di questa, con la conseguenza che l’acquirente quale successore a titolo particolare dell’alienante è legittimato a domandare lo scioglimento della comunione a norma dell’art. 1111 cc nell’assunta qualità di partecipante. Qualora, invece, il comproprietario
disponga di un singolo bene, o di una frazione di esso, tra quelli compresi nella comunione, l’alienazione ha efficacia non reale, bensì solo obbligatoria, con la conseguenza che della comunione continua a far parte il disponente, il quale resta pertanto titolare della azione di cui all’art. 1111 cc, potendo l’avente causa soltanto avvalersi dei diritti accordatigli dall’art. 1113 c.c.» (Cass. n. 8315/1990; n. conf. 4428/2018).
Consegue che l’affermazione della corte di merito, in ordine al concorso degli aventi causa di NOME COGNOME per la quota del 50% già spettante al loro dante causa, mentre è corretta nella prospettiva dell’alienazione della quota astratta, non è lo è invece nella prospettiva dell’alienazione di diritti su singol beni, evocata nella stessa sentenza. Tale prospettiva, in effetti, è quella già sostenuta nel merito dai ricorrenti incidentali: con l’atto di donazione del 1995 NOME COGNOME non donò ai propri figli la quota indivisa dell’intero oggetto di comunione, ma la quota di ½ degli immobili distinti in catasto al foglio 233, particella 889, sub 4 e 5, e particella 890 sub 2, mentre rimase di sua proprietà la quota dell’immobile distinto in catasto al foglio 889 sub 2, che fu poi donata alla sola COGNOME NOME con atto del 23 aprile 2007.
Discende dai principi sopra richiamati che il condividente, il quale disponga di beni indivisi così come avrebbe disposto COGNOME NOME, non dispone della propria quota astratta di comunione, ma dispone dei diritti che gli spettano su singoli beni, con le conseguenze già illustrate per quanto riguarda l’efficacia dell’atto . A ciò si deve aggiungere che le Sezioni unite di questa Suprema corte, con la sentenza n. 8626 del 2016, hanno riconosciuto la nullità della donazione della quota di un singolo bene facente parte di una comunione ereditaria, in quanto considerato bene altrui.
In applicazione dei principi sopra indicati, poiché gli atti di disposizione da parte di COGNOME NOME, non avevano modificato la compagine dei condividenti, la divisione avrebbe dovuto svolgersi nei confronti degli aventi causa di COGNOME NOME, in quanto acquirenti dell’intera quota di comunione a questa spettante, e di NOME COGNOME il quale, in effetti, è stato chiamato per l’integrazione del contraddittorio in primo grado. È chiaro, tuttavia, dopo quanto sopra chiarito in linea di principio, che, una volta deceduto il disponente COGNOME NOME al suo posto non subentrarono nella comunione i donatari, ma gli eredi; e in ipotesi i soli eredi fossero gli stessi donatari, questi concorrevano nella divisione in tale qualità, non in quella di donatari di diritti su singoli beni.
La Corte d’appello, invece, nel disporre la divisione, ha attribuito in via immediata e ab origine , la veste di condividenti ai donatari in forza della donazione, mentre tale qualità i donatari avrebbero potuto assumere solo dopo la morte del donante. Ma a quel punto la qualità in ipotesi rilevante sarebbe quella di erede, non di donatario. È poi ovvio che, se gli eredi fossero altri, o vi fossero altri eredi in aggiunta ai figli donatari, tutti avrebbero diritto di concorrere collettivamente al posto del condividente deceduto. Insomma, nella situazione delineatasi nella causa, il concorso nella divisione sarebbe pur sempre un concorso per quote uguali fra due gruppi di compartecipi (gli aventi causa di COGNOME NOME e gli eredi di COGNOME NOME), ma sulla base di considerazioni diverse da quelle che emergono dalla sentenza impugnata e rilevate d’ufficio. In considerazione di quanto sopra, questa Corte deve pertanto al di provvedere ai sensi dell’art. 384, comma 3, c.p.c., assegnando pubblico ministero e alle parti termine per il deposito osservazioni sulle stesse questioni.
P.Q.M.
La Corte rinvia la causa a nuovo ruolo, assegnando al pubblico ministero e alle parti termine di giorni sessanta dalla comunicazione della presente ordinanza per il deposito di osservazioni sulle questioni sopra indicate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda