Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14399 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14399 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12396/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME COGNOME
-controricorrente-
CARBONE PIETRO, CARBONE NOME, CARBONE NOME e CARBONE CRISTINA;
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 2621/2018 depositata il 07/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nella causa riguardante la successione di COGNOME NOME, deceduto il 20 gennaio 2011, promossa dalla coniuge NOME nei confronti dei figli del de cuius NOME, NOME, NOME, NOME ed NOME COGNOME, il Tribunale di Catania, per quanto interessa in questa sede, accertava che COGNOME NOME era tenuto a conferire in collazione i seguenti cespiti, in quanto acquistati, secondo la ricostruzione della sentenza, con denaro del disponente e quindi oggetto di altrettante donazioni indirette: a) la piena proprietà dell’appartamento, con cantina di pertinenza, in Spezzano della Sila, località INDIRIZZO, acquistato da NOME COGNOME con atti del 3 giugno 1988 e del 30 dicembre 1994; b) le quote pari al 95% dell’intero pacchetto societario della RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto l’esercizio di agenzia di viaggi; c) la piena proprietà dell’appartamento in Catania, INDIRIZZO con garage di pertinenza avente ingresso dal civico INDIRIZZO, acquistato da NOME Carbone con atto del 21 luglio 2000.
La Corte d’appello di Catania confermava tale contenuto decisorio della sentenza di primo grado, rigettando i motivi dell’appello incidentale proposti al riguardo da NOME COGNOME il quale aveva censurato il ragionamento sulla base del quale era stata accertata la liberalità indiretta. La corte di merito rigettava ancora l’ulteriore motivo d’appello incidentale, con il quale COGNOME NOME aveva chiesto, in via subordinata, che l’oggetto della collazione fosse stabilito non negli immobili, ma nel denaro.
Contro la sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria. NOME ha resistito con controricorso, depositando anche la memoria. Le altre parti rimangono intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 2727, 2729, 2729 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Le donazioni indirette, sia per quanto riguarda l’immobile in Camigliatello, sia per quanto riguarda le quote della RAGIONE_SOCIALE, sono state riconosciute sulla base di presunzioni prive dei requisiti di legge.
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2733, 2909, 2697 c.c. e 115, 116 e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Il motivo censura la decisione in ordine al riconoscimento della donazione indiretta delle porzioni immobiliari in Catania, INDIRIZZO In particolare, il ricorrente deduce che tale riconoscimento – fondato sulla supposta riconducibilità al de cuius del conto corrente dal quale provenivano le somme utilizzate per l’acquisto, compresi i ratei del mutuo ipotecario acceso per l’acquisto stesso e la somma impiegata per l’estinzione anticipata -era in contraddizione con la diversa intestazione del conto dal quale proveniva la provvista, il quale non era intestato al genitore, ma ai fratelli NOME e NOME COGNOME La corte di merito, negando la effettività dell’intestazione (riconosciuta dagli intestatari in sede di interrogatorio formale), aveva assunto una decisione contrastante con la sentenza del Tribunale di Milano n. 11395 del 2011, avente efficacia di giudicato inter partes : il ricorrente sostiene che la corte d’appello avrebbe travisato il contenuto di tale pronunzia, ravvisando nell’accertamento da essa compiuto la prova della intestazione solo formale del conto, mentre il tribunale milanese aveva affermato esattamente il contrario,
Il terzo motivo denunzia nullità della sentenza per omessa motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
L’attuale ricorrente aveva dedotto che oggetto del conferimento avrebbero dovuto essere le somme impiegate per l’acquisto e non gli immobili acquistati, e ciò in considerazione del fatto che le supposte elargizioni paterne non coprivano per intero il prezzo pagato. Nonostante tale specifica deduzione, la Corte d’appello, nel riconoscere la donazione indiretta per l’intero, non ha argomentato alcunché su tale specifica deduzione.
Il quarto motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 737 e 809 c.p.c. La Corte d’appello ha riconosciuto che oggetto del conferimento avrebbero dovuto essere gli immobili in Catania, piuttosto che il denaro, nonostante nella specie mancasse il collegamento fra elargizione e acquisto, essenziale ai fini della costruzione della donazione indiretta. In particolare, il ricorrente pone l’accento sul fatto che, con riferimento alle porzioni immobiliari in Catania, una parte del prezzo era stata pagata con il ricavo di un mutuo. Si sostiene che l’esistenza di questo mutuo rendesse palese che il genitore aveva al limite fornito solo una parte della provvista occorrente per il pagamento del prezzo. Ammesso e non concesso che le rate furono pagate con denaro del genitore, il pagamento non andava correlato all’acquisto, già effettuato, costituendo estinzione di un debito altrui.
Il primo motivo è infondato. La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che sussistesse la prova presuntiva della donazione indiretta. Secondo la sentenza impugnata, conforme su questo aspetto alla decisione di primo grado, l’attuale ricorrente, in considerazione della giovane età e delle proprie condizioni personali e lavorative, non poteva disporre di mezzi propri tali da consentirgli l’acquisto della piena proprietà dell”immobile in Camigliatello e le quote dell’azienda. In ordine a tali deduzioni, il ricorrente censura la decisione in linea di principio, senza dedurre alcun fatto idoneo a
incrinare la logica presuntiva utilizzata dai giudici di merito. La censura, pertanto, sotto l’egida della violazione di legge, palesa l’intento del ricorrente di sottoporre nuovamente al giudice di legittimità un inammissibile giudizio sul fatto, risolto nello stesso modo dai giudici di primo grado e di appello.
Q uanto all’ulteriore censura proposta con il motivo in esame, riguardante specificamene l’affermazione con la quale i giudici di merito avevano accampato dubbi sulla corrispondenza fra il valore dell’azienda e il prezzo pagato per le quote della RAGIONE_SOCIALE investe un passaggio argomentativo privo di incidenza sulla decisione, fondata essenzialmente sugli elementi sopra indicati. Essa è pertanto irrilevante.
Il secondo motivo è fondato nei limiti di seguito indicati. La corte di merito ha ricostruito le vicende relative all’acquisto in Catania, INDIRIZZO in questi termini. In primo luogo, la corte di merito ha osservato, con riferimento all’eccezione di NOME COGNOME il quale aveva dedotto di avere contratto un mutuo per l’acquisto pari a € 220.000,00 che il rilievo era superato dalla consulenza tecnica, che aveva accertato che i ratei erano stati pagati con somme provenienti dal conto di famiglia (il conto di cui infra ), «che con accertamento passato in giudicato il Tribunale di Milano ha ritenuto essere formato con denaro del padre, nonostante si trattasse di conto cointestato formalmente a NOME e NOME COGNOME»; dal medesimo conto era infine attinta anche la provvista per l’estinzione anticipata del finanziamento. Quindi ha proseguito nella propria analisi, rilevando che il consulente tecnico aveva accertato che, il giorno dell’acquisto, avvenuto il 21 luglio 2000, sono stati addebitati sul conto corrente n. 48766, esistente presso la BNL di Catania intestato a NOME e NOME COGNOME, 10 assegni circolari intestati a NOME COGNOME per il complessivo
importo di lire 108.500.000, oltre a due assegni, per il complessivo importo di lire 191.000.000, intestati al venditore.
Tale contenuto decisorio sfugge alla censura di violazione del giudicato mossa dal ricorrente con riferimento alla sentenza del Tribunale di Milano. Questa, infatti, si occupa di vicende successive all’acquisto, che possono così riassumersi.
L’attuale ricorrente, insieme al fratello NOME, era titolare della nuda proprietà di un immobile in Roma, INDIRIZZO in forza di donazione ricevuta dal padre con atto del 27 dicembre 1988. Tale immobile, sul quale il donante si era riservato l’usufrutto, fu poi venduto unitariamente dai titolari. La vendita fu fatta a mezzo del procuratore COGNOME COGNOME in forza di procura rilasciata dai nudi proprietari e dall’usufruttuario, con atto del 17 febbraio 2003.
L’azione intrapresa dall’attuale ricorrente dinanzi al Tribunale di Milano aveva per oggetto la parte del prezzo a lui spettante quale nudo proprietario pro quota . Essa è stata accolta dal Tribunale di Milano. Secondo il tribunale meneghino, la duplice circostanza che la vendita aveva riguardato un immobile che NOME aveva avuto in donazione dal genitore e che la stessa vendita era avvenuta in conformità alla volontà del genitore, non forniva un argomento, giuridicamente spendibile, per negare il diritto di NOME alla parte del prezzo corrispondente ai diritti sulla res di cui era l’effettivo titolare. Nello stesso tempo, il Tribunale di Milano, nel compiere tale accertamento, ha ritenuto infondata l’eccezione di compensazione svolta dal convenuto NOME COGNOME il quale pretendeva di compensare con il proprio debito per la vendita dell’immobile di INDIRIZZO i pagamenti, effettuati in favore di NOME, con provvista proveniente da conti intestati al medesimo NOME COGNOME; «ciò in quanto dalla stessa prospettazione del convenuto (COGNOME Pietro n.d.r.) si evince che tali somme, pur
nella disponibilità contabile non erano sue, ma del padre, per conto del quale egli le gestiva; onde nessun obbligo restitutorio compensabile nei confronti del fratello (ma semmai ed eventualmente, di futura collazione alla massa ereditaria) può essere sorto a carico di NOME COGNOME a seguito di quelle rimesse».
Consegue da tale ricostruzione che, in ordine all’aspetto riguardante l’intestazione formale dei conti correnti in nome dei fratelli e l’appartenenza del denaro depositato al comune genitore , la Corte d’appello si è limitata a riprendere l’affermazione contenuta nella sentenza del Tribunale di Milano, essendo quindi palesemente insussistente ogni ipotesi di violazione del giudicato. È vero, tuttavia, che il Tribunale di Milano, pur nell’ambito di questo ragionamento, ammise, in favore di COGNOME Pietro, condannato a restituire la quota del prezzo di vendita dell’immobile di INDIRIZZO in Roma spettante a NOME, la compensazione (impropria) con le somme ‘di cui ha beneficiato NOME COGNOME dopo la venduta del 27 febbraio 2003 ; non avendo l’attore contestato che per il pagamento ratei del suo mutuo ipotecario sia stato utilizzato proprio quel conto bancario n. 48766 sul quale era stato depositato il prezzo della vendita’. Fatta tale premessa, il Tribunale ha detratto da quanto dovuto a NOME un importo ulteriore, «pari alle rimesse solutorie individuate dal consulente d’ufficio ».
Così ricostruito il contenuto della decisione del Tribunale di Milano, la censura del ricorrente, il quale si duole della diversa qualificazione delle poste riferibili al mutuo operata dalla sentenza impugnata, nella parte in cui questa ha riconosciuto che quanto usato per il pagamento del debito era riconducibile alla liberalità elargita del genitore in favore di NOME, è fondata. Invero, la
corte di merito, nel decidere in questo modo, è andata in contraddizione con il giudicato derivante dalla sentenza del Tribunale di Milano, il quale aveva considerato la vicenda nell’ambito del rapporto fra i due fratelli, deducendo dal debito di NOME nei confronti di NOME l’importo corrispondente a quanto utilizzato per il pagamento ‘dei ratei del suo mutuo ipotecario’ . In presenza di tale statuizione, è giocoforza concludere che i relativi importi, in quanto addebitati a NOME nell’ambito del rapporto fra il medesimo e il procuratore a mezzo del quale era stata fatta la vendita dell’immobile in Roma, INDIRIZZO non avrebbero potuto essere considerati, nell’ulteriore giudizio, quale mezzo impiegato dal de cuius per realizzare una liberalità indiretta immobiliare.
Nel controricorso si sostiene che la corte d’appello avrebbe dovuto rigettare il gravame ‘per diverse e ulteriori motivazioni’. Il prezzo dei due immobili in Catania risultava integralmente pagato dal de cuius e non attraverso il mutuo. Questo sarebbe stato contratto da NOME successivamente «e le somme non vennero certamente utilizzate per l’acquisto dei due immobili perché l’intero prezzo era stato corrisposto dal de cuius ». Come anticipato, la corte di merito ha superato la questione, dedotta dalla convenuta con la comparsa di risposta, rilevando che il debito fu comunque pagato con denaro del genitore; tale questione, pertanto, rimasta assorbita in conseguenza dell’accoglimento di altra tesi, potrà essere riproposta dalla parte vittoriosa in sede di rinvio (Cass. n. 1308/1989; n. 3503/1983; n. 342/1997).
L’accoglimento del secondo motivo importa l’assorbimento del terzo e del quarto motivo.
La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio innanzi alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, perché provveda a riconsiderare le risultanze istruttorie, alla luce
dell’esatta interpretazione del giudicato derivante dalla sentenza del Tribunale di Milano.
Ad essa si demanda pure la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda