Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14211 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 14211 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/05/2024
Oggetto:
successioni
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3806/2018 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma alla INDIRIZZO.
-RICORRENTE –
contro
COGNOME NOME E COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Verona, INDIRIZZO.
-CONTRORICORRENTI
avverso la sentenza n. 2617/2017 della Corte d’appello di Venezia, depositata il 15.11.20217.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23.4.2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOMEAVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi gli AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha convenuto in giudizio la cugina NOME COGNOME e il coniuge di quest’ultima, NOME COGNOME, per ottenere lo scioglimento delle due diverse masse ereditarie del nonno NOME COGNOME, deceduto il 28 marzo 2007, e della nonna NOME COGNOME, deceduta il 21 luglio 2009, agendo in qualità di erede per rappresentazione dei genitori premorti.
Ha esposto che con atto del 18.4.1997 NOME COGNOME aveva venduto a NOME COGNOME e a NOME COGNOME l’abitazione familiare, con riserva a sé e alla moglie dell’usufrutto vitalizio, e che con lo stesso atto NOME COGNOME aveva trasferito ai convenuti la piena proprietà di un terreno per il prezzo di £. 1.500.000, atti che -secondo l’attrice – integravano vere e proprie donazioni o negozi misti con donazione, di cui ha chiesto la riduzione per lesione di legittima, instando infine per il risarcimento dei danni conseguenti all’utilizzo esclusivo dell’intero compendio caduto in successione da parte dei convenuti.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito, proponendo riconvenzionale per il rimborso delle spese funebri o, in subordine, per ottenere il controvalore delle migliorie apportate agli immobili comuni.
Esaurita la trattazione, il Tribunale di Verona ha stabilito che entrambe le vendite del 18.4.1997 costituivano negozi misti con donazione, ha dichiarato inammissibile l’azione di riduzione proposta nei confronti di NOME COGNOME relativamente alla massa di NOME COGNOME, non avendo l’attrice accettato l’eredità del nonno paterno con beneficio di inventario, e ha respinto nel merito la domanda di riduzione verso NOME COGNOME; ha accolto la domanda di riduzione relativamente
all’eredità di NOME COGNOME, condannando i convenuti, a tale titolo, al pagamento di € 69.000,00; ha infine diviso l’asse ereditario di NOME COGNOME e ha assegnato le porzioni, con previsione di un conguaglio di €. 15880,00 a carico dell’attrice, respingendo ogni altra domanda e compensando le spese di giudizio.
Su appello di NOME COGNOME, la Corte distrettuale di Venezia ha confermato la decisione.
Anche a parere del Giudice distrettuale le due compravendite del 18 aprile del 1997 integravano negozi misti con donazione, evidenziando che i venditori aveva rilasciato quietanza e che non vi era prova del mancato pagamento del prezzo, avendo l’attrice allegato quale unico elemento presuntivo contrario la presenza di due testimoni al momento del rogito, insufficiente a provare la sussistenza di una vera e propria donazione del compendio immobiliare.
Dopo aver stabilito che il valore della donazione indiretta relativamente alla vendita effettuata dal NOME COGNOME era pari ad € 85.718,00, corrispondente alla metà del valore del nuda proprietà, detratta la metà del prezzo pagato (data l’impossibilità di ridurre la disposizione in favore di NOME COGNOME), la sentenza ha escluso che la suddetta donazione indiretta, di cui era stata beneficiaria NOME COGNOME, avesse leso la quota di riserva spettante all’attrice , confermando la riduzione della sola donazione effettuata dalla COGNOME ai due convenuti.
Riguardo al valore dell’abitazione in località Dunes nel Comune di Malcesine, la Corte territoriale ha condiviso la stima dei beni effettuata dal c.t.u., affermando di non poter tener conto della vocazione edificatoria dell’immobile poiché, a suo parere, i beni ricadenti nell’asse dovevano essere valutati con riferimento alla
situazione esistente al momento del perfezionamento dell’atto lesivo della legittima.
Ha esonerato NOME COGNOME dalla collazione dei beni ricevuti in donazione, sul rilievo che l’art. 737 c.c. si applica non a tutti i donatari ma solo ai coeredi, e ha stabilito che la riduzione doveva avvenire per equivalente, poiché la lesione era effetto di una donazione indiretta.
Ha ritenuto infondate le doglianze dell’appellante in merito al criterio di assegnazione dei restanti beni in natura, evidenziando che la decisione del Tribunale -che aveva disatteso il progetto elaborato dal c.t.u. e che aveva attribuito all’attrice dei lotti 1 e 2 e i restanti tre lotti alla convenuta, con previsione di un conguaglio -consentiva di evitare la costituzione di servitù mentre la soluzione proposta dall’appellante finiva per attribuire a ciascun coerede beni di valore non proporzionato alle singole quote. Ha infine respinto la domanda di pagamento dei frutti dei beni, rilevando che nulla poteva pretendere l’attrice rispetto agli immobili oggetto delle vendite del 18.4.1997, trasferiti in proprietà agli acquirenti, e che non vi era prova, per le altre consistenze, del possesso esclusivo da parte dei convenuti.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato ad 8 motivi; NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
Il AVV_NOTAIO generale ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Sono infondate le eccezioni d’inammissibilità del ricorso.
Non risulta indispensabile l’indicazione degli atti su cui si fonda l’impugnazione, atti il cui contenuto è illustrato in ricorso con la
dovuta specificità, unitamente alle vicende di causa, alle difese proposte dalle parti e ai rilievi mossi alla decisione di appello.
L’impugnazione propone, poi, anche quesiti in diritto scrutinabili in cassazione (quanto, in particolare, agli elementi che vengono in considerazione ai fini del calcolo della quota di riserva e alla necessità di computare nell’asse anche le donazioni fatte a terzi, ove non suscettibili di riduzione, e riguardo ai criteri di accertamento del carattere simulato degli atti dispositivi impugnati) , non solo deduzioni precluse ai sensi di cui all’art. 348, commi IV e V c.p.c..
Sussiste, infine, l’interesse ad impugnare da parte di NOME COGNOME per le conseguenze che la decisione è suscettibile di produrre ai fini del calcolo della legittima.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1414, comma secondo, 2727, 2729, comma primo e secondo c.c., 115,100 16,132 c.p.c., e l’omesso ed insufficiente esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver la Corte d’appello escluso che le due compravendite costituissero vere e proprie donazioni per mancanza di prova della simulazione della quietanza e del mancato versamento del prezzo, in tal modo trascurando una pluralità di elementi convergenti.
Sostiene la ricorrente che al momento della morte dei nonni non era stata rinvenuta alcuna somma, che i venditori non erano titolari di rapporti bancari o postali, che nessuna prova delle modalità di pagamento del prezzo era stata fornita dagli attori e che, inoltre, le due compravendite erano state stipulate con la presenza di due testimoni a riprova di una chiara volontà donativa dei disponenti.
Il motivo è inammissibile.
Deve premettersi che, agli effetti della prova della simulazione di atti posti in essere da de cuius, bisogna distinguere fra la
situazione del legittimario che agisce a tutela della quota di riserva e quella del legittimario che propone una mera istanza di collazione.
Nel primo caso questi, anche se chiamato a una quota di eredità, ha la veste di terzo, purché, congiuntamente con la domanda di simulazione, proponga, nello stesso giudizio, un’azione diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell’asse ereditario e che la quota a lui spettante va calcolata tenendo conto di detto cespite.
Nel secondo caso egli agisce come successore a titolo universale del de cuius per l’acquisizione al patrimonio ereditario del bene oggetto del contratto simulato e, rivestendo la medesima posizione del dante causa, soggiace ai limiti imposti ai contraenti per la prova della simulazione (Cass. 2093/2000; Cass. 7134/2001; Cass. 4021/2007; Cass. 3932/2016; Cass. 7237/2017).
In definitiva, il legittimario ha la veste di terzo ai fini delle agevolazioni probatorie della simulazione purché la lesione della quota di riserva assurga a causa petendi, accanto al fatto della simulazione, e che condizioni l’esercizio del diritto alla reintegra (Cass. 5947/1986; Cass. 24134/2009; Cass. 12317/2019; Cass. 11659/2023).
Giova poi ribadire, in dissenso con quanto sostenuto in ricorso, che non competeva ai convenuti provare di aver versato il prezzo o le modalità solutorie adottate, essendo onere della parte che agisce in riduzione dimostrare il carattere simulato della vendita, facendo ricorso ad ogni mezzo di prova, incluse le presunzioni, e dimostrare la sussistenza della lesione, quali fatti costitutivi della chiesta riduzione; solo ove fosse stata assolta tale prova, i convenuti avrebbero dovuto dar prova del contrario.
Posti tali principi e ritenuta in astratto ammissibile (diversamente da quanto dedotto dai resistenti), la prova per presunzioni del
carattere simulato degli atti di vendita, il motivo appare comunque inammissibile, non essendo specificato dove e quando gli elementi presuntivi da cui dovrebbe desumersi il carattere simulato delle compravendite e la natura di veri e propri atti donativi siano stati allegati in giudizio, avendo la Corte d’appello, per contro, specificato che l’unico elemento addotto a riprova del carattere simulato della quietanza era la presenza di testimoni, compatibile con il perfezionamento di un negozio misto con donazione.
Né potrebbe comunque contestarsi alla Corte d’appello di non aver fatto ricorso al ragionamento presuntivo sulla base di fatti noti emersi in istruttoria, violazione che non è denunciabile ai sensi dell’art. 2729 c.c. (secondo le istruzioni della sentenza delle S.U. n. 8053/2014), ma che può integrare l’omesso esame di un fatto secondario ove sussistano i requisiti che ne condizionano lo scrutinio ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. (Cass. 17720/2018; Cass. 7861/2022; Cass. 2546/2024), occorrendo considerare che, nel caso di specie, la deducibilità di tale vizio in cassazione è comunque preclusa ai sensi dell’art. 348 ter, comma IV e V, c.p.c., poiché la sentenza impugnata appare fondata in proposito sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado (Cass. 17720/2018; Cass. 34415/2022; Cass. 31323/2023; Cass. 35718/2023; Cass. 706/2024).
3. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 115, 116, 132, 196 c.p.c., l’erronea valutazione delle risultanze probatorie in punto di stima dei beni oggetti di causa, nonché l’omesso insufficiente esame di un fatto decisivo per il giudizio, sostenendo che il CTU, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, si era limitato ad elencare gli elementi presi in considerazione per la stima, ossia fonti, parametri e statistiche da
cui aveva tratto i prezzi unitari, elementi che sarebbero stati solo apparentemente esaminati, mentre né nella bozza, né nell’elaborato definitivo il c.t.u. avrebbe dato conto delle conclusioni assunte o anche solo preso in esame la documentazione esibita dalla ricorrente, tanto da stimare una villa con ampio terreno pertinenziale situato in una pregiatissima area turistica, in €. 1200,00 mq., a fonte di valori accertati dalle reti commerciali di intermediazione immobiliare per oltre 3.000 €/mq. . La pronuncia sarebbe inoltre viziata per aver negato rilievo alla vocazione edificatoria del terreno ricadente nell’asse, di cui si doveva tener conto per correttamente stimarne il valore con riferimento al momento dell’apertura della successione.
Il motivo è parzialmente fondato.
La censura difetta nuovamente di specificità nel punto in cui è diretta ad affermare che nessun elemento valutativo avrebbe, in realtà, preso in considerazione il CTU nelle operazioni di stima del compendio ereditario, non essendo riprodotto il contenuto della relazione nelle parti rilevanti per la decisione, considerato che anzi il giudice distrettuale ha espressamente affermato che il consulente aveva valutato i beni con metodo analitico, ne aveva comparato i valori con quelli di immobili similari, aveva acquisito informazioni presso agenzie e dall’RAGIONE_SOCIALE, ed aveva tenuto conto dell’ubicazione, dell’epoca di costruzione, della tipologia costruttiva e soprattutto dello stato di manutenzione degli immobili e dell’obsolescenza degli impianti.
E’ principio pacifico che, in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne
abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione e al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione.’ (Cass. 7078/2006; Cass. 13845/2007; Cass. 3224/2014; Cass. 16638/2014; Cass. 19989/2021; Cass. 15733/2022).
La pronuncia è invece errata nella parte in cui ha ritenuto di non poter considerare la potenzialità edificatoria del terreno rientrante nell’asse, sull’assunto che, per accertare la lesione di legittima, debba guardarsi esclusivamente alla situazione esistente al momento del negozio impugnato e valutare il rapporto di proporzione tra il valore di mercato ed il prezzo pagato.
Occorre obiettare che, per accertare la lesione della quota di riserva, va determinato il valore della massa ereditaria, quello della quota disponibile e della quota di legittima e che, a tal fine, occorre procedere alla formazione del compendio dei beni relitti e alla determinazione del loro valore al momento dell’apertura della successione quindi, alla detrazione dal “relictum” dei debiti, da valutare con riferimento alla stessa data e, ancora, alla riunione fittizia, cioè meramente contabile, tra attivo netto e “donatum”, costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, da stimare, in relazione ai beni immobili ed ai beni mobili, ugualmente secondo il loro valore al momento dell’apertura della successione (artt. 747 e 750 c.c.) e, con riferimento al valore nominale, quanto alle donazioni in denaro
(Cass. 12919/2012; Cass. 27352/2014; Cass. 24755/2015; Cass. 8174/2022; Cass. 35738/2023).
Le descritte operazioni valutative andavano compiute avendo riguardo alla situazione dei beni al momento dell’apertura della successione e non a quello delle vendite, includendo nella valutazione anche il fattore costituito dall’eventuale vocazione edificatoria del terreno, potenzialmente incidente, in misura significativa, sul valore dei terreni e dell’asse nel suo complesso, specie in considerazione della zona di pregio in cui detti immobili sono ubicati.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 553, 554,555, 556,559 e 560 c.c., lamentando che la Corte d’appello abbia escluso dalla valutazione dall’asse il valore della quota immobiliare donata a NOME COGNOME e non abbia correttamente stabilito il valore dell’asse e quello della quota di riserva sulla base del patrimonio risultante dalla unione tra relictum e donatum, comprese le donazioni ricevute da soggetti diversi dai coeredi.
Anche tale motivo è meritevole di accoglimento.
4.1. La censura non è preclusa dal giudicato interno per non aver la ricorrente appellato la pronuncia di primo grado nel punto in cui ha affermato l’intangibilità dell’acquisto siccome caduto in comunione legale (come si sostiene nel controricorso), argomentazione -quest’ultima – illustrata sinteticamente e in via puramente ipotetica dal Tribunale e che non è apprezzabile quale automa ratio decidendi suscettibile di giudicato interno, avendo il primo giudice respinto l’azione di riduzione per la dichiarata insussistenza della lesione di legittima ai danni della ricorrente (cfr. sentenza di primo grado, pag. 13).
4.2. La Corte di merito ha escluso che la donazione ricevuta da NOME COGNOME dovesse essere conteggiata per il calcolo del
valore dell’asse e della quota di riserva, poiché quest’ultimo non rientrava nel novero dei soggetti tenuti alla collazione ai sensi dell’art. 737 c.c..
Tale assunto è errato in diritto, poiché, pur non essendo NOME COGNOME figlio o discendente di NOME COGNOME e pur non essendo tenuto alla collazione, occorreva comunque considerare il valore delle suddette donazioni per stabilire il valore del patrimonio relitto al momento dell’apertura della successione, valore che deve essere pari a quello dei beni che si rinvengono nel patrimonio del defunto e quelli che ne siano usciti per effetto di tutte le donazioni, a favore di chiunque effettuate, come NOME COGNOME aveva correttamente sostenuto nell’atto di appello (cfr. pag. 9 -11), dove, pur evocando impropriamente un obbligo di collazione, aveva però chiaramente chiesto di determinare il valore della massa ereditaria, ricomprendendovi quanto ricevuto da NOME COGNOME per effetto della vendita del 18.4.1997, integrante una donazione indiretta.
La riunione fittizia, quale operazione meramente contabile di sommatoria tra attivo netto e “donatum”, cioè tra il valore dei beni relitti al tempo dell’apertura della successione, detratti i debiti, ed il valore dei beni donati, sempre al momento dell’apertura della successione, è finalizzata alla determinazione della quota disponibile e di quella di legittima, per accertare l’eventuale lesione della quota riservata al legittimario; ne deriva che l’inammissibilità della domanda di riduzione proposta (nei confronti del donatario non coerede) dal legittimario che non abbia accettato l’eredità con il beneficio d’inventario, è -a tale scopo del tutto ininfluente (Cass. 8174/2022; Cass. 12919/2012).
L’art. 556 c.c. dispone, infatti, che sono incluse nel calcolo tutte le donazioni, chiunque ne sia il beneficiario, indipendentemente dal
fatto che si tratti di congiunto, di erede o di estraneo (Cass. 14193/2022).
E’ opportuno, invece , puntualizzare che l’attrice non poteva certamente ottenere la riduzione della donazione ricevuta dal COGNOME, non avendo accettato l’eredità del nonno paterno con beneficio di inventario, e che del valore di tale disposizione dovrà tenersi conto, oltre per le operazioni di stima dell’eredità, anche per la quantificazione della riduzione da compiersi ai danni della COGNOME.
In linea generale le donazioni si riducono secondo l’ordine cronologico inderogabile fissato dall’art. 559 c.c., partendo dalle ultime effettuiate e risalendo a quelle anteriori; se coeve, esse vanno ridotte proporzionalmente.
In virtù di tale preclusione, la scelta del legittimario di ridurre una donazione anteriore senza previamente aggredire quella più recente incontra il limite rappresentato dall’onere di scomputare dal valore della riduzione richiesta quello della riduzione che il legittimario avrebbe potuto richiedere al donatario posteriore, giacché egli non può recuperare, a scapito di un donatario anteriore, quanto potrebbe conseguire agendo in riduzione nei confronti del donatario più recente.
Tale principio vale anche quando l’azione di riduzione verso un donatario sia preclusa per mancata accettazione del beneficio di inventario: in tal caso, il legittimario non può aggredire la donazione meno recente a favore del coerede se non nei limiti in cui risulti dimostrata l’insufficienza della donazione più recente, sebbene resa intangibile ai sensi dell’art. 564 c.c., a reintegrare la quota di riserva (Cass. 3500/19775; Cass. 22632/2013).
Analogo principio trova applicazione nel caso in cui le donazioni da ridurre siano contestuali o coeve, dovendosi tenersi conto, ove si
proceda alla riduzione di una di esse di quanto il legittimario avrebbe potuto ottenere dalla riduzione proporzionale di quella non riducibile per mancata accettazione dell’eredità con beneficio di inventario.
In conclusione, la Corte di merito avrebbe dovuto computare nell’asse di NOME COGNOME anche il valore della donazione indiretta ricevuta da NOME COGNOME e stabilire, all’esito della riunione di relictum e donatum, il valore della legittima e della disponibile, procedendo all’eventuale riduzione tenendo conto di quanto la ricorrente avrebbe potuto ottenere dalla riduzione della donazione indiretta ricevuta sempre da NOME COGNOME ove l’eredità di cui si discute fosse stata accettata con beneficio di inventario, accertando inoltre se le donazioni lesive siano o meno coeve.
5. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 560 c.c., per aver la Corte d’appello respinto la richiesta di reintegrazione della quota di riserva in natura sull’errato presupposto che gli atti di vendita del 18 aprile 1997 costituissero negozi misti con donazione, anziché donazioni vere e proprie.
Il motivo è infondato, poiché, come si è già precisato nell’esame del primo motivo di ricorso, è incensurabile l’accertamento in fatto svolto dalla Corte d’appello riguardo alla natura delle due vendite immobiliari del 18 aprile 1997.
Resta da evidenziare che il “negotium mixtum cum donatione” costituisce una donazione indiretta attuata attraverso l’utilizzazione della compravendita al fine di arricchire il compratore della differenza tra il prezzo pattuito e quello effettivo (Cass. 1214/1997; Cass. 642/2000; Cass. 19601/2004; Cass. 23297/2009 n. 23297).
In tal caso la riduzione si attua per equivalente e non in natura, poiché l’azione di riduzione non mette in discussione la titolarità del
bene e l’acquisizione alla massa è circoscritta al loro controvalore mediante il metodo dell’imputazione (cfr., in tema di donazione indiretta immobiliare mediante dazione della provvista: Cass. 12563/2000; Cass. 11496/2010).
Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 718,720 e 727 c.c..
Assume la ricorrente che, nell’assegnare i beni relitti del patrimonio di NOME COGNOME, costituiti dai terreni adiacenti all’abitazione della resistente e da due ulteriori terreni montani, su uno sui quali insisteva un piccolo fabbricato rurale per l’allevamento del bestiame, la Corte d’appello abbia assegnato alla ricorrente una parte dei terreni di Dunes adiacenti al fabbricato e i restanti fondi alla COGNOME, in violazione dei criteri di assegnazione di beni omogenei, che avrebbero consigliato di ricomporre in un’unica proprietà il complesso edificato e scoperto di Dunes e di assegnare alla COGNOME i terreni ivi ubicati e alla ricorrente gli altri terreni con il sovrastante rustico, costituenti corpi del tutto staccati ed autonomi rispetto all’abitazione, tenendo anche conto delle prescrizioni della normativa urbanistica locale.
Il motivo è assorbito poiché il giudice del rinvio dovrà procedere alla nuova stima anche dei terreni, valutandone le potenzialità edificatoria al momento della apertura della successione e dovrà eventualmente procedere ad un nuovo progetto di divisione, tenendo conto anche delle donazioni effettuate a favore di NOME COGNOME.
6. Il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver la Corte d’appello respinto la domanda di pagamento dei frutti, ritenendo indimostrato il possesso esclusivo dei beni in capo ai coniugi COGNOME e COGNOME.
Espone la ricorrente che il suddetto possesso esclusivo degli immobili da parte dei convenuti era pacifico, avendone essi goduto ancor prima della morte dei nonni, con i quali vivevano come un’unica famiglia.
Il motivo non merita di essere condiviso.
Riguardo agli immobili venduti, essendo oggetto di negozi misti con donazione, la riduzione poteva aver luogo per equivalente, non in natura, sicché su tali beni non si era affatto costituita, neppure parzialmente, una situazione di comunione tra i legittimari, non essendo posto nel nulla o reso inefficace il trasferimento attuato con le vendite.
Di conseguenza nessuna pretesa poteva coltivare la ricorrente per l’utilizzo esclusivo dei beni da parte degli acquirenti, né poteva pretendere il pagamento dei frutti in assenza di una comunione scaturita dalla riduzione delle donazioni immobiliari.
Se la riduzione avviene per equivalente è invece necessario, per assicurare al legittimario l’esatto equivalente del bene che avrebbe avuto il diritto di conseguire, liquidare a suo favore una somma di danaro pari al valore di detto bene, la cui stima deve essere eseguita con riguardo alla data della pronuncia giudiziaria, senza che da ciò derivi una violazione dell’art. 557 cod. civ. (Cass. 13003/2001).
Quanto ai terreni non oggetto delle vendite, il motivo, che finisce per sollevare questioni in fatto circa l’esistenza di un possesso esclusivo dopo l’apertura della decisione, non illustra il contenuto delle difese formulate nei gradi di merito e non consente di valutare se effettivamente l’esercizio di un possesso esclusivo fosse circostanza pacifica, conclusione -quest’ultima -negata esplicitamente dalla pronuncia impugnata, dovendo osservare che, qualora con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito
di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, è onere del ricorrente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (Cass. 15961/2007; Cass. 10853/2012; Cass. 17474/2018; Cass. 24062/2017; Cass. 10761/2022).
7. Il settimo motivo denuncia la violazione dell’art. 92 c.p.c. lamentando che la Corte distrettuale abbia confermato la compensazione delle spese di primo grado, non considerando il pressoché integrale accoglimento delle domande e l’ingiusta resistenza dei convenuti, che avevano dato causa al processo.
L’ottavo motivo denuncia l’erroneità della condanna e la violazione dell’art. 91 c.p.c. con riferimento alla condanna al pagamento delle spese di appello.
I due motivi sono assorbiti, dovendo il giudice riesaminare gli atti di causa e rivalutare l’entità della lesione, statuendo nuovamente sulle spese di entrambi i gradi di causa.
Sono, quindi, accolti il secondo ed il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, sono respinti il primo, il quarto e il sesto motivo, sono assorbiti il quinto, il settimo e l’ottavo.
La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà a regolare le spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, respinge il primo, il quarto e il sesto motivo e dichiara assorbiti il quinto, il settimo e l’ottavo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà a regolare le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda