Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19230 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19230 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 789-2021 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, AMMATUNA ROSARIA, rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1854/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 1/10/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/07/2024 dal AVV_NOTAIO; Lette le memorie dele parti;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. Il Tribunale di Pisa con la sentenza n. 705/2014 ha rigettato la domanda degli attori, COGNOME NOME e COGNOME NOME, proposta nei confronti di COGNOME NOME e NOME COGNOME, finalizzata ad ottenere la riduzione e la collazione della donazione indiretta asseritamente posta in essere dal de cuius in favore della convenuta COGNOME NOME, e disponeva procedersi alla divisione della comunione ereditaria, con attribuzione dei beni secondo le quote indicate in dispositivo; rigettava altresì la domanda degli attori finalizzata ad ottenere la condanna delle convenute al rimborso delle somme corrispondenti al contributo offerto al genitore per l’incremento del patrimonio familiare.
A fondamento della domanda deducevano che in data 4 luglio 1998 era deceduto ab intestato il padre COGNOME NOME, al quale erano succeduti gli attori, in qualità di figli di primo letto, nonché la vedova COGNOME NOME e l’altra figlia di secondo letto, COGNOME NOME. Aggiungevano che grazie all’apporto materiale offerto dagli attori all’attività imprenditoriale del padre, questi aveva potuto significativamente incrementare il patrimonio immobiliare. e che nel giugno del 1991, allorché la sorella era appena divenuta maggiorenne, il padre le aveva permesso
l’acquisto di un immobile in Putignano versando di tasca propria il denaro necessario per l’acquisto.
A seguito dell’apertura della successione i rapporti tra le parti si erano progressivamente deteriorati e quindi era necessario addivenire alla divisione dei beni relitti, con la condanna delle convenute a ristorare i frutti dei beni esclusivamente goduti, previa riduzione o collazione diretta o indiretta della donazione indicata.
La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 1854 del 1° ottobre 2020, ha rigettato il gravame.
Disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello, in merito al primo motivo, che lamentava l’erroneo rigetto dell’azione di riduzione della donazione indiretta della quale era beneficiaria la sorella, la Corte d’Appello richiamava le differenze tra azione di riduzione e collazione, sia dal punto di vista dei soggetti coinvolti, sia sul piano degli effetti che dalle stesse promanano.
Aggiungeva che solo nel caso in cui sia stata proposta azione di riduzione, il legittimario è considerato terzo ai fini della prova della simulazione della donazione, condizione che deve invece essere esclusa per l’erede che miri unicamente a far rientrare nella collazione le donazioni ricevute da altro coerede.
Gli attori avevano proposto azione di riduzione, ma nel corpo della citazione avevano allegato solo elementi conferenti rispetto alla diversa richiesta di collazione, ma senza indicare i presupposti che avrebbero invece giustificato l’azione di riduzione.
Correttamente il Tribunale aveva rigettato la domanda de qua.
Ciò implicava l’assorbimento del secondo e del terzo motivo di appello.
In merito al quarto motivo di gravame, che investiva il mancato riconoscimento dei frutti goduti dalle controparti, la Corte evidenziava che nulla era dovuto dalla vedova, atteso che la fruizione del bene era legittimata dalla previsione di cui all’art. 540 c.c., mentre quanto alla figlia, una volta esclusa la possibilità di ridurre la donazione, si trattava del godimento di un bene di sua proprietà esclusiva, il che non consentiva agli attori di accampare alcuna pretesa.
Quanto al quinto motivo, afferente al rigetto della domanda di accertamento del credito vantato in ragione dell’apporto fornito alle finanze del padre, e quindi all’incremento del patrimonio immobiliare, la sentenza impugnata reputava il motivo inammissibile.
In tal senso, oltre a ribadire che erroneamente la pretesa era stata fatta valere nei confronti delle convenute, e non già, come invece doveroso, nei confronti della massa, ricordava che la decisione di primo grado aveva anche esaminato nel merito la pretesa creditoria, pervenendo alla conclusione che nulla era ripetibile dagli attori, in quanto le loro prestazioni erano suscettibili di rientrare nella previsione di cui all’art. 2034 c.c., essendo state rese in un contesto familiare di reciproco mantenimento.
Tale ragionamento, che la Corte d’Appello riteneva anche condivisibile, non era stato però specificamente contrastato dal
motivo di impugnazione, atteso che gli appellanti si erano limitati a riproporre le medesime difese avanzate in primo grado, senza specificamente contrappore alla ratio del Tribunale le ragioni giustificative della riforma della sentenza di primo grado.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME sulla base di quattro motivi.
Le intimate hanno resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Preliminarmente ritiene la Corte di dover accogliere la richiesta di rimessione in termini avanzata dalla difesa delle intimate, quanto all’intempestivo deposito del controricorso, sebbene ritualmente notificato nel termine di cui all’art. 370 co. 1 c.p.c., nella versione applicabile ratione temporis .
Ed, infatti, sebbene non sia stato rispettato il termine per il deposito del controricorso di cui all’ultimo comma dello stesso art. 370 c.p.c., appaiono del tutto verosimili le giustificazioni addotte dalla difesa delle controricorrenti, che ha sostenuto di avere provveduto alla spedizione a mezzo posta del plico contenente il controricorso nonché gli altri atti e documenti di cui alla norma da ultimo citata, e che tale spedizione non si è materialmente perfezionata, per effetto di un disguido verificatosi durante le operazioni di spedizione, atteso che presso i locali dell’ufficio postale di smistamento, il piego si era fortuitamente danneggiato, favorendo la fuoriuscita di alcuni atti contenuti al suo interno.
La parte, oltre a produrre la lettera di vettura relativa al primo invio ab origine , ha anche versato in atti la prova del successivo invio (a distanza di pochi giorni dal primo) di altro plico contenente il solo fascicolo di parte (atto già inserito nel primo piego), avendo le Poste Italiane comunicato la rottura accidentale del primo plico ed il rinvenimento del detto fascicolo, in quanto non riassemblato con il contenuto del primo pacco.
Appare perciò verosimile che la rottura del primo plico abbia determinato la fuoriuscita anche di altri documenti, tra cui il controricorso, e che quindi il mancato tempestivo deposito sia conseguenza di un evento fortuito che sfugge al controllo delle controricorrenti, il che legittima la rimessione in termini per il successivo deposito del controricorso.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 552/555 e ss., 724, 737/746 c.c., con violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stata oggetto di discussione tra le parti; erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa.
Si deduce che la sentenza impugnata ha risolto la controversia sul presupposto che fosse da rigettare la domanda di riduzione, trascurando che però era stata anche avanzata domanda di collazione, che impone ai donatari, che siano coeredi, in quanto figli o coniuge del de cuius, di dover conferire alla massa quanto ricevuto in vita a titolo di liberalità.
Nella fattispecie gli attori avevano allegato l’esistenza di una donazione indiretta immobiliare effettuata dal padre in favore della figlia, avendo il primo fornito alla seconda il denaro necessario per l’acquisto.
Attesa la ratio che giustifica l’istituto della collazione, ed in mancanza di una espressa dispensa, l’accertamento della donazione avrebbe dovuto imporre di tenerne conto nel prosieguo delle operazioni divisionali, e ciò anche in considerazione dell’automaticità della collazione nel caso in cui sia proposta domanda di divisione e vi sia un relictum da dividere.
Quanto alla prova della lesione della quota di riserva degli attori, si sostiene che in realtà dalle stesse indagini compiute dal CTU, tenuto conto del valore dei beni, del numero dei legittimari e del diritto di abitazione spettante alla COGNOME, emergeva con evidenza, una volta considerato anche il valore del bene asseritamente donato, la lesione della quota di riserva degli attori. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 552 e ss., 555 e ss. c.c., con omesso esame di fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti e con erronea ricognizione della fattispecie concreta rispetto alla fattispecie astratta, sempre in relazione alla medesima donazione indiretta, e per non essersi considerati gli esiti delle prove testimoniali, che deponevano in maniera evidente per la conclusione per cui effettivamente era stato il de cuius a fornire alla figlia il denaro necessario per l’acquisto, avendo anzi lo stesso genitore condotto direttamente le trattative con il venditore.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati.
La sentenza d’appello, nel confermare quella di primo grado, pur partendo dalla condivisibile premessa della differenza tra azione di riduzione e di collazione delle donazioni, nella specie indiretta (cfr. pagg. 5 e 6), ha però reputato che il richiamo alla riduzione della donazione non fosse stato poi seguito da specifiche deduzioni comprovanti il ricorrere dei presupposti fondanti l’azione de qua , avendo nel corpo della citazione la difesa fatto richiamo ad allegazioni afferenti al diverso profilo della collazione.
Pertanto, poiché la domanda di riduzione era infondata, tale esito portava anche a dover disattendere la richiesta di collazione.
Appare al Collegio che la lettura della motivazione faccia trasparire con certezza che la ragione del rigetto anche della richiesta di considerare la donazione ai fini della collazione, scaturisca dalla premessa, pure esplicitata in motivazione, secondo cui la prova della simulazione sia data anche a mezzo testi o presunzioni solo al legittimario che abbia agito in riduzione, e non anche al coerede che miri ad avvalersi della collazione. La ratio che, sia pure in maniera implicita, sorregge la decisione è che, una volta esclusa la fondatezza dell’azione di riduzione, per non esserne stati chiaramente esplicitati i presupposti giustificativi, anche sul piano dell’allegazione della lesione subita, la domanda di divisione proposta dal coerede non permetteva di poter provare la pretesa natura simulata della donazione
avvenuta tramite l’acquisto immobiliare al cui esito l’immobile era stato intestato alla sola convenuta.
La conclusione della Corte d’Appello si palesa però erronea.
5. La giurisprudenza di questa Corte ha progressivamente rivisto il precedente orientamento eccessivamente rigoroso in tema di allegazioni necessarie ai fini della ammissibilità dell’azione di riduzione, addivenendo alla conclusione per cui nel caso di esercizio della stessa, il legittimario ha l’onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata, senza che sia necessaria all’uopo l’indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente lesione, e, a tal fine, può allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva (Cass. n. 18199 del 02/09/2020), ma è pur sempre necessario che alla spendita della qualità di legittimario (sebbene non necessariamente finalizzata all’esercizio dell’azione di riduzione, ma alla tutela di diritto comunque correlati a tale qualità, cfr. Cass. n. 12317/2019, Cass. n. 16535/2020, Cass. n. 29821/2023).
Tuttavia è stato ribadito che effettivamente il ricorso alle agevolazioni probatorie concesse ai terzi per l’accertamento della natura simulata di atti di alienazione, in quanto dissimulanti
donazioni, sebbene non direttamente suscettibili di aggressione con l’azione di riduzione, ma anche al solo fine di determinare tramite la riunione fittizia, la esatta misura della quota di riserva, suscettibile di recupero anche attraverso la rimodulazione delle quote ab intestato ex art. 553 c.c. (cfr. Cass. n. 17856/2023), presuppone in ogni caso la spendita della qualità di legittimario e l’allegazione che l’accertamento è comunque funzionale all’integrazione della quota di riserva, mediante le molteplici modalità che la legge assicura a favore del legittimario.
Le considerazioni svolte in sentenza, circa il fatto che il richiamo all’istituto della riduzione compiuto in citazione non fosse stato seguito da specifiche allegazioni in merito alla ricorrenza di una lesione della quota di riserva, trovano, peraltro, conforto nella lettura delle allegazioni difensive di cui all’atto introduttivo, per come riprodotte in ricorso alle pagg. 2 e ss., dalle quali effettivamente si riscontra come il riferimento alla donazione fosse stato operato in vista della necessità di addivenire alla divisione e di dover in quella sede operarne la collazione.
Questa Corte ha di recente puntualizzato i caratteri differenziali tra l’azione di riduzione e la richiesta di collazione, richiamando in parte le differenze puntualmente esposte nel corpo della sentenza d’appello, e ribadendo che, in tema di azione di riduzione, non sussiste l’onere di preventiva collazione da parte dei legittimari, atteso che quest’ultima attribuisce al coerede un concorso sul valore della donazione, di regola realizzato attraverso un incremento della partecipazione sul ” relictum “, laddove il
legittimario, per il valore che esprime la lesione di legittima, ha diritto a ricevere quel valore, in natura, con conseguente ammissibilità del concorso tra le due azioni (Cass. n. 17856 del 22/06/2023).
E’ stato, infatti, chiarito che, mentre la riduzione sacrifica i donatari nei limiti di quanto occorra per reintegrare la legittima lesa, ed è quindi imperniata sul rapporto fra legittima e disponibile, la collazione, nei rapporti indicati nell’art. 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del “de cuius”, donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile. Nondimeno, il rilievo che la collazione può comportare di fatto l’eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali, non esclude che il legittimario possa contestualmente esercitare l’azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che solo l’accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l’assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l’imputazione del relativo valore. Al contempo, e in modo speculare, deve riconoscersi che l’azione di riduzione, una volta esperita, non esclude l’operatività della collazione con riguardo alla donazione oggetto di riduzione, fermo restando che mentre la collazione, ove richiesta in via esclusiva, comporta il rientro del bene donato nella massa, senza riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile, nel caso di
concorso con l’azione di riduzione essa interviene in un secondo tempo, dopo che la legittima sia stata reintegrata, al fine di redistribuire l’eventuale eccedenza, e cioè l’ulteriore valore della liberalità che esprime la disponibile (Cass. n. 28196 del 10/12/2020; conf. Cass. n. 39368/2021).
6. Una volta, quindi, reputata ammissibile la proposizione di entrambe le domande, stanti le segnalate differenze ed i diversi vantaggi che ognuna delle due offre, resta, però, altrettanto confermato il principio che dall’esercizio dell’azione di simulazione da parte dell’erede per l’accertamento di dissimulate donazioni non deriva necessariamente che egli sia terzo, al fine dei limiti alla prova testimoniale stabiliti dall’art. 1417 c.c., perché, se l’erede agisce per lo scioglimento della comunione, previa collazione delle donazioni – anche dissimulate – per ricostituire il patrimonio ereditario e ristabilire l’uguaglianza tra coeredi, subentra nella posizione del “de cuius”, traendo un vantaggio dalla stessa qualità di coerede rispetto alla quale non può avvantaggiarsi delle condizioni previste dall’art. 1415 c.c.; è invece terzo, se agisce in riduzione, per pretesa lesione di legittima, perché la riserva è un suo diritto personale, riconosciutogli dalla legge, e perciò può provare la simulazione con ogni mezzo (cfr. ex multis Cass. n. 41132 del 21/12/2021).
La sentenza d’appello ha però tratto dalla infondatezza dell’azione di riduzione, per la carenza delle allegazioni necessarie a verificare la effettiva sussistenza della lesione, e dalla strumentalità dell’accertamento della donazione indiretta alla
eliminazione della lesione, in via conseguenziale anche l’impossibilità di accogliere la domanda di accertamento della natura liberale della fattispecie dedotta in giudizio in vista della collazione, ma nel compiere tale affermazione non ha tenuto conto della peculiarità della donazione individuata dagli attori, in quanto rientrante nel novero delle donazioni indirette.
Il ragionamento sinora esposto, circa il differente trattamento dell’erede e del legittimario sul piano delle agevolazioni probatorie, onde rimuovere il limite che l’art. 1417 c.c. pone alle parti del negozio dissimulato, opera solo ove ad essere oggetto della materia del contendere sia una donazione dissimulata, diversa dovendo invece essere la conclusione nel caso in cui si assuma che il coerede sia stato beneficiario di una donazione indiretta.
6.1 La vicenda narrata in citazione, e concernente l’acquisto dell’immobile operato dalla convenuta COGNOME NOME, appare rientrare in maniera evidente nella fattispecie della donazione indiretta dell’immobile, come delineata dalla giurisprudenza di questa Corte a seguito del noto intervento dele Sezioni Unite di cui alla pronuncia n. 9282/1992.
Una volta ribadito che la donazione indiretta si identifica con ogni negozio che, pur non avendo la forma della donazione, sia mosso da un fine di liberalità e abbia l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario, sicché l’intenzione di donare emerge solo in via indiretta dal rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso, nei limiti in cui siano tempestivamente e ritualmente
dedotte e provate in giudizio. (Cass. n. 9379 del 21/05/2020), nella difesa degli attori si prospetta che l’acquisto dell’immobile è stato operato direttamente da parte della presunta donataria, che avrebbe assolto all’obbligo di pagamento del prezzo con denaro fornito da parte del genitore.
Si rientra pertanto nell’ipotesi di intestazione del bene a nome altrui che costituisce appunto una delle ipotesi di donazione indiretta (cfr. Cass. n. 13619/2017, secondo cui nell’ipotesi di acquisto di un immobile con danaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente intende in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario e, quindi, integra – anche ai fini della collazione – donazione indiretta del bene stesso e non del danaro).
Ancorché nella donazione indiretta, ai fini della stima della donazione debba guardarsi all’oggetto dell’acquisto, analogamente a quanto avviene per l’ipotesi della donazione simulata (che però resta una donazione immobiliare a tutti gli effetti), l’utilizzo di un meccanismo negoziale che assicura al donatario l’acquisto di un bene a titolo gratuito, senza che però tale bene sia mai appartenuto al donante, giustifica anche la conclusione per cui, ai fini della reintegrazione della quota di riserva ovvero della collazione, poiché non risulta messa in discussione la titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal
legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito, con esclusione di ogni possibilità di recupero in natura del bene, in caso di riduzione, ovvero di collazione in natura, ove l’accertamento sia funzionale a tale scopo.
La donazione indiretta resta però un contratto con causa onerosa, posto in essere per raggiungere una finalità ulteriore e diversa consistente nell’arricchimento, per mero spirito di liberalità, del contraente che riceve la prestazione di maggior valore e differisce dal negozio simulato in cui il contratto apparente non corrisponde alla volontà delle parti, che intendono, invece, stipulare un contratto gratuito. Ne consegue che ad essa non si applicano i limiti alla prova testimoniale -in materia di contratti e simulazione – che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato allo scopo.
Ne consegue che la distinzione tra la donazione simulata e donazione indiretta non consente di estendere a quest’ultima le limitazioni probatorie dettate dall’art. 1417 c.c., e che la prova dell’effettiva natura liberale (in tutto o in parte), della fattispecie negoziale oggetto della domanda può essere data anche a mezzo presunzioni, pur nel caso in cui non si alleghi a fondamento della pretesa la qualità di legittimario (Cass. n. 19400/2019 che ha confermato la sentenza gravata che aveva ritenuto l’esistenza di donazioni indirette sulla base di prove presuntive; Cass. n. 6904/2022, Cass. n. 7872/2021, Cass. n. 1986/2016).
La circostanza che la Corte d’Appello ha riscontrato che la difesa degli attori si era limitata ad allegazioni inerenti alla domanda di
collazione, che è destinata ad operare in via automatica una volta che risulti proposta la domanda di divisione (sulla quale i giudici di merito si sono pronunciati), non consentiva di eludere la richiesta di accertamento della donazione indiretta effettuata dal genitore alla figlia facendo solo richiamo all’infondatezza della domanda di riduzione.
6.2 La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, che sarà chiamata a verificare se, alla luce delle prove raccolte e degli elementi presuntivi indicati, sia possibile riscontrare la messa a disposizione del denaro necessario all’acquisto da parte del genitore, ed all’esito positivo di tale verifica, porre in collazione la donazione accertata, ma esclusivamente per imputazione (cfr. Cass. n. 11496/2010).
Il terzo motivo del ricorso lamenta la violazione degli artt. 1102, 552 e ss., 713 e ss., 745 c.c., con omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed errata ricognizione della fattispecie concreta rispetto alla fattispecie astratta, quanto al rigetto della domanda di rendiconto dei frutti derivanti dal godimento esclusivo da parte della sorella dell’immobile oggetto della pretesa donazione indiretta.
Si deduce che la sentenza ha disatteso la domanda attorea, facendo un rinvio al fatto che il bene era di proprietà della convenuta ed escluso dal novero dei beni ereditari.
Si deduce che, una volta auspicato l’accoglimento dei primi due motivi, il bene oggetto della donazione rientrerebbe nella massa e
quindi la convenuta sarebbe tenuta a rendere ai germani la somma equivalente al vantaggio tratto dal godimento esclusivo.
A prescindere della sorte di quello che è l’accertamento devoluto al giudice di merito circa l’esistenza di una donazione indiretta in favore della controcorrente, il motivo è però infondato.
Infatti, anche in caso di accoglimento della richiesta di accertamento della donazione indiretta ad opera del giudice di rinvio, per quanto detto, la collazione non potrà che avvenire per imputazione, il che esclude che i ricorrenti possano vantare un diritto ai frutti civili prodotti dal bene dalla data di apertura della successione.
Infatti, questa Corte ha chiarito che nella divisione ereditaria, una volta che il condividente donatario abbia optato per la collazione per imputazione (ovvero ciò sia necessitato) – che si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo condividente -, la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo “ab origine” un debito di valuta a carico del donatario, cui si applica il principio nominalistico. Ne consegue che devono essere imputati, non i frutti civili dell’immobile oggetto di collazione, ma gli interessi legali sulla predetta somma, con decorrenza dal momento dell’apertura della successione (Cass. n. 5659/2015; Cass. n. 9177/2018).
8. Il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 713 e ss., 752 e ss., 2034, 2041/2042 c.c., con omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ed erronea ricognizione della fattispecie concreta rispetto alla fattispecie astratta.
La censura investe il rigetto della domanda di riconoscimento del credito degli attori correlato all’attività prestata nell’azienda del padre, dalla quale era derivato un incremento delle finanze impiegate per gli acquisti immobiliari.
Si deduce che le prove raccolte avevano offerto ampia dimostrazione di tale contributo e che l’affermazione del giudice di primo grado circa l’applicabilità della disciplina in tema di obbligazioni naturali non tiene conto del fatto che mancava una proporzione tra le prestazioni rese e l’entità del patrimonio e le condizioni sociali del solvens .
La domanda andava, quindi, accolta per quella parte delle prestazioni che non si palesavano come proporzionate alla situazione familiare di convivenza, anche alla luce del principio che è sotteso alla disciplina dell’arricchimento senza causa.
Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con l’effettivo contenuto della sentenza d’appello in parte qua.
La Corte distrettuale alla pag. 7, quartultimo rigo, nell’esaminare il motivo di appello che investiva il rigetto della domanda de qua, ha chiaramente concluso per l’inammissibilità del mezzo di gravame, specificando, poi a pag. 8, che tale conclusione era dovuta al fatto che la sentenza di primo grado, senza mettere in discussione l’apporto dei figli all’attività paterna, aveva valorizzato
la previsione di cui all’art. 2034 c.c. L’affermazione del Tribunale non vedeva però una specifica contrapposizione delle ragioni degli appellanti a quelle del giudice di primo grado, atteso che i primi si erano limitati a riproporre le difese già svolte in prime cure.
Trattasi, quindi, di una declaratoria di inammissibilità del motivo di appello sul rilievo dell’assenza di specificità.
Una volta individuato il reale contenuto della statuizione adottata dal giudice di appello, deve richiamarsi il principio secondo cui nel giudizio di cassazione, i motivi che, a fronte della dichiarazione di inammissibilità del gravame, attingano direttamente l’apprezzamento di merito operato dal giudice d’appello, senza censurare l'”error in procedendo” cui questi è incorso, così da rimuovere la ragione in rito che aveva impedito la valutazione nel merito delle censure mosse con l’atto di appello, determinano l’inammissibilità del motivo di ricorso, derivando da tale omissione il passaggio in giudicato della statuizione di inammissibilità e il conseguente venir meno dell’interesse della parte a far valere in sede di legittimità l’erroneità delle ulteriori statuizioni della decisione impugnata (Cass. n. 24550 del 11/08/2023).
Il giudice di rinvio, come sopra designato, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigetta il terzo ed il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda