Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22613 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 22613 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3577/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale in atti.
-RICORRENTE- contro
COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME COGNOME e COGNOME con domicilio digitale in atti.
-CONTRORICORRENTE- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2605/2020, depositata il 16/10/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2025 dal CONSIGLIERE NOME COGNOME.
Udito il PUBBLICO MINISTERO, in persona del SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE NOME COGNOME che ha chiesto di respingere il ricorso.
Uditi gli AVV.TI. NOME COGNOME E NOME COGNOME FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, marito in seconde nozze della defunta NOMECOGNOME ha convenuto in giudizio NOME COGNOME figlio della de cuius, nato dal primo matrimonio, per ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria, composta da immobili, mobili e depositi bancari per € 144.000,00 . Il convenuto, ritualmente costituito, ha chiesto la collazione di una donazione indiretta che, a suo parere, l’attore aveva ricevuto dalla moglie mediante la cointestazione di un conto su cui era affluito il prezzo della vendita di un immobile personale della Hristich, pari ad £. 304.900.000, poi impiegati per l’acquisto di titoli e di fondi di investimento ugualmente cointestati ai coniugi, e per esser risarcito per il mancato godimento dei beni ereditari.
L’adito tribunale ha disposto la divisione, respingendo la richiesta di collazione e di risarcimento.
La successiva pronuncia di appello, con cui era stato dichiarato inammissibile il gravame di NOME COGNOME è stata cassata con ordinanza n. 2272/2019.
Riassunto il giudizio, la Corte distrettuale di Milano ha respinto la riconvenzionale, evidenziando che il deposito delle somme ricavate dalla vendita dell’immobile non poteva considerarsi una donazione indiretta, essendo emerso che durante tutto il matrimonio, protrattosi per oltre 37 anni, sul medesimo conto erano confluite anche rilevanti somme appartenenti all’attore e che, pertanto, NOME COGNOME con detto versamento, aveva semplicemente concorso nelle spese per il mantenimento della famiglia; ha ritenuto infondata la richiesta di risarcimento del danno per il ritardato godimento delle somme appartenenti all’asse ereditario, affermando che la perdita di valore degli investimenti non era dipesa da mala gestio dell’attore, ma dall ‘andamento negativo del mercato ; ha dichiarato inammissibile la richiesta di ottenere il possesso del box
sito in Dresano che, già dal 5.6.2008, non era più nella disponibilità del l’ attore.
La cassazione della sentenza è chiesta da NOME COGNOME con ricorso in sette motivi, cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME
Il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha fatto pervenire anche conclusioni scritte prima dell’udienza pubblica.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo deduce la nullità della sentenza per mancata trascrizione delle conclusioni delle parti.
Il motivo è infondato.
La violazione denunciata integra, di norma, una mera irregolarità formale salvo che non si sia tradotta nell’omessa pronuncia su domande o eccezioni o in un vizio di motivazione (Cass. 2033/2025; Cass. 2237/2016).
In mancanza della stessa deduzione di tali più gravi conseguenze processuali, l ‘omessa trascrizione delle conclusioni non può condurre alla cassazione della sentenza.
Il secondo motivo deduce vizio di motivazione, lamentando l’omesso l’esame dei rilievi mossi dall’appellante alla sentenza di primo grado riguardo al perfezionamento della donazione indiretta di denaro, questione cui la Corte di merito avrebbe dato soluzione con un’acritica adesione alle argomentazioni del tribunale.
Si eccepisce che il versamento di fondi personali di uno dei coniugi su un conto cointestato non cag iona l’automatica comunione delle somme, su cui l’altro coniuge non può avanzare pretese; si espone che l’animus donandi poteva esser desunto anche dal comportamento del coniuge, che aveva liberamente impiegato le somme in investimenti a proprio nome, mostrando di ritenersi esclusivo titolare dei fondi.
Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. , per aver il giudice di rinvio esaminato e dato rilievo ad una questione non
dedotta in appello quanto alla qualificazione del versamento di £. 304.900.000, realizzato dalla vendita immobiliare, come bene personale della defunta e al contempo come oggetto di donazione. Il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. , contestando al giudice distrettuale di aver esaminato una questione non dedotta in appello, avendo reputato contraddittoria la tesi del ricorrente secondo cui, da un lato, la de cuius aveva inteso donargli l’immobile sito in Milano , successivamente alienato, e dall’altro che la somma ricavata dalla vendita era stata oggetto di donazione indiretta al resistente.
I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno respinti per le ragioni che seguono.
La Corte di merito, conformemente a quanto già sostenuto dal tribunale, ha ritenuto indimostrato che, mediante il deposito sul conto cointestato del prezzo della vendita di un immobile personale della de cuius, quest’ultima avesse inteso donare al marito la metà delle somme, mancando l’elemento soggettivo della donazione, quale intenzione di arricchire il beneficiario con depauperamento del patrimonio personale del disponente, assumendo che invece, secondo un modus operandi dei due coniugi protrattosi per decenni, NOME COGNOME aveva solo contributo alle spese nell’interesse della famiglia.
La pronuncia non ha affermato che il COGNOME era divenuto comproprietario delle somme, ma solo che quei versamenti valevano a predisporre la provvista per far fronte alla gestione familiare, non essendo sorretti dall’intento della titolare di trasf erirne la proprietà pro quota a titolo di donazione.
La decisione non è perciò difforme dall’insegnamento di questa Corte secondo cui il deposito su conto cointestato di somme appartenenti ad uno dei coniugi può costituire una donazione indiretta (soggetta a collazione) sempre che si dimostri la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al donante, prova che compete a chi deduca il
perfezionamento della liberalità (Cass. 24684/2021; Cass. 4682/2018; Cass. 26983/2008).
Nessun rilievo muove, invece, il ricorso in replica alle argomentazioni che si leggono a pag. 5 della pronuncia riguardo all ‘impossibilità, per difetto di allegazioni, di recuperare all’asse da dividere le somme depositate sul conto cointestato per l’ipotesi che fosse stata esclusa la donazione indiretta, profilo che, quindi, non può essere riesaminato.
In conclusione il terzo motivo appare essenzialmente diretto a confutare un accertamento in fatto circa l’ impossibilità di configurare una donazione indiretta delle somme versate sul conto cointestato, che il giudice di merito ha escluso con motivazione esente da vizi.
Sono invece inammissibili, poiché non decisive, le questioni dedotte con i motivi terzo e quarto, circa l’assenza di p alesi illogicità delle tesi proposte dal ricorrente, non venendo inficiate le argomentazioni che hanno condotto il giudice del rinvio ad escludere una donazione soggetta a collazione.
3. Il quinto motivo deduce vizio di motivazione, assumendo che, con riferimento al pregiudizio per la perdita di valore degli investimenti caduti in successione, il giudice, mal interpretando le deduzioni del ricorrente, avrebbe valutato il periodo anteriore all’apertura del la successione, mentre il ricorrente aveva lamentato perdite verificatesi dopo l’apertura della successione , allorquando NOME COGNOME aveva avuto la gestione esclusiva dei prodotti finanziari.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha valutato proprie le perdite di valore degli investimenti finanziari verificatesi nel periodo succe ssivo all’apertura della successione (2000), riconducendone la causa alla crisi finanziaria succe ssiva all’atten tato alle Torri gemelle di New York (2001), per i quali ha escluso la mala gestio del ricorrente.
Il motivo si basa su quanto si legge a pag. 5, punto 3 della sentenza, senza tener conto delle argomentazioni illustrate a pag. 6, punto 4.1.
in cui risulta esclusa ogni responsabilità dei NOME COGNOME per la perdita di valore degli investimenti dopo il 2001.
5. Il sesto motivo deduce la violazione degli artt. 112 e 117 c.p.c. per omessa pronuncia e omessa motivazione sulle doglianze che la Corte di merito, esclusa una donazione indiretta del denaro, ha dichiarato assorbiti, censure che riguardavano la quota dei beni finanziari spettanti al ricorrente, pari ad €. 40 .775,41, il conguaglio di €. 137.704,59, il capo relativo ai gioielli e ai prez iosi e agli altri beni esistenti al momento della successione.
Il motivo è inammissibile.
La censura, oltre sottoporre a critica la sentenza di primo grado, non ricorribile in cassazione, non illustra con compiutezza le questioni controverse e le effettive ragioni di erroneità del dichiarato assorbimento, omettendo di specificare anche quando le descritte contestazioni siano state proposte in appello, questioni di cui la Corte distrettuale non ne fa menzione neppure nella parte espositiva dei motivi di impugnazione, apparendo la doglianza del tutto priva del necessario requisito di specificità, cui deve rispondere il ricorso anche quando siano denunciati errores in procedendo per i quali questa Corte è giudice del fatto processuale e può accedere direttamente agli atti di causa (Cass. SU 8077/2012).
6. Il settimo motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver il giudice di rinvio posto a carico del ricorrente anche le spese del precedente giudizio di legittimità, conclusosi con accoglimento del ricorso.
Il motivo è infondato.
La regolazione delle spese di lite non può avvenire per gradi ma in base all’esito finale della causa (Cass. 23639/2024; Cass. 27056/2021), esito che ha visto soccombente il ricorrente sulla riconvenzionale e le pretese risarcitorie, posto inoltre che nel giudizio di divisione, le spese concernenti le operazioni divisionali sono a carico della massa, mentre valgono i principi generali della
soccombenza per gli atti determinati da eccessive pretese o inutili resistenze, cioè dall’ingiustificato comportamento di una delle parti (Cass. 22903/2013; Cass. 1635/2020).
Il ricorso è, in definitiva, respinto, con aggravio delle spese processuali.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che si liquidano in €. 6000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre ad Iva, CPA e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione